martedì 26 gennaio 2010

Dalla parte dei vinti

Avviso alle anime belle. È meglio che questo libro non lo leggiate. Non troverete il buonismo, il solidarismo mellifluo, gli atteggiamenti tartufescamente «super partes», la fatidica «memoria condivisa».
Alla soglia delle sue ottanta stagioni, Piero Buscaroli con Dalla parte dei vinti - Memorie e verità del mio Novecento (Mondadori, pagg. 505, euro 24, nelle librerie domani) riscrive la storia della propria vita e della vita italiana del secolo scorso. È un libro caparbio, sincero, che non teme di essere sgradevole, fatto di tante staffilate e di poche, pochissime carezze. Un libro di parte? Sì, la parte dei vinti. Brillante inviato del Borghese, commentatore del Giornale, direttore del Roma di Napoli, coltissimo musicologo, autore di opere biografiche su Bach, Mozart e Beethoven che sono altrettante pietre miliari, Piero Buscaroli ricompone in questo libro la trama dei ricordi e delle migliaia di carte, articoli, appunti, taccuini, lettere che hanno intessuto la sua esistenza per dare alle stampe quello che a qualcuno potrebbe apparire un raffinato Zibaldone fra storia e memoria, musica e letteratura, e che invece è una dichiarazione di guerra. Lo ebbe a dire lui stesso comparendo in televisione nel 2005 accanto a Giuliano Ferrara nel sessantennio del 25 aprile. Alla solita domanda sulla sua appartenenza politica rispose: «Non mi considero un “reduce”, un “orfano di Salò”, sono un superstite della Repubblica Sociale Italiana in territorio nemico».

sabato 23 gennaio 2010

Avatar, la trama

Un uomo, anche se blu, e' disposto a fare qualunque cosa per la figa.

Emmatar


L'articolo di Langone e il video di Emmatar, le discussioni a Libero tra Facci della destra illuminista e libertaria e Belpietro della destra teocratica e identitaria, la detestatio boniniana del Foglio.

Digiuno

Come dalla radice del digiuno nasce e si sviluppa il giacinto della purezza, così dalla sazietà è generata la corruzione e dalla corpulenza l’impurità. Il ventre affamato non sopporta pensieri turpi… Se un uomo entra nel laboratorio dei profumi, anche se non ne compra nessuno, tuttavia il suo abito s’impregna di profumo. Se non c’è nella tua mente la forza per la meditazione delle cose spirituali, così da preservare la tua coscienza dalle sconcezze, allora fissa il tuo pensiero sulla fine di questo mondo, sulla dissoluzione di tutte le cose e sulla tristezza che ti coglierà alla fine e che decomporrà le tue membra.
Isacco di Siro, Grammatica di vita spirituale

venerdì 22 gennaio 2010

A.A.

Gli 80 anni di Arbasino. Raccolta di articoli.

giovedì 21 gennaio 2010

Capolavori mortali

...Non abbiamo più un passato da venerare e un futuro da aspettare, e dunque una tradizione in cui selezionare ciò che passa e salvare ciò che resta. La guerra civile tra passato e futuro si è conclusa con la sconfitta d’ambedue e la vittoria inappellabile del presente. Il culto del presente nega il capolavoro, che ha bisogno di sguardi lungimiranti oltre il muro del tempo; il presente non consegna l’Opera alla storia né tantomeno ai posteri, non elegge classici; consuma sul posto l’essere appena appare, fino a farlo sparire. Senza la dimensione della storia e la proiezione nel futuro non è possibile partorire la grande opera.
... Il genio annega nel delirio narcisista dell’egocentrismo di massa, nell’invidia egualitaria, nel pari diritto al riconoscimento della genialità e nella congiura della mediocrità organizzata. Nella mediocrazia universale, nell’uguaglianza metafisica delle anime o della loro assenza, il genio è un’anomalia arcaica, frutto iniquo della diseguaglianza e cicatrice deformante della disparità. Il genio è pregiudicato e rinnegato.

Travaglismo

Qui e qua.

Liberismo

E' morto?

Normale

Fame, saccheggi ed epidemie ad Haiti: tutto torna lentamente alla normalita'.

Paranormale

Diffidare sempre dei bambini vestiti di bianco che cantano, degli specchi ovali, delle scale al buio, dell'acqua lacustre e delle vasche da bagno, delle more coi capelli lunghi e le occhiaie e delle bionde coi capelli corti e i pantaloni.

martedì 19 gennaio 2010

Cinismi

Tratto dal Dizionario del perfetto cinico (Excelsior 1881, pagg. 172, euro 12,5).

ABORTO
Io sono contro. Uccidere un essere umano prima che nasca è inammissibile. È una dimostrazione di impazienza (Roland Topor)

AMORE
Vitalità dell’amore: non è possibile, senza commettere un’ingiustizia, parlare male di un sentimento che è sopravvissuto al romanticismo e al bidet (Cioran)

ASTRATTO
Quanta gente è astratta solo per apparire profonda! (Joseph Joubert)

BELLEZZA
Potere esecutivo (Georges Henein)

CENSURA
La censura è la tassa che lo scrittore paga al pubblico per diventare famoso (Jonathan Swift)

CONTRADDIRE
Sono rari coloro che meritano di essere contraddetti (Ernst Jünger)

CONTRONATURA
Si dice che è contronatura ciò che va contro la consuetudine (Montaigne)

DELUSIONE
Da ogni essere umano, me compreso, mi aspetto il peggio, e raramente sono stato deluso (Johann Nestroy)

DEMOCRAZIA
Democrazia significa semplicemente far bastonare il popolo dal popolo in nome del popolo (Oscar Wilde)

DIO
Se Dio esistesse, lo si saprebbe (Michel Contat)

ESISTENZA
Si passa la giovinezza a far credere di essere uomini. L’età adulta a far credere di essere felici quando invece non lo si è. La vecchiaia a far credere di non essere rimbambiti quando invece lo si è (Henry de Montherlant)

FELICITÀ
La felicità non esiste. Di conseguenza non ci resta che essere felici senza (Jerry Lewis)

ILLUSIONI
Ostentare di averne molte; lamentarsi di ciò che ce le ha fatte perdere (Gustave Flaubert)

INTELLIGENZA
L’intelligenza è la facoltà grazie alla quale capiamo finalmente che tutto è incomprensibile (Maurice Maeterlink)

IO
L’«io» è odioso, ma stiamo parlando di quello degli altri (Pascal)

LAVORO
Bisogna lavorare, se non per piacere, almeno per disperazione visto che, dopo tutto, lavorare è meno noioso che divertirsi (Charles Baudelaire)

MISANTROPIA
È l’uomo che sono che mi rende misantropo (Jules Renard)

SENSO DI COLPA
Nel senso di colpa alberga una presunzione smisurata (Jacques Rigaud)

UMILTÀ
L’umiltà è l’arroganza del povero (Jules Renard)

VIRTÙ
L’utilità della virtù è talmente palese che le persone malvagie la praticano per interesse (Vauvenargues)

lunedì 18 gennaio 2010

Ebook

Qui si parla di ebook, che sono un po' come il Dio di Sant'Agostino, per il momento.

