Apprendiamo dalla viva voce di Oscar Luigi Scalfaro, che esterna dalle colonne di Repubblica: “Mi sono posto il problema”. Quale problema? Il problema di Berlusconi è che non risponde alle domande. Le domande di Repubblica.
Oscar Luigi dunque si pone il problema; simile a quello del giornale che lo intervista. E lo risolve prontamente: “Penso che dovrebbe rispondere. Quando un uomo di Stato è invitato a dare spiegazioni in Parlamento su comportamenti che possono apparire privati ma lasciano ampi margini alla discussione pubblica, l’appello non può restare inascoltato”.
Invitato da chi? Da Repubblica, che da due mesi pubblica una lista di dieci domande, lista via via aggiornata mentre i vari pettegolezzi su cui si basa svaniscono nel nulla o nell’inattendibilità. Lista corredata da tanto di “English version”.
Scalfaro si è “posto il problema” che nessuno risponde a quella lista. “L’appello non può restare inascoltato”. L’appello di Repubblica. Che non sapendo più a che santo rivolgersi, riesuma l’ex capo dello Stato, che in queste occasioni (referendum, appelli, comitati anti-Berlusconi) torna sempre buono.
Chissà se si tratta dello stesso Oscar Luigi Scalfaro che quando era al Quirinale, alle 22 e 30 del 3 novembre 1993, sequestrò tutti i network televisivi nazionali per diffondere un suo messaggio a reti unificate. Il messaggio del “Non ci sto!”. A che cosa non ci stava?
A rispondere alle accuse dell’ex presidente di una commissione d’indagine parlamentare (Filippo Mancuso), che proprio in Parlamento sostenne che quella commissione era arrivata alle conclusioni che l’ex ministro dell’Interno dell’ultimo governo Craxi “riceveva una dazione mensile in denaro da parte del Sisde”. E chi era quel ministro dell’Interno? Scalfaro.
Dunque, accusato in Parlamento da un presidente di commissione parlamentare (e non da un giornale) di aver ricevuto “dazioni” dal Sisde, Scalfaro che cosa fece? Si precipitò in Parlamento a rispondere? L’immacolato Scalfaro se ne guardò bene a rispondere ad appelli di rilievo e contenuti ben diversi. Approfittò della poltrona quirinalizia e trasmise il proprio sberleffo all’opinione pubblica, al Parlamento e alla nazione: “Non ci sto!”. Fine. Eccolo, il campione di moralità e rispetto della Costituzione che da allora impartisce lezioni di antiberlusconismo.
Naturalmente Repubblica si guarda bene dal rievocare quel famoso “Non ci sto”. Al quotidiano di Carlo De Benedetti interessa proseguire infaticabile nella sua campagna di discredito, tesa ad insegnare a tutti, Pd in testa, come si fa davvero l’opposizione. E dunque, riesumato e riposto in armadio Scalfaro, passa nientemeno che alla “stampa diocesana”. “…Sono solo alcuni dei titoli dedicati al caso Berlusconi dai settimanali diocesani sulla scia dei richiami fatti da Famiglia Cristiana…”.
Il giornale di Ezio Mauro è – come si vede – sempre al pezzo (della mitragliatrice). Svanito dopo il G8 il tormentone della “stampa internazionale”, un po’ per il successo del summit dell’Aquila, un po’ perché si è scoperto che gli “autorevolissimi” giornali di Murdoch si divertivano a spiare e ricattare politici, attori e calciatori, Repubblica lancia una nuova categoria di mass media alla quale far riferimento: ne fanno parte il Corriere Cesenate (“tra i più taglienti il suo giudizio”) ed anche La Cittadella di Mantova (“che dedica un editoriale indignato”). Ma non trascura Il risveglio popolare (“del Canavesano”), e neppure La voce del Logudoru (“di Ozieri”). E come lasciar fuori L’Appennino Camerte?
Riepiloghiamo. Un ex capo dello Stato accusato dal Parlamento di aver ricevuto, da ministro dell’Interno, fondi neri del Sisde, che anziché riferire al Parlamento sequestrò televisioni pubbliche e private per mandare sostanzialmente tutti – Camere o opinione pubblica – a quel Paese: “Non ci sto!”. E che dopo è diventato il leader morale dei girotondini. E ora dà lezioni di etica istituzionale a Berlusconi per conto di Repubblica. Oltre a questo, alcuni giornali parrocchiali di sinistra indignati.
La pupa e il secchione
2 mesi fa
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