martedì 28 luglio 2009

Automatizzare non humanus est

Il professor Gianmarco Veruggio è uno dei massimi esperti Italiani di robotica (fa parte della Society on Social Implication of Technology, dell’European Robotics Research Network ed è membro del CNR), si occupa da anni dei risvolti dello sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Ha visto la notizia del New York Times relativa alle preoccupazioni degli scienziati americani sullo sviluppo di robot, e computer, sempre più autonomi?
«Si e ho pensato: meno male che finalmente ci pensano anche loro. Sino ad ora a porsi il problema sono stati soprattutto gli Europei e i Giapponesi».
Ma esiste davvero un pericolo?
«Sì, lo sviluppo della capacità di calcolo è stato esponenziale negli ultimi anni. Il mio cellulare è molto più “intelligente” di quanto fosse il computer universitario su cui ho preparato la tesi di laurea. E il computer dell’Apollo 11 equivale a un processore di quelli che adesso si mettono nei giocattoli».
Quindi le macchine diventano più “intelligenti” degli uomini?
«No, detto così è fuorviante. L’intelligenza non è misurabile e il biologico non è comparabile con le leggi che regolano i sistemi di calcolo informatico. Il vero problema è che avremo macchine sempre più capaci di adattarsi all’ambiente e di modificare i loro programmi in base all’ambiente. La loro “intelligenza” secondo me non somiglierà mai alla nostra. Anzi rischierà di esserci aliena».

1 commento:

Anonimo ha detto...

Con tutto il rispetto dovuto a Veruggio, quelle che ha detto sono banalità. Peggio: ovvietà.
Da uno come lui, mi aspetto di più...