Multietniche o multiculturali?

Gli allegri (si fa per dire, perché in verità sono pateticamente tristi) sostenitori del melting pot di solito non vanno nemmeno al cinema, sennò saprebbero che gli Usa sono, sì, una società multietnica, ma niente affatto multiculturale. Chiunque vi si stabilisca ha una sola alternativa: diventare americano. Può, certo, praticare la sua religione, ma è l’unica diversità che può permettersi, altrimenti va fuori dai piedi.

Ma la democrazia americana, purtroppo, non è quella che gli europei hanno ereditato dal giacobinismo e dalle ideologie che esso ha figliato: è nata dalla necessità, non dall’utopia. Ne sanno qualcosa i francesi, nelle cui banlieuses (certune, almeno) ormai anche la polizia sconsiglia l’ingresso. Se ne devono essere accorti anche i danesi, che alle loro ultime elezioni hanno decretato il trionfo del partito che più si oppone all’immigrazione senza regole, il Dansk Folkeparti di Pia Kjaersgaard. Ai danesi, popolo civilissimo, non si possono certo dare lezioni di accoglienza e tolleranza per il «diverso». Ma anche il danese si preoccupa quando vede che gli immigrati turchi, per esempio, non hanno alcuna voglia di integrarsi. In effetti, il rischio di ritrovarsi con un paese a «macchia di leopardo» è alto, e a poco serve, come abbiamo visto, il paragone con gli Usa. Insomma, c’è un problema «culturale» islamico che avrebbe potuto essere affrontato con i consueti strumenti culturali se non ci fosse di mezzo il terrorismo e la guerra in corso. Che fare?
Un precedente storico, se vogliamo, c’è: alla fine del XV secolo i Re Cattolici spagnoli, per far fronte a una situazione di ordine pubblico che rischiava di diventare ingovernabile, misero i loro sudditi musulmani di fronte all’alternativa secca tra il battesimo cristiano e l’espulsione. Non era altro che la presa d’atto dell’impossibilità per una società multietnica di essere anche multiculturale (prima di scandalizzarci pensiamo che si tratta dello stesso tipo di problema che hanno gli americani e che, mutatis mutandis, non viene affrontato in modo molto diverso). I più presero la via dei regni corsari africani, giurando vendetta. Alcuni finsero la conversione e rimasero a far da quinta colonna alla minacciata revanche maghrebina. A stanare questi, i moriscos, pensò l’Inquisizione. Ma sono passati cinque secoli e molta acqua sotto i ponti. Tuttavia, una soluzione c’è, ed è quella americana: una «religione civile» uguale per tutti, da accettare per amore o per forza, con l’Fbi al posto dell’Inquisizione.

Intellettuali o conformisti?

I conformisti. L’estinzione degli intellettuali d’Italia(Rizzoli, pagg. 221, euro 18). Si consiglia di leggere attentamente le avvertenze («La cultura di sinistra ha smesso di pensare, e quella di destra non riesce nemmeno a cominciare») e le modalità d’uso («Gli irregolari, che sono spiriti irrequieti e caparbi, amano dare risposte chiare agli interrogativi che generalmente i conformisti sono inclini a disertare»).

Tonino's mystery

La prima parte.

venerdì 15 gennaio 2010

Imene di meno

Paris Hilton, le musulmane, le plastiche.

Dio non è morto

Dio è morto, scritta da Francesco Guccini nel 1965, incisa dai Nomadi nel ’67, è una delle canzoni simbolo degli anni Sessanta. La Rai, di fronte a un brano che citava Nietzsche nel titolo, passò direttamente alla censura pensando di essere incappata in un esempio di blasfemia. Proprio per evitare problemi, la prima stampa aveva nel titolo un prudente punto interrogativo, e un sottotitolo fra parentesi Se Dio muore è per tre giorni e poi risorge. Al contrario la Radio Vaticana, meno bacchettona dell’emittente di Stato, lo trasmise, e un aneddoto vuole che Papa Paolo VI in persona mostrò di apprezzarlo. Nel frattempo Dio è morto si avviava a diventare un inno della contestazione e del movimento studentesco. Chi aveva ragione? La radio pontificia o i ragazzi con l’eskimo? Entrambi. Guccini invitava al cambiamento ma tutto sommato lo faceva esaltando «valori umani e naturaliter cristiani» come ha scritto l’Osservatore romano. Un mondo, quello del cantautore, lontano dagli eccessi dell’epoca, come egli stesso oggi testimonia.Francesco Guccini, nel numero in uscita della rivista Vita e Pensiero, ripercorre infatti la stesura della canzone (che tra l’altro non ha mai prodotto in studio a suo nome) in un articolo intitolato Dio (non) è morto, la ricerca continua (firmato dal cantautore, con la curatela di Brunetta Salvarani). «Avevo venticinque anni - scrive Guccini - e stavo studiando all’università di Bologna, i primi sit-in e il Sessantotto erano alle porte, era mia intenzione scrivere qualcosa di generazionale». Dio, a quanto pare, non era morto, anzi si sentiva e si sente piuttosto bene: «Il “dio” di cui parlavo era un “dio” con la minuscola, un “dio” laico simbolo dell’autenticità». L’idea era incitare - come accade nei versi finali - al rinnovamento, a «una nuova primavera» giocando su un «registro fra l’apocalittico e l’esistenziale» per trasmettere «la consapevolezza che qualcosa doveva cambiare». Ecco perché il brano se la prende con «tutto ciò che è falsità», cioè «le fedi fatte di abitudine e paura, / una politica che è solo far carriera, / il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, / l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto». Ed ecco perché si conclude con note di speranza: «In ciò che noi crediamo dio è risorto, / in ciò che noi vogliamo dio è risorto, / nel mondo che faremo dio è risorto». «I primi versi - spiega Guccini - sono un’accusa, gli ultimi risentono del pacifismo che c’era allora, ed era una mia risposta a un extraparlamentarismo che sentivo come troppo violento». Una canzone generazionale, al punto che l’autore si stupisce ogni volta che la esegue dal vivo, poiché «i giovani» la conoscono «a memoria, dopo tanti anni». A parte Nietzsche, Guccini cita fra le sue fonti una clamorosa inchiesta del Time realizzata da John T. Elson, Is God Dead? (Dio è morto?), uscita l’8 aprile 1966, quasi a ridosso della conclusione del Concilio Vaticano II; l’incipit della poesia manifesto della beat generation (Howl, Urlo) di Allen Ginsberg, ripreso quasi alla lettera: «Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia»; e una serie di versi vergati in precedenza e ispirati a T.S. Eliot.

