venerdì 31 luglio 2009

Non est bibendum

Questo stordirsi all’aperto dei giovani, che bevono vagando col bicchiere in mano tra bottiglie che rotolano, da noi prima non c’era. Si vedeva nelle città inglesi fuori di certi pub, dove la gente agitava i boccali di birra così ubriaca, da non sapere se votarsi a una rissa o salutarsi. Ed erano semmai gli studenti americani che abusavano di quelle bevute selvagge, che però all’Europa latina di una volta davano il disgusto. Perché certo, anche nel nord d’Italia si beveva, ma al chiuso, e si esagerava giocando a carte al bar.
In un’altra maniera quindi, e non in quella posa cinematografica dei nostri giovani, che a Campo dei Fiori o in Corso Magenta sono tutti lì ad affollarsi per strada, contagiati, americanizzati da tv e filmetti americani. Perché neanche in Veneto si beveva come bevono i giovani ora. Fino a qualche settennio fa, non solo si restava al chiuso, ma il bere poteva ancora quasi dirsi riflesso di fami ataviche, di un vino cibo di riempimento, da esagerare in un rito ingenuo. Il bere era per l’appunto più ingenuo, meno sceneggiato ed estroverso. Ora è una vera posa etilica recitata: la replica di quanto succhiato in anni di video o tv.
E però, per quanto innaturale agli italiani, questo vizio, come non pochi altri e pessimi esiti della globalizzazione, ormai dilaga. E giustifica la severità del Comune di Milano. Perché quello stordirsi degli europei del nord per quanto disgustoso, ha almeno una spiegazione. Li aiuta, siano inglesi o tedeschi a separarsi da una comunità che li ingloba, e sovente li comprime. È per loro vincere l’atavica timidezza e un dare quindi forza maggiore, seppure precaria, all'individualismo. Ma in una nazione in cui i vincoli e i divieti comunitari hanno la povera forza che hanno in Italia, invece il bere peggiora solo le cose. In una nazione, come la nostra, di sfacciati individualisti, l’alcol eccita soltanto i nostri vizi. Ai nostri guai ne somma di ulteriori; senza importare nessuno dei molti pregi che almeno quelle nazioni hanno da sobrie.
G.Alvi

Attenti alle capre

Letterature

Bisogna esaurire le lacrime e le risate prima di mettersi a scrivere. Truman Capote
Quando riesci a far ridere o piangere la gente con appena qualche segno nero su una pagina bianca, cos'e' la letteratura se non uno scherzo? Kurt Vonnegut
Ero convinta di dover prendere nota dei miei sogni, che fosse quello il modo per fare poesia. Pensavo che se avessi mangiato un sacco di formaggio scadente prima di andare a dormire avrei avuto visioni notturne di un certo spessore. Elizabeth Bishop
The Paris Review. Interviste

