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Si', viaggiare
Non avrebbe oggi più senso una pagina piena di divagazioni erudite e di percorsi puramente descrittivi dentro paesaggi colti e musei che qualunque ben fatto documentario televisivo può mostrarci in maniera più completa e soddisfacente. Per decenni diversi scrittori italiani sono andati in giro per il mondo soltanto per mostrare la bellezza virtuosistica della loro penna, il massimo esempio ne fu Giorgio Manganelli. Oggi non sarebbe più possibile. La globalizzazione ha creato scenari inediti.
1 commento:
Anche il viaggio si è addomesticato: non più ricerca ed esperienza autentica, individuale, di confronto con l’altrove, bensì autoaffermazione, semplice spostamento nello spazio incapace di privazioni e anzi, se possibile, in cerca degli stessi comfort, degli stessi simboli, degli stessi gusti, degli stessi suoni, del luogo di partenza. Spesso in branco. Spesso brancolanti più che viaggianti.
Ecco che cosa ha finito per rappresentare certa recente «letteratura di viaggio». Solo una diversa esperienza di massa. Non la massa delle crociere ma la massa dei trekking patagonici organizzati. Che ne è della letteratura di viaggio, considerato che essa si nutre dell’altrove quando l’altrove batte in ritirata sotto l’assedio del villaggio globale? Ne è che non sta molto bene. Ma il malessere della letteratura di viaggio non dipende solo dalla crisi dell’altrove, bensì da una sua crisi di identità. Essa fallisce nel momento in cui rappresenta quei cliché, quando scimmiotta i maestri facendo epigonismo senza essere fondativa, quando trasforma un ritornello in cantilena, senza lasciare nel lettore la sensazione di un arricchimento.
La crisi della letteratura di viaggio può coincidere paradossalmente con il suo stesso successo, nel momento in cui non racconta più l’incontro con l’altrove. La letteratura di viaggio è in crisi ogni volta che scambia l’altrove con una variazione dell’identico».
La verità è che «l’esperienza del viaggio non è faccenda di distanza o di esotismo. Il viaggiare non è tanto più autentico quanto più lontana e strana è la sua meta. Nella confusione tra viaggio e distanza si nasconde una delle sue più insidiose contraddizioni: a maggior ragione nell’epoca del viaggio globale, dove nessun luogo è per davvero così distante. Nessuna meraviglia circa l’utilizzo crescente di strumenti tesi a semplificare, a ridurre, ad eliminare, la fatica del viaggio. Tra i viaggi virtuali di internet, i navigatori satellitari per le auto e i GPS si dà una forte continuità e una stretta coerenza. Pensiamo a cosa significa percorrere perfino un semplice sentiero di montagna, del tutto privo di rischi, con l’aiuto di uno strumento che vede per noi, ci orienta, ci colloca spazialmente, e ci dice dove posare lo sguardo per osservare questa o quella cosa notevole. Si tratta a lungo andare di una vera e propria sostituzione di personalità (mente e corpo), che deprime le esperienze fondamentali del corpo e del viaggio, il dimorare dell’uomo sulla terra come un ripararsi ed un uscire contestuali, e senza cui non c’è vita umana. Il viaggio diventa un viaggio già viaggiato. Il corpo una semplice apparenza estetica. La vita una vita già vissuta».
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