Matri-omo

A quanto pare le nozze omosex sono di destra.

martedì 12 gennaio 2010

Avatar, la locandina

In attesa di vedere il film, probabile polpettone panteista ecologista terzomondista.

Craxi, Radio Radicale

E brava radio Radicale: lo speciale a 10 anni dalla morte.

Il grasso e il magro

Racconto di Cechov, 1883.
Alla stazione ferroviaria sulla linea San Pietroburgo-Mosca si incontrarono due amici: uno grasso e l’altro magro. Il grasso aveva appena pranzato alla stazione e le sue labbra, unte di burro, brillavano come una ciliegia matura. Mandava un odore di xeres e di fleur d’orange. Il magro era appena sceso dal vagone ed era carico di valigie, fagotti e scatole di cartone. Dietro la sua schiena sbirciavano una donna magrolina col mento lungo - sua moglie - e un ginnasiale spilungone con un leucoma in un occhio - suo figlio. Mandava un odore di prosciutto e fondi di caffè.
- Porfirij! - esclamò il grasso, vedendo il magro. - Sei proprio tu? Mio carissimo! Da quanto tempo non ci si vede!
- Santi del paradiso! - fece il magro spalancando la bocca. - Miša! Il mio amico d’infanzia! Da dove salti fuori?
Gli amici si abbracciarono tre volte e si fissarono l’un l’altro negli occhi pieni di lacrime. Erano entrambi piacevolmente sbalorditi.
- Mio caro! - cominciò il magro dopo gli abbracci. - Non me l’aspettavo proprio! Questa sì ch’è una sorpresa! Be’, guardami un po’ per benino! Vedi: sono sempre bello come una volta! Sempre ugualmente profumato e elegante! Ah, Dio mio! E tu, cosa fai? Sei ricco? Sei sposato? Io sono già sposato, come vedi... Ecco, questa è mia moglie Luisa, nata Vancenbach... luterana... E questo è mio figlio Nafanail, alunno della terza classe. Vedi, Nafanajlocka, questo è un mio amico d’infanzia! Al ginnasio abbiamo studiato insieme!
Nafanail ci pensò un po’ su e si levò il berretto.
- Al ginnasio abbiamo studiato insieme! - continuò il magro. - Ti ricordi che bel soprannome ti avevano dato? Ha, ha... Ti chiamavano Erostrato perché avevi bruciato con la sigaretta il registro scolastico; e me, mi chiamavano Efialte perché mi piaceva far la spia. Ah, ah!... Eravamo proprio dei bambini! Non aver paura Nafanajlocka! Avvicinati pure a lui... Questa è mia moglie, nata Vancenbach... luterana.
Nafanail ci pensò un po’ su e si nascose dietro la schiena del padre.
- Be’, come te la passi, amico? - domandò il grasso, guardando estasiato l’amico. - Sei impiegato? Hai fatto carriera?
- Sono impiegato, mio caro! Già da due anni sono assessore di collegio e ho la croce di San Stanislao! Lo stipendio è misero... be’, sia fatta la volontà di Dio! Mia moglie dà lezioni di musica, io nella vita privata faccio dei portasigari di legno. Dei portasigari fantastici! Li vendo a un rublo l’uno. Se qualcuno ne compra dieci o più, s’intende, gli faccio uno sconto... In qualche modo tiriamo avanti. Sono stato impiegato al Dipartimento «Presentazioni e refusi», ma adesso mi hanno trasferito qui come segretario nello stesso Ministero... Lavorerò qui. Il capufficio, a quanto dicono, è un porco; be’, che vada al diavolo! Sopravviverò in qualche modo. Ha lo stesso tuo cognome. Be’, e di te che mi dici? Mi immagino, sarai già consigliere di stato? Eh?
- Ve’ un po’... Così dunque sei tu il segretario che mi hanno destinato? - disse con voce profonda il grasso, gonfiandosi come un tacchino. - Vi presentate al lavoro in ritardo, egregio signore... Sì, in ritardo...
- Vv..voi? Siete voi?... Io, vostra eccellenza...
Il magro all’improvviso impallidì, ma ben presto il suo volto si torse da tutte le parti nel più ampio dei sorrisi... Lui si contrasse, si ingobbì, si rimpicciolì... Le sue valigie, i suoi fagotti e le sue scatole si contrassero e si rattrappirono... Il lungo mento della moglie divenne ancora più lungo; Nafanail si mise sull’attenti e, per un riflesso istintivo, si abbottonò tutti i bottoni della divisa...
- Io, vostra eccellenza... Molto piacere! Era, si può dire, un amico d’infanzia e adesso è un tale magnate! Hi! hi!
- Non si deve tardare, signor mio...
- Scusatemi tanto, vostra -enza, non ho potuto fare in tempo, perché mia moglie, ecco, era malata... Luisa, ecco... luterana...
- Spero, egregio signore, - disse il grasso porgendo la mano al magro - spero... Addio. Domani vi prego di presentarvi al lavoro...
Il magro gli strinse tre dita, si inchinò con tutto il torso e si mise a ridacchiare. Sua moglie sorrise... Nafanail strisciò un piede per inchinarsi e lasciò cadere il berretto. Tutti e tre erano piacevolmente sbalorditi.

lunedì 11 gennaio 2010

Rivoluzione conservatrice

Io amo Ernst Nolte.

