Luca Ricolfi - Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori - Longanesi, Milano 2005
Di solito i libri che ottengono molte recensioni dai giornalisti sono boiate pazzesche. Libri di cui si scrive grazie al solito giro di marchette, in cambio di favori analoghi già fatti e/o che si spera vengano fatti presto. Il libro di Luca Ricolfi (mai visto né conosciuto), no. Anche se ha ottenuto fior di recensioni e fatto parlare molto, è un signor libro, di quelli da comprare e regalare agli amici prima che finisca fuori catalogo. Per due ottimi motivi.
1) E' scritto benissimo e si legge d'un fiato.
2) E' di una lucidità invidiabile: l'autore, sociologo, dichiaratamente di sinistra, appare persona di assoluta onestà intellettuale, che conosce assai bene la materia di cui scrive (la forma mentis della sinistra italiana) e non si fa scrupoli nell'indicare tutto ciò che vi è di marcio.
L'unico appunto, semmai, va mosso al titolo. Il punto vero del libro non è tanto l'antipatia della sinistra, quanto il razzismo etico (definizione di Marcello Veneziani che Ricolfi riprende) o, se si preferisce, il sentimento di superiorità morale e antropologica che è la causa dell'antipatia stessa e che in Italia anima gran parte del popolo di sinistra (e solo di sinistra), dai vertici alla base più engagée. Insomma, il libro avrebbe dovuto intitolarsi "Perché siamo razzisti? La sinistra e il complesso di superiorità etica". Ma così avrebbe venduto molto meno, specie alla Feltrinelli. E siccome i libri si scrivono per venderli, la scelta non può essere biasimata più di tanto.
In sintesi. Ricolfi diagnostica quattro (gravi) malattie alla sinistra italiana.
1) L'abuso di schemi secondari. Quelle che Karl Popper chiamava ipotesi ad hoc, le scappatoie contro l'evidenza empirica. Le "scuse", insomma, con cui giustificare i fallimenti delle proprie ideologie dinanzi agli altri e - soprattutto - a se stessi. A destra «non esiste e non è mai esistito nulla di paragonabile all'immenso sforzo della cultura marxista di occultare i fatti - povertà, lavori forzati, repressione del dissenso - e di edulcorare le evidenze storiche dissonanti, dall'Unione sovietica alla Cina e a Cuba».
2) La paura delle parole. Una malattia nata negli anni Settanta negli Stati Uniti, dai movimenti di contestazione, che oggi impone agli individui di non parlare come vogliono. Detta altrimenti, la dittatura del politicamente corretto. Quella per cui i ciechi prima sono diventati non vedenti, quindi otticamente svantaggiati, senza che la loro vista nel frattempo migliorasse. Dittatura che ha condannato a morte parole di per sé innocenti, come vecchio (anziano), donna di servizio (colf), negro (afroamericano), spazzino (operatore ecologico). Così facendo, però, nota Ricolfi, la sinistra si è messa contro il senso comune della gente, che almeno in privato continua a chiamare le cose con il loro nome "vero": cieco, vecchio, spazzino... Senso comune che invece Berlusconi, con il suo linguaggio diretto, sa interpretare benissimo, erede in questo di altri grandi "irriverenti" come Sandro Pertini, Francesco Cossiga e Giovanni Paolo II.
3) Il linguaggio codificato. Vuol dire che quando quelli di sinistra parlano o annunciano i loro programmi la gente comune non ci capisce una mazza. Usano un linguaggio «legnoso, infarcito di formule astratte». Berlusconi, piaccia o non piaccia, usa le parole per spiegare concetti; la sinistra usa le parole per nasconderli. A chi? Ai suoi stessi esponenti: «Il problema della sinistra è che il suo discorso è indicibile, perché se fosse detto farebbe saltare l'alleanza. [...] Non è il nemico che non deve capire, ma sono "i nostri" che non devono ricevere segnali precisi. Se tali segnali venissero emessi, addio Ulivo, addio Fed, addio Gad, addio Unione, addio "unità delle forze produttive"». Insomma, sono costretti a non dirsi la verità a vicenda. Il giorno in cui ognuno a sinistra dovesse dire quello che vuole fare veramente una volta al governo (sulle tasse, le pensioni, la spesa pubblica etc) l'alleanza finirebbe.
4) Il complesso di superiorità etica. Ovvero la forma di razzismo di cui sopra. Bandiera di Micromega, rivista che rifiuta il concetto di scontro di civiltà con Islam, ma non si fa scrupoli di applicarlo al conflitto tra "le due Italie": quella dei "giusti" contro l'Italia della barbarie. A sinistra c'è una casistica sterminata in materia. Il migliore esempio è l'appello pubblicato da Umberto Eco su Repubblica prima del voto del 13 maggio 2001, nel quale l'elettorato di centrodestra è diviso in due. Dell'Elettorato Motivato fanno parte «il leghista delirante», «l'ex fascista», quelli che, «avendo avuto contenziosi con la magistratura, vedono nel Polo un’alleanza che porrà freno all’indipendenza dei pubblici ministeri». Sono «coloro che aderiscono al Polo per effettiva convinzione» e non cambieranno mai idea. Il resto degli elettori di centrodestra fanno parte dell'Elettorato Affascinato, composto per Eco da «chi non ha un’opinione politica definita, ma ha fondato il proprio sistema di valori sull’educazione strisciante impartita da decenni dalle televisioni, e non solo da quelle di Berlusconi. Per costoro valgono ideali di benessere materiale e una visione mitica della vita, non dissimile da quella di coloro che chiameremo genericamente i Migranti Albanesi». Un elettorato che, ovviamente, «legge pochi quotidiani e pochissimi libri», persone che «salendo in treno comperano indifferentemente una rivista di destra o di sinistra purché ci sia un sedere in copertina». Delinquenti e gente in malafede, dunque, assieme a poveri ignoranti cresciuti a pane, calcio e telenovelas. Gente che nella democrazia di Eco non pare avere diritto di piena cittadinanza, ma solo uno status di appartenenza inferiore.
Il punto è che non sono solo gli Umberto Eco, i Paolo Flores D'Arcais e gli Eugenio Scalfari (un nome, quest'ultimo, che purtroppo nel libro manca) a credersi espressione dell'Italia moralmente migliore che cerca di salvare il Paese dai delinquenti e dagli ignoranti. E' la base stessa, o almeno la gran parte più ideologizzata di essa, che la pensa così. Il libro cita un sondaggio realizzato dall'Osservatorio del Nord Ovest. Il 34% dell'elettorato di sinistra si sente "moralmente superiore", ma la percentuale «sale al 55,9% fra gli elettori di sinistra politicamente impegnati». Un abisso con la destra, dove questo sentimento di superiorità, altrimenti detto razzismo etico, è pari appena all'8,9% e non supera il 13,8% tra gli "impegnati". Anche in questo, dunque, c'è meno razzismo a destra che a sinistra.
1 commento:
Fantastico: questo lo compro, lo leggo e poi lo commento!... Se poi posso esprimere un'opinione sin d'ora, allora sposo in pieno l'idea secondo cui la persona di Sinistra si crede a apriori come "moralmente superiore e civilmente più evoluta".
Ma ho anche la sensazione che la persona di Destra, in qualche modo - e così ottemperando ad un perverso e pervertitore meccanismo psicologico -, si sforzi sempre di dimostrare la correttezza dell'assunto della persona di Sinistra.
Si, è vero: ci facciamo del male. Ma SEMPRE da soli...
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