sabato 25 luglio 2009

Un Paese normale

Se, ideologizzati, miopi e sfaticati, non siamo in grado di pensare alle Nostre libertà, ai nostri diritti e ai nostri doveri, e al Meglio per il Paese tutto, allora sì che significa che non siamo un Paese Normale.

Guardiamoci nelle palle degli occhi sinché sono quelle degli occhi, signori della sinistra e della destra, e onorevoli colleghi, spettabili magistrati, fotografi, comici, saltimbanchi e battone: i continui e fuorvianti paragoni con l’estero non funzionano perché noi siamo l’Italia e non l’estero; sembra un’ovvietà e invece è la piattaforma da cui dovremmo ricominciare a discutere. Non corrispondere al famoso paese normale non significa essere sempre e comunque anormali: significa anche essere l’Italia. Non è il solito discorso consolatorio, questo: il realistico riconoscimento che ogni anormalità, da noi, si specchia in un’altra, a ogni peso eccessivo corrisponde un contrappeso eccessivo, a ogni casta una contro-casta, a certa politica certa magistratura, a certa Mediaset certa Rai, a certo Vaticano certo paese reale. E via così: e allora che facciamo? Chi si schioda per primo dalla propria anormalità? Chi cede posizioni illudendosi che la controparte faccia altrettanto? La domanda, perciò, nella fattispecie diventa questa: credete seriamente che il paese normale dovrebbe inaugurarlo un Berlusconi che si dimettesse perché una escort ricattatrice gli si è infilata nel letto? E questo per il fatto che in Finlandia, magari, un premier non avrebbe avuto scampo? Pensate davvero che la conversione di un Paese possa cominciare da Patrizia D’Addario?
F.Facci

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