Lo storico tedesco Ernst Nolte da tempo ha intrapreso un percorso che da storico dei fatti lo ha portato a indagare la storia delle idee. In questa prospettiva appare chiara la finalità dell’ultimo libro pubblicato in Italia La Rivoluzione Conservatrice nella Germania della Repubblica di Weimar (Edizioni Rubbettino, pagg.76, euro 10; a cura di Luigi Iannone), che partendo dalla «corrente di pensiero e di azione politica che si delineò in Germania», alla vigilia della Prima guerra mondiale e più compiutamente dopo ha finito per forgiare una vera e propria categoria storica ancora attuale. Nolte individua il nocciolo della Rivoluzione conservatrice nel «rifiuto del concetto di tempo lineare e l’accettazione della natura ciclica» della storia, in altre parole il progresso etico e morale di una comunità non è nell’andare avanti verso un cambiamento a tutti i costi ma spesso il progresso di un popolo è nel ritorno costante alla propria tradizione.

sabato 9 gennaio 2010

Tutto Tudor

Parto cesareo

Che belle le genealogie.

Onomastica maiala

-
Nel saggio intitolato "La Salumeria nella Marca Anconetana" di AA.VV. ho trovato un breve articolo intitolato:"Onomastica come fonte documentaria su maiali e salumi".
Anche se su questi cognomi non ho fatto una ricerca storico-genealogica e anche se personalmente credo che alcuni cognomi citati possano avere anche altre origini, vorrei riportarne un elenco nel caso in cui qualcuno fosse interessato all'origine legata al mondo suinicolo. Essi sono stati estratti per la maggior parte dagli elenchi telefonici del 2000 e si rilevano:
PORCARA/O/I , PORCARELLO/I (2017)
MAZZARINO/I (947)
NORCINO/I (314)
PORCO, PORCINA, PORCINI, PORCELLO/I, PORCELLINO/I, PORCU,
PORCEDDU E SIMILI (8629)
MAIALE/I, MAIALINI, MAIALETTI E SIMILI (350)
CICIO, CICI, CICETTI, (455)
VERRO, VERRI (1668)
TROIA (1669)
tutte denominazioni del suino del quale secondo gli autori gli antenati di dette famiglie si sarebbero occupati.
Vi sono poi quelle famiglie che traggono il loro nome, sempre secondo gli autori, da parti del suino:
Braciola (14)
Budello,Budelli, Budellacci,Budellini (201)
Ciarimboli, Cerimbolo, Cerimboli (109)
Coppa (1551) (ma va ricordato che la Coppa o cuppa era anche un'unità di misura del grano)
Coratella, Coratelli (426)
Cotechini (63)
Cotica, Cotichella, Cotichelli, Coticoni (134) (anche qui è da sottolineare che questa definizione viene usata nelle Marche anche in senso lato nell'accezione di "avaro" o di "sordido")
Frigoli, Frisoli (615)
Grassello/i, Grassellino/i e Grascelli (1498)
Lardo/i, Lardelli (390)
Pannella/i (372)
Prosciutto/i, Presciutto/i, Preciutto (411) (cognome molto diffuso nell'hinterland anconetano e maceratese; alcune famiglie con questo cognome si occupano tutt'ora di allevamento e macellazione dei suini)
Lonza,Lonzi, Lonzino/i (282)
Salame/i, Salamina/i (865)
Salsiccia, Salciccia, Salsiccioni (272)
Strutti (5)
Zampetto/i, Zampini (1780)
Come si pèuò notare alcuni cognomi potrebbero anche avere un'altra origine ma la maggior parte di essi è chiaramente legata all'attività suinicola.

L'articolo si conclude con una nota interessante, che nelle pagine del forum ha visto una discussione alcuni mesi fa: Negli elenchi telefonici del territorio nazionale del 2000 risultano 33 famiglie che portano il cognome CIABUSCHI. Di queste 11 risiedono a Roma, 1 a Terni, 3 a Livorno, 1 a Milano, 1 a Verona, ma ben 16, ossia la metà del totale,
"si concentrano nella Vallesina-Fabrianese da cui evidentemente proviene storicamente l'intero ceppo familiare, poi diffusosi a Roma e nelle altre (poche) località d'Italia negli ultimi decenni, per effetto del massiccio movimento migratorio del secondo dopoguerra. L'onomastica di queste 33 famiglie è particolarmente illuminante per il nostro assunto, poichè dimostra una radicata e plurisecolare attività produttiva del "ciauscolo" o " ciabusco" in provincia di Ancona e, presumibilmente nei comuni di residenza delle predette famiglie: Castelbellino, Chiaravalle, Cupramontana, Fabriano, Jesi, Monte Roberto, Santa Marianuova, Serra San Quirico e Cingoli."

venerdì 8 gennaio 2010

Dio a posteriori

"E in verità la Scrittura indica chiaramente che Dio ha una figura, e che a Mosè, quando ascoltava parlare Dio, fu dato di scorgerla, riuscendo tuttavia a vedere soltanto le parti posteriori di Dio.” Spinoza, Trattato teologico-politico, I, 2

Ci scusiamo per l'interruzione

Il fastidio per gli ospiti dei talkshow televisivi che interrompono i loro interlocutori è cosa diffusa, vecchia, espressa spesso e condivisibile. La libertà di interruzione, di commento, di parlarsi sopra, è uno dei fattori che rendono pasticciati e cacofonici i dibattiti in tv, e che limitano la possibilità che argomenti intelligenti e approfonditi emergano. Però continuare a ripeterlo non aiuta, se non si prendono in considerazione due elementi. Il primo è che il divieto di interrompere è sciocco e controproducente quanto la libertà di interrompere: ci sono ospiti che costruiscono ragionamenti e accuse su una premessa falsa, e deve essere lecito mettere in discussione quella premessa prima che gli spettatori vengano sottoposti a un cumulo di scemenze fondate sul niente. Se dici una cosa che non è vera e poi pretendi di trarne conseguenze, io interrompo e ti chiedo di darne conto subito. Il secondo elemento è che la gestione del dibattito dovrebbe essere regolata dal conduttore, arbitro di ciò che fa crescere una discussione di cosa invece la abbatta. Ma il conduttore sa benissimo che la maggioranza degli spettatori (spesso gli stessi che protestano) vuole il litigio, se lo gode, e cambia canale se tutto assume toni pacati e ognuno parla a turno. E i conduttori disposti a fare pedagogia sono pochi, quelli che cercano la demagogia molti.
via Wittgenstein

Condor

Tutte le puntate dal 2006 alla fine (1 gennaio 2010).

