La sete uccide più della fame. E molto più in fretta. Partendo da questa considerazione si potrebbe pensare che quello che si beve influenzi la civiltà, e il modo di vivere, più di quello che si mangia. Ecco che allora ha senso parlare di cultura del bicchiere. Una cultura che contrappone la primitività dell’acqua alle civiltà del vino, della birra e, perché no, del latte (quello a cui adesso la Coca-Cola Company vuole aggiungere le bollicine, portandoci ad un ulteriore passo evolutivo). Almeno questa è la tesi che sta alla base di tutto un nuovo filone di ricerca a cui si stanno dedicando storici e sociologi. Ad esempio, Una storia del mondo in sei bicchieri (Codice edizioni, pagg. 224, euro 22) è diventato un classico del genere. L’autore Tom Standage, è una delle penne più apprezzate dell’Economist, riassume la civiltà in sei tappe tutte da tracannare. Un mondo mesopotamico che scopre la fermentazione e beve birra da cannucce di paglia (evitandosi così tutte le infezioni che provengono dall’acqua sporca); una civiltà greco romana che fa del vino la sua piattaforma culturale; un mondo moderno e coloniale costruito sul rum e sui distillati della canna da zucchero; e, infine, la grande accelerazione della modernità fatta di caffeina, di imperiali tazze di the e di bolle zuccherose che culminano nell’era della Coca-Cola.
Matteo Sacchi
La pupa e il secchione
2 mesi fa
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