I meglio libri / 8

Basta con i libri dell’estate, coi gialli da ombrellone, col romanzone-primo-in-classifica. Basta con i Bildungsroman alla Vaccinara di Federico Moccia che durano lo spazio di un bagnino. Piuttosto meglio i racconti fuori dal tempo e dalle mode di un narratore di razza che ha attraversato il Novecento come Manlio Cancogni: l’antologia La sorpresa (Elliot) raccoglie i più belli, scritti tra il 1936 e il 1993. Basta con gossip, pettegolezzi, cronache a luci rossa di riviste patinate e quotidiani patetici. Se volete un’estate veramente hot, leggete la raccolta di racconti erotici Nella tua carne (Einaudi), storie di seduzioni e di sesso, di lolite e amori senili, di equivoci e vendete, di tradimenti e rimpianti. Firmate, invece che da pennivendoli moralisti, da grandi libertini come Denon e De Sade, decadenti come Barbey d’Aurevilly, surrealisti come André Pieyre de Mandiargues, "metafisici" come Julio Cortázar... Ecco il vero piacere dei sensi.
E basta anche con le prediche civil-popolari della ditta Saviano&Santachiara. Per un’estate dis-impegnata la lettura obbligatoria sono i saggi raccolti in Homo poeticus (Adelphi) di Danilo Kis, scrittore jugoslavo morto nel 1989, un attimo prima della dissoluzione della sua patria e del suo mondo. Un autore senza etichette né ideologie che parla della grande letteratura europea e americana, dei deliri del Novecento, del senso ultimo dello scrivere (e del leggere): «La scrittura è vocazione, mutazione dei geni e dei cromosomi; si diventa scrittori come si diventa strangolatori ... La scrittura è vanità. Una vanità che talvolta mi sembra meno inutile di altre forme di esistenza. Scrivo, dunque, perché sono insoddisfatto di me stesso e del mondo. Per esprimere quest’insoddisfazione. Per sopravvivere!».
E infine, per tutti i turisti ciabattoni che prendono d’assalto città d’arte, musei, castelli e abbazie: basta con le visite mordi-fuggi-dimentica, intruppati, accaldati, annoiati pur di vedere un capolavoro di cui, alla fine, non si capisce niente. Allora, meglio starsene in poltrona, tranquilli, e sfogliare un vero capolavoro come le opere di Cesare Brandi (1906-1988), fondatore dell’Istituto centrale del Restauro, professore universitario, critico e storico dell’arte: i suoi Viaggi e scritti letterari sono una "guida" meravigliosa per imparare ad amare l’arte, dalla Grecia antica alla Toscana rinascimentale.

Weekend col morto

No, non e' il famoso film. Succede davvero, oggi.

Un'intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d'amore
Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita

Una via lunga e profonda millenni

E' stata appena inaugurata una mostra ai Musei Capitolini («Via dell’Impero. Nascita di una strada», fino al 20 settembre, catalogo Palombi, informazioni al numero 06 0608). Naturale prosecuzione della mostra dello scorso anno («L’invenzione dei Fori Imperiali. Scavi e demolizioni»).
Roma, autunno del 1931. Mussolini, in basco e pantaloni alla zuava, batte alacremente col piccone, gettando da parte tegole frantumate e mattoni. Sono cominciate le demolizioni nella zona dei Fori per costituire il tracciato di quella che verrà chiamata la Via dell’Impero, celermente ribattezzata nel dopoguerra Via dei Fori Imperiali nell’ambito della «defascistizzazione» della capitale. Problematica la nascita di Via dell’Impero, scenografico asse viario che collega piazza Venezia al Colosseo, riscoprendo il cuore monumentale della città imperiale. Esaltata dal celebre scrittore e critico d’arte Ugo Ojetti come «una di quelle luminose vie romane lunghe non chilometri ma millenni», la strada anni dopo riceverà più critiche che osanna.
Consenso e nostalgia è il doppio registro della grandiosa operazione urbanistica che sancisce la nascita della «nuova Roma» ma dice addio a due chiese medioevali, assiste allo spianamento della collina della Velia e alla cancellazione della cinquecentesca via Alessandrina.È stato troppo alto il costo delle demolizioni per riscoprire i Fori e aprire Via dell’Impero? Umberto Broccoli, sovraintendente ai Beni culturali del Comune di Roma, non si sbilancia: «Alla provocazione di smontarla risponderei: quale livello salvare? Quello del Foro di Cesare, Augusto o Traiano? Si badi che per ogni Foro corrisponde una discesa in metri». La scelta nasce proprio dalla natura delle nostre città che prima di essere romane sono state greche, sabine, picene, celtiche. E poi sono state comunali e papali e principesche. Uno strato sopra l’altro. E scavando non si scende di metro in metro ma di millennio in millennio.