Patto matto

Nel Lazio patto con la
Polverini, ma non con la PDL. In Puglia patto con Boccia, ma non con Vendola
o con il PD. In Campania patto di non belligeranza con l'Italia dei Valori,
ma non accordi né con il PD, nè con la PDL, nè con Bassolino, forse con
Mastella. In Sicilia patto con chi ci sta ci sta. Ma si è già votato e
siamo pure alla terza crisi. In Sardegna patto con chi potrebbe vincere. Ma
non si vota. In Umbria patto contemporaneo col PD e la PDL, col mistero di
come siano riusciti a stipularli. In Toscana patto con chi fa programmi per
la famiglia e il lavoro. In Emilia patto con la Confindustria locale e con
l'Associazione Bagnini. In Veneto patto con tutti quelli che sono contro
Zaia. In Friuli patto strategico con la CGIL, ma è solo formalismo, anche
lì non si vota. In Molise appoggia la lista di Famiglia Cristiana ma guarda
anche a Di Pietro, che ha casa lì vicino. In Lombardia patto strettissimo
con Formigoni e la PDL, da Comunione e Liberazione non si scappa. In
Piemonte patto parziale con sinistra e libertà, anzi solo col segmento
libertà, perchè è giusto scappare dalla sinistra. In Liguria patto
alternativo con i Camalli, con un occhio però a Montecarlo. Nelle Marche
patto intensissimo con i calzaturifici (Casini veste Todd's). In Calabria
avevano cercato rapporti con liste antindrangheta, ma quando si è capito
che avrebbero perso, hanno cercato rapporti con le liste pro ndrangheta. E
così sono tredici in tutto i patti stipulati per le regionali del 2010,
più tre strategici. Politica dei due forni? Beh io la chiamerei la politica
della patta. Anzi del "patto".

Nostalgie

A me piaceva il mondo bipolare: c’erano i cattivissimi Russi e i buonissimi Americani, i temibilissimi comunisti e i comprensivi democristiani… C’era la società senza classi dell’escatologia marxista e la città di Dio dei cristiani, e in mezzo c’era spazio un po’ per tutti, socialisti, socialdemocratici, repubblicani, liberali… E insomma, c’era da lavorare per tutti, e il nemico non era certamente la noia. Il buon Silvio ci ha provato a resuscitarlo, il vecchio mondo, ma non c’è stato verso: è che non ci crede neanche lui, in fondo. E poi, oggi, ci sono i magistrati, molto più pericolosi dei comunisti… Quelli, detta come va detta, non è che ci credessero tanto al nuovo mondo: ci andavano veramente, loro, in Russia, e vedevano che buttava male… Ma questi… Molti di loro ci credono veramente, anzi, ed è peggio, credono nella Legge, e sono convinti che il rapporto tra verità processuale e verità storica sia di 1:1.

giovedì 7 gennaio 2010

Eresie

Si puo' essere circoncellione senza essere donatista, e viceversa?

Russia con orrori

A KAREN JENSEN
Cara Karen, (...) vi voglio bene. Mi sforzo di essere duro, ma a volte la solitudine è un po’ troppo aspra. Sono stato a Leningrado per un mese. Lì tutto è abietto, spaventoso, inconcepibilmente infetto. Bisogna vedere per credere. Un orrore. Sporco, povero, ripugnante. Una prigione di larve. Tutto polizia, burocrazia e caos infetto. Tutto bluff e tirannia (...). Vi abbraccio forte, Louis F. Céline, 15 ottobre 1936

Dio a priori

A FRANÇOIS MAURIAC
Signore, venite da così lontano a tendermi la mano che bisognerebbe essere un selvaggio per non rimanere commossi dalla vostra lettera. (...) Niente tuttavia ci avvicina, niente può avvicinarci: appartenete a un’altra specie, vedete altre persone, sentite altre voci. Per me, semplicemente, Dio è un trucco per meglio pensare a sé stessi e non pensare agli uomini, insomma per disertare superbamente. Vedete come sono argilloso e volgare! Io sono schiacciato dalla vita, voglio che lo si sappia prima di creparne, del resto me ne frego, non ho che l’ambizione di una morte poco dolorosa ma ben lucida e tutto il resto è uno yo-yo. Molto sinceramente, L.F. Céline, 14 gennaio 1933

Il genio a posteriori

A ERIKA IRRGANG
Cara Erika, (...) siete una natura eccellente e coraggiosa - un po’ perversa e questo va bene - ma bisogna fare tutto con logica - il genio è una combinazione di follia e astuzia. Divenite francamente viziosa sessualmente. Questo aiuta a liberare dal romanticismo, la peggiore delle debolezze femminili - e soprattutto delle debolezze tedesche. Imparate a fare l’amore «da dietro». Aiuta ad accontentare gli uomini senza alcun rischio. Davanti è una piaga. Attenzione! Mille volte attenzione! (...)
L.F.Céline, 4 novembre 1932

Napolitano senza nuove in mano

Casini senza doppi fini

Berlusconsky senza cerottonsky

Pacificazione armata

"Se B. non otterrà nulla di concreto entro febbraio, allora è certo che farà saltare tutto."

mercoledì 6 gennaio 2010

Come la neve sei

Ice colosseo

E' inutile, in Cina ci copiano tutto. Ma basta un po' di sole e...

Il topo e la neve

La tigre e la neve



Anni zero

Non e' difficile scegliere la foto del decennio. Qui le altre: da Obama alle guerre ai disastri piu' o meno naturali.

