Prima Di Pietro, poi Vladimir. Ora basta, non vorrei rovinarvi la cena. Luxuria, Le favole non dette, Bompiani.
Vedi, Vladimir, i fratelli Goncourt rivelano che un giorno Flaubert si accorse, orripilato, che in Madame Bovary comparivano due genitivi l’uno dietro l’altro. Aveva scritto «...un bouquet de fleurs d’oranger», un mazzetto di fiori d’arancio. La scoperta lo sconvolse, si ammalò, e alla fine ne morì. Comprendi, ora, alla porta di quale inferno hai deciso di bussare? Grammatica presa in prestito ad un’altra lingua, probabilmente non indoeuropea («non capisco il limite delle mie acque»; «agitavano la coda in festa che quasi si dividevano in due»), tendenza alla pletora («uscì fuori»: si è mai visto qualcuno uscire dentro?) e sintassi da matita blu («un rampicante di glicine che quando era in fiore il suo profumo inebriava...»). Il tutto condito da valanghe di cacofonie, di aggettivi ed avverbi inutili e da un profluvio di «quello», «suo», «proprio». In una pagina, otto occorrenze di «tutto»: l’editor dormiva, o con la testa era già in spiaggia?Ecco il punto: il problema non è Vladimir Luxuria. È la Bompiani. Diavolo, in catalogo avete Moravia. Vi rendete conto che una sciatteria così sfacciata, quasi proterva, dimostra che la grande editoria italiana si muove ormai disinvoltamente nell’ambito della semi-professionalità? Dite la verità: ve ne infischiate, tanto non esistono più lettori capaci di accorgersene, e men che meno di scandalizzarsi?
La pupa e il secchione
2 mesi fa
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