Neda

Una martire modernissima

Gli occhi di Neda non daranno pace ai mullah. Una maschera occidentale

Neda Soltan è il martirio e la modernità. Il martirio simbolizzato dalla sua maschera mortuaria che ha fatto il giro del mondo. La modernità del volto sereno senza chador, con la camicetta aperta, da cui si intravede una croce, forse cristiana. Neda lavorava in un’agenzia di viaggio, non era nessuno prima della morte. Ora è tutto. E’ il pegno di libertà del mostruoso regime degli ayatollah. Ieri sono trascorsi i quaranta giorni dalla sua uccisione durante le manifestazioni di piazza contro il regime islamico. Quaranta giorni di lutto fondamentali nella tradizione sciita. Neda è l’altro volto dell’Iran, un volto migliore di quello brutale, fanatizzato e violento di Mohammed Alirezaei, il nuotatore di Teheran che due giorni fa ha boicottato i cento metri rana ai mondiali di nuoto di Roma perché si sarebbe trovato in acqua con un israeliano. La polizia iraniana ieri ha picchiato pesante con bastoni, manganelli e cinture sulle persone che si erano raccolte nel cimitero dove è sepolta Neda. Nei giorni scorsi il regime ha anche strappato poster della ragazza da numerose strade della capitale. I mullah sono ossessionati da quegli occhi aperti in punto di morte.
Neda è un’icona molto occidentale, anche per questo fa paura ai custodi del khomeinismo.

Neda non ha i lineamenti tragici della “madonna di Bentalha”, il simbolo della popolazione algerina massacrata dagli islamisti. Neda non aveva occhi misteriosi e lontani come quelli di Sharbat Gula, la ragazza afghana immortalata da National Geographic. Neda indossava jeans e chador, l’uniforme delle ragazze iraniane che, come lei, hanno pagato un prezzo di sangue altissimo per le proteste contro il regime. Neda aveva ventisei anni, come il 60 per cento della popolazione iraniana. Era una moderna ragazza qualunque. Non sappiamo come finirà la rivolta, forse il regime ne uscirà addirittura rafforzato a seguito delle faide interne alla cricca di potere. Forse il secondo mandato di Ahmadinejad mostrerà un volto ancora più ferino del primo. Quel che è certo è che gli occhi aperti di Neda, in punto di morte, non daranno mai pace agli eredi di Khomeini. Non sono riusciti a chiuderli.

giovedì 30 luglio 2009

Sghei veneziani

Chi è cresciuto in una realtà talvolta è il più inadatto a giudicarla, non il contrario. Il discorso vale per Massimo Cacciari come per l’amico Renato Brunetta, che ancora ieri, incredibilmente, diceva che Venezia non deve diventare la nostra Disneyland. No, certo, non deve diventarlo nel senso che lo è già diventata da almeno quarant'anni: eppure continuano a discuterne come se la questione esistesse. Venezia non è una città, è un avamposto del turismo mondiale globalizzato, comandano i turisti e il loro denaro, gli abitanti se ne sono andati o se ne andranno - sono ridotti a 60mila, pari a una città come Crotone - o campano del turismo stesso. Gli altri, e mi scuso per il cinismo, sono perlopiù degli snob benestanti che restano residuali e terminali. Il processo è irreversibile. Il problema delle gondolette di plastica, o dei finti merletti o bicchieri di Murano, è che sono Made in Corea. I gondolieri cantano ’O sole mio e servono pizze con sopra gli spaghetti, mentre le librerie - Stenio Solinas ha scritto bene - latitano. Prenderne atto non è disfattismo, è senso della realtà. Non c'è da rianimarlo, il paziente è morto di vecchiaia e di modernità. Di notte, se volete, a Venezia potete rivivere visioni oniriche e fiabesche. Di giorno, e da secoli, solo zecchini e talleri e sghei.
F.Facci

Cassa da morto per il Mezzogiorno

Eh beh.

L'ineffabile Cav

E' inutile. Ci ha provato Ferrara in tedesco, ora ci prova Facci in inglese. E' inutile. Non riescono a spiegare davvero perche' B. e' premier in Italia. Forse non esistono le parole. Soprattutto per spiegare la Sinistra che abbiamo, in Italia. Fuck. Scheiß.

Beati i poveri

In Germania esistono dalle tre alle cinque definizioni di poverta'. Definizioni quantitative. E quando riportano dati statistici dicono sulla base di quale definizione le percentuali sono stimate. Qui invece, che cazzo vuol dire povero relativo e povero assoluto? E in nessuna definizione ho visto la "spesa media mensile". Ci sono migliaia di anziani che spendono duecento euro al mese guadagnandone duemila. Non sono poveri.