Igiene verbale

Bandire certe parole sgradevoli non servirebbe a nulla perché ne sorgerebbero altre dello stesso tenore. Ma se anche si riuscisse a soppiantare il lessico comune con espressioni più o meno asettiche o edulcorate, come Orwell paventava in 1984, non per questo l’infelicità cesserebbe. «L’invalido si alza forse dalla carrozzella, o ci sta più volentieri, perché qualcuno ai tempi dell’amministrazione Carter ha deciso che lui è ufficialmente un “ipocinetico”?», si domandava Robert Hughes in La cultura del piagnisteo. E cosa guadagna una persona di bassa statura a farsi chiamare «verticalmente svantaggiata»? Ne guadagna (forse) solo il disonesto, quando lo si chiama «ethically disoriented».
Nel nostro Paese questa «pulizia linguistica» ha avuto fortuna soprattutto in ambito politico-sindacale. Così uscieri e infermieri sono diventati rispettivamente «personale non docente» e «paramedico», mentre professori e medici sono andati a occupare una non ben definita «posizione apicale». Qui non abbiamo rivali. Lo spazzino è diventato prima «netturbino» e poi «operatore ecologico», mentre il francese non ha che l’antiquato boueur, derivante etimologicamente da boue(fango), e il tedesco è fermo a Müllmann (uomo della spazzatura, spazzaturaio). Promuovendo l’imbianchino a «pittore (edile)» abbiamo emulato persino il Barocco, in cui il barbiere veniva chiamato «tonsore di guance». Ma mentre nel Seicento si trattava di ingegnosità anche umoristiche, oggi il senso del ridicolo sembra smarrito e si vorrebbe introdurre la cosmesi verbale anche nella scuola, dove si dovrebbe insegnare, a esempio, che invece di «pigro» si dice «privo di motivazioni» e invece di «zoo», che ricorda la cattività degli animali, «bioparco».
All’argomento è dedicato il convegno «sul sessismo e sul potere discriminatorio delle parole» svoltosi all’Università degli Studi di Roma «La Sapienza» sotto l’egida del Laboratorio di Studi Femministi «Annarita Simeone». Nel corso dei lavori sono state discusse «diverse proposte finalizzate alla presentazione di possibili usi linguistici ispirati al politicamente corretto (...) allo scopo di creare percorsi didattici non-discriminatori». La parte del leone l’ha fatta il cosiddetto sessismo del linguaggio, basato su di un equivoco molto diffuso, che porta a confondere il genere «naturale» con quello grammaticale, per sua natura largamente convenzionale. «Sentinella», non si riferisce a una soldatessa e con «la tigre» non si intende un animale di sesso esclusivamente femminile, altrimenti dovremmo dire, all’occorrenza, «sentinello» e «il tigre».
È naturale che questa «ipocrisia verbale» abbia provocato, specie nei Paesi latini, a cui non è congeniale, la reazione eguale e contraria del turpiloquio. Come ha scritto Massimo Arcangeli, «quasi trent’anni dopo la nascita del pc comincia, non meno integralista e sicura di sé, l’epoca della Nuova Sfacciataggine, che dice pane al pane, che non usa cerimonie». Se il «politicamente corretto» costruisce una lingua di plastica, qui il modello è la volgarità suburbana. Una proposta: se invece di «stronzo» o «diversamente intelligente» cominciassimo a dire «imbecille»? Non sarebbe la cosa più naturale?

Il foraggio dei giornali

Preghiera all’Ingegnere Mago. Carlo De Benedetti, che fine ha fatto la tua proposta di girare ai poveri giornali saccheggiati da Google una piccola percentuale delle bollette telefoniche? Mi sembrava un’idea sensata. Bisogna rilanciarla con una campagna pubblicitaria, la cui immagine potrebbe essere l’Emblema XV di Andrea Alciato (Adelphi ha pubblicato “Il libro degli Emblemi” dell’umanista cinquecentesco, 731 pagine, 80 euri, un’infinità di illustrazioni: a proposito, Roberto Calasso dove li trova i soldi per opere così strepitosamente anticommerciali?). Il quindicesimo emblema è un letterato munito di ali che non riesce a volare per colpa della pesante zavorra. La dicitura spiega la metafora: “L’indigenza impedisce ai più alti ingegni di progredire”. Senza il foraggio dei giornali Collodi non avrebbe scritto “Pinocchio”, Guareschi non avrebbe composto “Don Camillo”, D’Annunzio si sarebbe sparato prima di darci la “Pioggia nel pineto” e Oriana Fallaci non sarebbe nemmeno nata. De Benedetti, Ingegnere Mago, oggi è l’Epifania: scendi dal cammello e dona l’oro del tuo impegno ai letterati italiani al freddo e al gelo!

martedì 5 gennaio 2010

Quelli che benpensano

L'integrazione (e la derivazione parziale) degli islamici.

We read

Dovrebbe essere simile ad anobii, forse piu' cool.

W lo spreco

Piu' vero che provocatorio.

L’ultima è quella del pane. Se raccogliessimo ogni briciola e ogni avanzo, farebbero 244 mila tonnellate di cibo all’anno, pari a un miliardo di euro, abbastanza per 636.600 persone, col corollario immancabile e politicamente corretto di 291.393 tonnellate di anidride carbonica in meno. Com’è possibile? Semplice: possiamo permettercelo. Lo spreco non è uno scandalo, è la condizione dell’esistenza. Lo spreco è un giudizio soggettivo: esiste perché, nella nostra percezione, i beni scartati valgono meno dello sforzo che dovremmo fare per salvarli. Lo spreco esiste in qualunque economia non di sussistenza, e probabilmente anche lì. Ora, sarà vero che è possibile – a costo zero, o addirittura guadagnandoci – ridurre gli avanzi. In fondo, trovare un equilibrio è lo sforzo quotidiano di milioni di aziende, e di famiglie, che cercano di centellinare i quattrini. Il problema è pretendere di misurare lo spessore etico della gente con le baguette ammuffite, e trasformare uno sforzo individuale in un obbligo collettivo.

E poi non solo pane spreca l’uomo. Anche l’energia, che se solo spegnessimo il fottutissimo led rosso della tivù, bye bye Arabia Saudita. Per non dire dell’acqua, che se tenessimo le mutande del giorno prima ci disseteremmo eserciti di poveracci. E via via. Gran parte dell’isteria antispreco poggia su un pregiudizio: poiché con gli scarti di uno si potrebbe nutrire l’altro, tra le due cose si istituisce un nesso causale. Se Tizio non sprecasse, Caio starebbe benone. Se gli italiani abolissero il bidet, l’acqua zampillerebbe nel deserto. In verità, se mangiassimo tutto saremmo solo un po’ più obesi. Non c’è alcuna relazione, in generale, tra l’opulenza di questo e la miseria di quello. Anzi: è più spesso vero il contrario. Il povero sarebbe ancora più povero, se il ricco fosse meno ricco, perché questi consumerebbe meno. Lo ha detto incredibilmente bene nei giorni scorsi Victoria Beckham che, accusata di aver ecceduto nei regali, ha risposto: “La sobrietà non aiuta l’economia, la uccide”.

