Per Hegel la storia, le vicende degli uomini, i fatti, sono espressione del divenire della Ragione. La Ragione, l’Assoluto secondo Hegel, dialetticamente diviene inverando il reale, secondo il logorato assunto: “Tutto ciò che è reale è razionale e tutto ciò che è razionale è reale”. Il divenire dell’Assoluto però lascia fuori, esclude, ambiti dell’esistere non razionalizzabili. Così è per la Siberia, ma anche per il continente africano, “il continente bambino”, che agli occhi del filosofo non sono comprensibili con il lume della ragione, dunque vanno ignorati. Dostoevskij legge in quest’analisi, una rimozione del dolore da parte di Hegel. La convinzione hegeliana che tutto si debba leggere come una progressiva e sempre più ricca manifestazione della ragione, cela un grande patimento personale.
La costruzione magnifica di un sapere onnicomprensivo è una sorta di gigantesca rimozione di ciò che non si lascia ridurre alle categorie dello spiegabile. L’orrore di esistere, di essere gettato nella vita, la kierkegaardiana angoscia di vivere nella disperazione di esserne consapevoli, è per Hegel talmente insostenibile da doverla cacciare oltre il limite del comprensibile. Ciò che non è razionale è indefinibile, inspiegabile, dunque da ignorare. Sicuramente il dolore non è spiegabile. Per Dostoevskij, al contrario, l’esperienza del dolore personale, la smisuratezza delle sofferenze umane, il precipitare all’Inferno come dovette essere l’esperienza siberiana, è l’unica via di accesso al Paradiso.
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