Ha fatto la battuta

Intelligente Enrico Letta. Avra' preso da suo zio. La barzelletta e' nota, tranne l'ultima frase che e' fresca.

ROMA
- Chi di barzellette ferisce di barzellette perisce, si potrebbe dire parafrasando il proverbio. Di storielle il premier Silvio Berlusconi ne ha sempre pronta una da sparare all'occorrenza. Oggi però «l'arma segreta» del presidente del Consiglio è stata usata da Enrico Letta del Pd, che ne ha raccontata una al segretario del suo partito Dario Franceschini e al capannello di curiosi che si è formato a Montecitorio. Alla fine, gran risate da parte di tutti e anche qualche battuta «casareccia» a commento.

LA BARZELLETTA - Foglio in mano, Letta narra: primo giorno di scuola, in una scuola americana, la maestra presenta alla classe un nuovo compagno arrivato negli Usa da pochi giorni: Sakiro Suzuki (figlio di un alto dirigente della Sony). Inizia la lezione e la maestra dice alla classe: «Adesso facciamo una prova di cultura. Vediamo se conoscete bene la storia americana. Chi disse: "Datemi la liberta o datemi la morte?"». La classe tace, ma Suzuki alza la mano. «Davvero lo sai, Suzuki? Allora dillo tu ai tuoi compagni!». «Fu Patrick Henry nel 1775 a Philadelphia!». «Molto bene, bravo Suzuki! E chi disse: "Il governo è il popolo, il popolo non deve scomparire nel nulla?"». Di nuovo Suzuki in piedi: «Abraham Lincoln nel 1863 a Washington!». La maestra, stupita, si rivolge allora alla classe: «Ragazzi, vergognatevi, Suzuki è giapponese, è appena arrivato nel nostro paese e conosce meglio la nostra storia di voi che ci siete nati!». Si sente una voce bassa bassa: «Vaffanculo a 'sti bastardi giapponesi!!!». «Chi l'ha detto?», chiede indispettita la maestra. Suzuki alza la mano e, senza attendere, risponde: «Il generale Mac Arthur nel 1942 presso il Canale di Panama e Lee Iacocca nel 1982 alla riunione del Consiglio di amministrazione della General Motors a Detroit». La classe ammutolisce, ma si sente una voce dal fondo dire: «Mi viene da vomitare!». «Voglio sapere chi è stato a dire questo», urla la maestra. Suzuki risponde al volo: «George Bush Senior rivolgendosi al primo ministro Giapponese Tanaka durante il pranzo in suo onore nella residenza imperiale a Tokyo nel 1991». Uno dei ragazzi allora si alza ed esclama arrabbiato: «Succhiamelo!». «Adesso basta! Chi è stato a dire questo?», urla inviperita la maestra. Suzuki risponde imperterrito: «Bill Clinton a Monica Lewinsky nel 1997, a Washington, nello studio ovale della Casa Bianca». Un altro ragazzo si alza e urla: «Suzuki del cazzo!». Suzuki: «Valentino Rossi rivolgendosi a Ryo al Gran Premio del Sudafrica nel febbraio 2005». La classe esplode in urla di isteria, la maestra sviene. Si spalanca la porta ed entra il preside: «Cazzo, non ho mai visto un casino simile!». Suzuki: «Silvio Berlusconi, luglio 2008, nella sua Villa Certosa in Sardegna».

Suicidi

Il clochard barese, la console tedesca, l'avvocatessa inglese.