C’è semmai un legame, strettissimo, tra spreco e ricchezza (sociale così come individuale): non è che siamo ricchi perché sprechiamo (e per lo stesso motivo altri sono poveri), è che sprechiamo perché siamo ricchi. E se anche astrattamente fosse vero che l’uomo frugale sarebbe migliore di quello dalle mani bucate, il mondo vero è popolato dalla seconda categoria di individui. I primi vivevano nelle caverne. Pensarla altrimenti significa credere che esista uno stock finito di beni e servizi e dunque una fetta più grande va sempre assieme a un’altra fetta più piccola. Per dare l’acqua agli assetati c’è una sola scelta: farli diventare capitalisti e dotarli delle tecnologie necessarie a fare pozzi più profondi o desalinizzare l’acqua del mare, e stendere le condutture da dove l’acqua c’è a dove serve.

L’economia di mercato, occorre ricordarlo, è una prodigiosa macchina per creare e distribuire benessere e ricchezza: e in questo senso causa sprechi. Cioè: ci mette nella condizione di vivere di più e meglio, consumando più cose e migliori. Oltre tutto, le politiche antispreco costano più di quel che rendono (tant’è che sono agghindate da richieste di sussidi). Il confine tra le buone intenzioni e gli interessi più prosaici è davvero labile. Del resto, solitamente chi non spreca non ha nulla da sprecare.
Beato il mondo che non ha bisogno di risparmiare.

C.Stagnaro

lunedì 4 gennaio 2010

Caro Bettino

Le lettere.

Albert Camus

Il destino si prese gioco di Albert Camus il 4 gennaio di cinquant’anni fa. Doveva rientrare dalla Provenza a Parigi, aveva il biglietto del treno, ma l’editore Michel Gallimard lo convinse a partire con lui in auto. Morirono in un incidente stradale. Trovarono Camus privo di vita ma con il volto sereno e stupito; aveva in tasca il biglietto ferroviario della salvezza mancata. Portava con sé pure il manoscritto de Il primo uomo, che segnava il ritorno al padre e alla terra d’origine.
Camus non aveva ancora compiuto 47 anni, ma aveva già ricevuto il premio Nobel, era un personaggio di culto. Scrittore di grido, intellettuale di denuncia, filosofo esistenzialista, secondo la moda del tempo, star del teatro e dei giornali. E fratello maggiore dei ribelli, forse precursore del ’68. Eppure la fama di Camus soffre di emiplegia: si ricorda soltanto il suo lato corretto e scontato, la critica al nazismo e alla pena di morte, la resistenza, il libertarismo laico e insofferente, la fama di intellettuale gauchiste, la sua origine umile di immigrato algerino. Meno si ricorda la sua rottura con il Partito Comunista, in cui militò brevemente, la polemica con Sartre, cattivo maestro, e la sua spiccata solitudine rispetto agli intellettuali organici e ai profeti delle masse, lui accusato da loro di essere «moralista disimpegnato»; il suo senso religioso e nietzscheano, l’assurdo come chiave della vita e la diffidenza per la ragione storica e progressiva; il suo amore per la cultura e la luce mediterranea, la predilezione per la bellezza e per la filosofia neoplatonica.
Sappiamo cosa resta di Camus narratore: opere come Lo straniero e La peste, e non solo. Ma sul piano delle idee e dei saggi, prima che per una teoria, un’opera, o il rigore di una filosofia, Camus merita di essere ricordato soprattutto per tre cose. In primo luogo Camus ha capito che la filosofia come sistema e come carriera accademica, come scienza astratta e come linguaggio astruso, era ormai finita. Certo, restano nel Novecento grandi filosofi, come Heidegger e Wittgenstein, Croce e Gentile, Bergson e Ortega, e altri. Ma dopo Nietzsche, Marx e Dostoevskij, la filosofia è morta. Il nichilismo non annuncia solo la morte di Dio, ma attesta anche la morte della filosofia, il suo disfarsi. La tecnica ne ha preso il posto da quando l’agire domina sul pensare. Alla filosofia è possibile vivere solo uscendo dalla teoria e dall’accademia ed entrando nella vita, fin dentro la sua condizione assurda. Farsi esistenza e racconto, pensare ad altezza d’uomo, incontrando l’universalità nell’esperienza personale.
Camus ha cercato di rianimare il pensiero con l’arte, ha cercato il punto di fusione tra filosofia e letteratura, e lo ha trovato nella vita alla luce del sole. Qui s’incontra il secondo grande motivo di fascino dell’opera di Camus. Il suo pensiero si radica nel paesaggio, nel sole, nel mare, nei colori del Mediterraneo. Pensiero meridiano chiamò Camus la sua geofilosofia; «il Mediterraneo dove l’intelligenza è sorella della luce cruda». Una filosofia profondamente meridionale, greca e latina, animata dal genius loci. Nella sua visione del mondo affiora il lucore dell’infanzia algerina e poi della Provenza, descritti nei suoi magnifici saggi solari dedicati all’estate e al ritorno. Una passione speciale nutre Camus per l’Italia, vista come sintesi tra la sua terra nativa, l’Algeria («la dolcezza di Algeri è piuttosto italiana») e la sua terra d’elezione, la Provenza. L’Italia, scrive ne Il rovescio e il diritto, è la «terra fatta secondo la mia anima».
Nella sua filosofia del paesaggio c’è un riferimento remoto, classico, ed uno vivente, prossimo. Il primo è Plotino, metafisico della bellezza e dell’Uno, venuto dall’Egitto a Roma, che per Camus «pensa d’artista, sente da filosofo... la sua ragione è vivente, piena, commovente come un melange di acqua e di luce», sul filo di una solitudine innamorata del mondo e di una «squisita malinconia». Parlando di Plotino, Camus parla di se stesso. Il riferimento prossimo è invece Jean Grenier che fu suo insegnante e poi suo amico e che lo folgorò da ragazzo con i suoi scritti dedicati al mare, alle isole e all’ispirazione mediterranee, sulla scia di Paul Valéry. Il maestro sopravvisse al discepolo e scrisse su Camus un libro di ricordi.
Per Camus la rivolta è una ribellione metafisica contro la condizione umana, non riducibile alla rivoluzione sognata dalle ideologie totalitarie di massa. La rivolta di Camus conserva il fremito della libertà e l’impronta della solitudine, non si fa mai imposizione. La sua rivolta non nasce dall’insofferenza verso il reale, dall’odio per l’esistente e verso la propria patria, ma al contrario: «Sceglieremo Itaca, la terra fedele, il pensiero audace e frugale, l’azione lucida, la generosità dell’uomo che sa. Nella luce, il mondo resta il nostro primo e ultimo amore». Non l’utopia del mondo migliore e dell’uomo nuovo, ma la solidale fratellanza con l’uomo e il mondo reale.
Da ragazzo, cercando motivi di rivolta opposti alla retorica rivoluzionaria dei contestatori, lessi insieme La rivolta ideale di Oriani, Rivolta contro il mondo moderno di Evola e L’uomo in rivolta di Camus. Fui colpito dalla morale eroica del ribelle camusiano che preferisce «morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio» e nel Mito di Sisifo aggiunge: «ciò che si chiama ragione di vivere è allo stesso tempo un’eccellente ragione di morire». Il suo ribelle non cade nel narcisismo dorato del dandy, ma neanche nel cupo settarismo del rivoluzionario di professione. Camus non celebra la morte di Dio, ma lotta con Dio incessantemente; la sua fu una religiosità polemica.
Camus tracciò una filosofia dell’amore. «Se fossimo déi non conosceremmo l’amore» dice con Platone; ma «l’uomo - scrive nei Taccuini - si realizza solo nell’amore perché vi trova in forma folgorante l’immagine della propria condizione senza avvenire». Camus sottrae l’amore all’eternità e lo rende umano, cioè fugace. Il suo fascino è la sua precarietà, il suo tramontare.
Amo di Camus l’atmosfera pomeridiana della siesta, la nostra meridionale controra, la metafisica del caldo, il ronzìo delle mosche e il sapore mediterraneo dell’anisette che diventa pastis in Provenza, l’incanto del mare, la solitudine come sete d’eternità, gli dei che «parlano nel sole e nell’odore degli assenzi...».
M.Veneziani

