Langone, piedi per terra e vino vicino.
Orazio, non ricordavo di essere così oraziano. Mi ci ritrovo molto nel tuo Millennio Einaudi, che godo di più da quando ho smesso di leggere le note del prolisso professor Carena, capace di impiegare venti pagine scritte in corpo piccolissimo per spiegare le diciotto in corpo grande della molto comprensibile “Arte poetica”. Quante domestiche meraviglie: il carpe diem, il vino consolatore, la cicoria, i ceci, i cinghiali lucani, l’ostilità verso gli Arabi, l’ossessione per i nomi delle ragazze, la fuga dal volgo profano, il giudizio sul furore popolare che René Girard duemila anni dopo chiamerà desiderio mimetico, l’amore per la provincia, per la vita comoda, per la Venere facile, la tentazione della vigliaccheria confliggente con la consapevolezza che lo scrittore debba pagare le proprie parole, anche caricandosi del ridicolo… Non ricordavo il tuo senso del sacro, l’idea che mare e cielo appartengano agli dei e che il viaggiatore si renda colpevole di empietà. Orazio, fratello Orazio, io anche quest’estate non salirò nemmeno su un aliante, nemmeno su un gozzo sorrentino: terrò sempre il bicchiere vicino e i piedi per terra. Farò della mia vita una tua poesia.
La pupa e il secchione
2 mesi fa
1 commento:
Ego quoque.
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