Se, ideologizzati, miopi e sfaticati, non siamo in grado di pensare alle Nostre libertà, ai nostri diritti e ai nostri doveri, e al Meglio per il Paese tutto, allora sì che significa che non siamo un Paese Normale.
Guardiamoci nelle palle degli occhi sinché sono quelle degli occhi, signori della sinistra e della destra, e onorevoli colleghi, spettabili magistrati, fotografi, comici, saltimbanchi e battone: i continui e fuorvianti paragoni con l’estero non funzionano perché noi siamo l’Italia e non l’estero; sembra un’ovvietà e invece è la piattaforma da cui dovremmo ricominciare a discutere. Non corrispondere al famoso paese normale non significa essere sempre e comunque anormali: significa anche essere l’Italia. Non è il solito discorso consolatorio, questo: il realistico riconoscimento che ogni anormalità, da noi, si specchia in un’altra, a ogni peso eccessivo corrisponde un contrappeso eccessivo, a ogni casta una contro-casta, a certa politica certa magistratura, a certa Mediaset certa Rai, a certo Vaticano certo paese reale. E via così: e allora che facciamo? Chi si schioda per primo dalla propria anormalità? Chi cede posizioni illudendosi che la controparte faccia altrettanto? La domanda, perciò, nella fattispecie diventa questa: credete seriamente che il paese normale dovrebbe inaugurarlo un Berlusconi che si dimettesse perché una escort ricattatrice gli si è infilata nel letto? E questo per il fatto che in Finlandia, magari, un premier non avrebbe avuto scampo? Pensate davvero che la conversione di un Paese possa cominciare da Patrizia D’Addario?
F.Facci
Un anno bellissimo [Parte I]
4 anni fa
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