Almeno se magna.
«Il mio Paese, a torto o a ragione» è una cosa che nessun patriota potrebbe nemmeno pensare, tranne in un caso disperato.È come dire «Mia madre,sobria o ubriaca».Gilbert Keith Chesterton
«Patria» è un concetto che sembra tanto saldo, tanto chiaro, e invece è uno dei più suscettibili ai cambiamenti del sentire comune: nelle epoche storiche come nell’attualità. Quando, «fatta l’Italia», occorreva ancora «fare gli italiani», lo Stato nato con la forza dal Regno di Piemonte mise ogni impegno nell’educare i neoitaliani a un vero culto della patria, soprattutto nelle scuole e nelle caserme. Si raggiunse lo scopo, più di forma che di sostanza, attraverso una propaganda ossessiva che ha la sua sintesi e il suo culmine nel Cuore di Edmondo De Amicis. Un ulteriore contributo, ma di sangue e di dolore, venne dalla Prima guerra mondiale, fino all’apoteosi patriottarda del fascismo: che della parola patria fece un tale abuso, e una tale sovrapposizione al regime, da sciuparla per decenni, dopo l’8 settembre 1943 e la guerra civile tra fascisti e antifascisti. Ancora oggi è una parola che si pronuncia con un certo pudore, se non con imbarazzo.Eppure la patria esiste e se ne parla sempre più spesso come fosse un antidoto a tentazione separatiste o di annullamento in un’Unione Europea che sembra fatta apposta per uccidere tute le patrie in un colpo solo. A proposito di attualità, sono da poco usciti tre volumi, diversissimi tra loro. Il primo: FAQ Italia di Francesco Merlo (Bompiani), dove la parola patria non compare, ma si tenta l’impresa anche più difficile di definire i suoi abitanti, gli italiani, quindi il loro rapporto con la terra dove sono nati e dove vivono, oltre che con l’istituzione che alla patria si sovrappone, ovvero lo Stato.Il secondo saggio è di Giovanni Floris: Separati in patria. Nord contro Sud: perché l’Italia è sempre più divisa (Rizzoli, pagg. 266, euro 19). Floris analizza non il pericolo di una secessione, «quella che qualcuno auspica e qualcuno teme», bensì le antiche divisioni storiche, sociali, economiche e culturali che oggi «di certo vengono aumentate, in maniera sempre più netta, da un mix di logica, cinismo e rassegnazione». È l’Italia che, per citare la grossolana sentenza di un acido giornalista inglese, verrà spartita in due: «Il Sud alla Camorra, il Nord alla Lega». Ovvero, scrive Floris, al Nord il centrodestra, al Sud «(se recupera) il centrosinistra, altrimenti un centrodestra arcaico, dai tratti un po’ democristiani e un po’ assistenzialisti. Da una parte (infine) la legge, dall’altra (nella migliore delle ipotesi) il caos». Con lo stile di un’inchiesta televisiva, di parte ma non faziosa, Floris analizza i vari scenari, le varie possibilità, ma è comunque uno di quegli italiani che all’Italia unita - davvero unita, ovvero sempre meno disomogenea - ci tiene davvero: ama il concetto di patria/Italia e lo considera un valore irrinunciabile.Enrico Deaglio è l’autore del terzo saggio, Patria. 1978-2008 (il Saggiatore, pagg. 940, euro 22). È un libro singolare, nei contenuti e nel montaggio, che Deaglio ama presentare «come un film di carta»: ogni anno un capitolo, gli avvenimenti riportati come la notizia di un telegiornale, oppure «la scena di un film mai fatto o il risultato di uno scavo archeologico». Alla conclusione di ogni anno, un’antologia di libri e canzoni relativi. Basterebbe scorrere l’elenco di libri e canzoni per intuire - ce ne fosse bisogno - la posizione politica dell’autore, ma è ancora più utile questa breve sintesi, a partire da Tangentopoli: «Un Paese è stato colpito come l’11 settembre, nove-dieci anni prima dell’11 settembre. Un “proprietario” è diventato l’uomo politico più popolare proprio in quanto proprietario. Del vecchio mascellone e dei suoi metodi oggi si dice che aveva inventato la formula politica più adatta per un paese di refrattari».
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