mercoledì 29 luglio 2009

Noio volevam savuàr

"Noio volevam savuàr”, “Ma da dove venite? Dalla Val Brembana?”. Immortali e simbolici, i due napoletani che si rivolgono al vigile milanese in un francese inventato e quello che li scambia per bergamaschi, in Totò, Peppino e la Malafemmina: “malafemmina” che peraltro non è napoletano, ma pugliese… A maggio è stato il ministro dell’Agricoltura Luca Zaia, leghista trevigiano, che ha proposto l’insegnamento obbligatorio del veneto nelle scuole della regione con un comunicato appositamente bilingue, in lingua italiana e in “lengua veneta”: “La mea no le ’na bataglia in difesa de un dialeto, ma de ‘na lengua. Bataglia che porte avanti come omo politico, come ministro de la Repùblica Italiana e come veneto”.

A Zaia pose subito un deciso stop la collega Maria Stella Gelmini: “Credo che a scuola si debbano apprendere le materie fondamentali”. Zaia ebbe però anche le obiezioni proprio di due scrittori impegnati nella difesa della lingua e della tradizione veneta come Ferdinando Camon e Andrea Zanzotto: e col primo in uno scambio polemico proprio in veneto. “No state a avilir, non sen pì in tel pasato e in Veneto pensen al nostro futuro. Che el nostro Veneto el gabie el status de lengua ufissial”. “Vàrda che el me compiùter el sé deventà mato, par recever le to parole in dialeto. El le gà scrabocià tute. No ghe sé compiùter par el dialeto, lo capìssito sì o no?”. Camon sostiene infatti che la civiltà cui il Veneto corrispondeva è ormai defunta, e che sarebbe artificioso cercare di resuscitarla. “Il dialetto chiamava le cose con nomi diversi dalla lingua italiana perché quelle cose erano diverse. Il ‘saòn’ non era quello che noi chiamiamo ‘sapone’. Il ‘saòn’ era fatto in casa, con materie sgrassanti, di color giallo. Puliva le mani dei contadini, sporchi di calcioanamide, ma non era profumato, non odorava di niente. Serviva a nettarsi le mani per mangiare. A un certo punto arrivò il ‘sapone’, primo fra tutti il Cadum. Il Cadum profumava. Lo usavano ragazzi e ragazze che dopo andavano a ballare. Ci fu un momento in cui i due prodotti coesistevano. Quando il capo famiglia chiedeva: ‘Dammi il saòn’, gli si dava il sapone autarchico, fabbricato in casa, una specie di detersivo a blocchi, dopo di che lui chiedeva: “Passami il sapone”, e con quello si profumava le mani e le annusava. Adesso c’è solo sapone, il ‘saòn’ è sparito da mezzo secolo”.

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