Che fine fara' il PD?

Che fine farà questo Pd? La rissa villana accesa in Puglia dalla contesa per la candidatura regionale tra Emiliano e Vendola dimostra la ambigua e fragile identità del Partito democratico.
Non è grave che ci si accapigli per interesse o per passione, ma è grottesco litigare scialacquando vistosamente il patrimonio di famiglia, cioè l’idea di un partito nuovo, fatto di cose nuove, con una pratica della politica non più legata alle tradizioni di clientela o di apparato che furono tipiche della storia democristiana, socialista e comunista.
Spero che i postdemocristiani, i postcomunisti e i postsocialisti che hanno dato vita al Pd, Bersani tra questi, riconoscano l’evidenza: se le primarie non fossero una specie di scelta facoltativa nelle mani degli apparati e dei gruppi di potere, ma una regola senza eccezioni per la scelta dei candidati, corredata da limiti per i mandati, la rissa non ci sarebbe stata e la brutta figura, con se stessi prima che con il mondo esterno, sarebbe stata evitata.

Ma poi non è questione di brutte figure, bensì di sopravvivenza.
La maggioranza bersaniana vuole normalizzare il partito dopo la “sbronza” veltroniana.
“Basta con la bella politica liquida, vogliamo la politica solida”, suggerisce il comportamento del nuovo segretario.
Ma non ha il coraggio di dirlo apertamente. Il Pd deve restare un progetto nuovo, però con un significato e un modo di operare vecchio.
E così si genera il casino alla barese e si liquida ogni credibilità. Vogliono veramente tornare indietro?
Lo proclamino con coraggio, e si muovano di conseguenza cercando altrove carisma e legittimazione politica, altro che primarie a giorni alterni. La minoranza, che quando era maggioranza ha vissuto di false promesse e di orizzonti solo virtuali, e velleitari, ora che è sconfitta si comporta come una corrente qualunque di un vecchio partito.
Tutti continuano a raccontarsi la frottola del radicamento nel territorio, della necessità di fare tessere e circoli completamente inutili, di premiare la militanza vecchio stile, di selezionare i gruppi dirigenti come si faceva una volta e come si farà sempre, dicono, per cooptazione più o meno mascherata.

Il partito del “loft” era un’americanata interessante, come idea, e sarebbe diventata una cosa seria se avesse istituzionalizzato poche chiare regole: niente tessere, il potere è a chi vota nelle primarie e finanzia il partito, l’esercizio dell’autorità è affidato agli eletti locali e nazionali, non c’è un gruppo dirigente vecchio stile ma un coordinamento che fa fund raising e scandisce le date, le convocazioni e altri adempimenti di raccordo.
Niente “caminetto” dei vecchi capi indiani. Il Partito unisce e mette in rete anime diverse, centri diversi di attivismo sociale e politico, associazioni, sindacati, soggetti creativi della famosa società civile e altri gruppi organizzati a vario titolo, ciascuno dei quali ha spazio per farsi valere, cioè per eleggere i suoi consiglieri, assessori, deputati e senatori: il pd avrebbe avuto senso in questa dimensione, competitiva con il populismo leaderistico del partitone di centrodestra, mentre sfiorisce, a partire dal nome e dalla collocazione anomala in Europa, se funziona come un coacervo male assortito di vecchie correnti con il belletto della democrazia all’americana.

A questo punto, se il progetto vero, sottostante, sia quello di restaurare la vecchia logica politica dei partiti tradizionali, bisogna dirlo chiaramente e praticare l’obiettivo con spregiudicatezza.
Può essere che non ci sia alternativa, che non sia l’Italia il luogo per sperimentare nuove dimensioni della lotta politica, nonostante siano passati vent’anni dalla caduta del muro di Berlino, nonostante il rigetto così diffuso dell’impostazione old fashion, nonostante il successo selvaggio di un Berlusconi nel coniare inedite e inaudite forme partitiche.
Caro Bersani, caro D’Alema: se l’idea di un Partito democratico è sfiorita vorremmo saperlo dalle vostre bocche.
Ma il giochetto del partito-società con le regole del Cominform o dei congressi democristiani, quello no, non è il massimo che possiate offrire alla scalcagnata politica italiana.

Giuliano Ferrara

sabato 2 gennaio 2010

In fondo all'anno

"Il fiume scorreva placido e lento, lì a due passi, sotto l'argine, ed era anch'esso una poesia: una poesia cominciata quando era cominciato il mondo e che ancora continuava. E per arrotondare e levigare il più piccolo dei miliardi di sassi in fondo all'acqua c'eran voluti mille anni.E soltanto fra venti generazioni l'acqua avrà levigato un nuovo sassetto.E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l'ora su macchine a razzo superatomico e per far cosa? Per arrivare in fondo all'anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso Bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino".
(Giovannino Guareschi - Don Camillo)