L'isola di Pinocchio

Stevenson: «In fondo i due libri si somigliano più di quanto crediamo. Da tutte e due le parti ci sono un bambino, un’avventura, dei sogni, dei personaggi insidiosi, e poi c’è il Male. Sia Pinocchio che il piccolo Jim cercano qualcosa, e questo qualcosa in tutti e due i casi ha a che fare con la ricchezza: il tesoro di Jim, il campo dei miracoli di Pinocchio, con gli alberi carichi di monete d’oro. E tutti e due comprenderanno che il vero tesoro non è quello».
Collodi: «Con la differenza che Pinocchio scappa perché è cattivo, mentre Jim scappa perché la sua casa non esiste più».
Stevenson: «Dev’essere la differenza tra i nostri due popoli, che ne pensa?».
Collodi: «Non arrivo a pensare così in alto».
Stevenson: «Jim fugge dalla sua locanda per cercare il tesoro e alla fine troverà se stesso, il vero tesoro che sta alla fine dell’avventura della vita. Pinocchio fugge dai suoi doveri e alla fine troverà anche lui se stesso, ma prima dovrà trovare suo padre. Sono due modi - uno inglese e protestante, l’altro italiano e cattolico - di raccontare la stessa storia».

mercoledì 29 luglio 2009

Kill pill

Ru486, il pesticida umano

E’ probabile, tristemente probabile, che domani un comitato di tecnici e burocrati che si occupa di farmaci, l’Aifa, autorizzi l’impiego su larga scala anche in Italia della pillola abortiva o kill pill Ru486. Creata negli anni Ottanta in Francia da un medico, Etienne-Emile Beaulieu, incline a una visione spiccatamente commerciale ed eticamente indifferente della ricerca e del progresso farmacologico, la kill pill è il tradimento definitivo della promessa di diritto e libertà fatta alle donne quando, trent’anni fa, la possibilità di abortire in strutture pubbliche, a certe precise condizioni e in un certo contesto di prevenzione e di “tutela della maternità”, divenne legge (194/1978). Il prezzemolo moderno funziona così: un funzionario del sistema clinico, ché la parola medico è deviante e stupidamente nobilitante, ti dà in ospedale, se con il tempo e con l’uso non te lo passi addirittura la farmacia, un veleno antifeto che, molte settimane dopo il concepimento, puoi ingerire per espellere il bambino “indesiderato” che hai in corpo a casa tua, con dolore e rischi per la salute, nella più disperata e indifferente delle solitudini, tirando lo sciacquone.

Si realizza così, mentre qualche resipiscenza aveva convinto pochi giorni fa il Parlamento ad approvare un invito alla moratoria degli aborti forzati che costano la vita a centinaia di milioni di bambine in Asia, uno tra i più diabolici progetti di cancellazione etica del giusto e del decente, dell’umano e del razionale, che si siano conosciuti fino ad ora in occidente. Anche l’Italia si allineerebbe, se una estrema luce intellettuale e morale non incendi la mente di chi ha la responsabilità di decidere, al novero dei paesi civili in cui abortire è una procedura privata, un diritto di privacy da esercitare senza remore, senza problemi, senza percepire la differenza tra una scelta di vita e una scelta di morte. La pillola costa 14 euri, è alla portata di tutte le borse, e la minimizzazione dei suoi rischi clinici, ché quelli di cultura e di senso sono evidenti e irrimediabili, farà in modo che si diffonda adeguatamente. Perché sia compiuta l’opera di scristianizzazione dell’amore, in nome della compassione sentimentale e della solidarietà di genere verso le donne, ovviamente; perché si realizzi la riduzione della vita umana a cosa, che è il vero progetto antropologico del mondo tecnico post umano che ha preso il comando del nostro modo di vita almeno dalla seconda metà del secolo scorso.

Dovrebbe scaturire, da questa brutta faccenda, una rivolta politica, morale e religiosa. Dovrebbero farsi sentire ministri, primi ministri, sottosegretari, presidenti di Regione, deputati e senatori che già hanno sottoscritto questa battaglia contro l’ultimo ritrovato di una cultura pestifera. La classe dirigente e i pastori delle chiese cristiane, in primo piano la cattolica, dovrebbero uscire dal mutismo o dal balbettamento, evitare un inutile confronto sui dettagli e andare al cuore della questione. L’introduzione della kill pill in Italia contraddice in modo evidente la 194, la legge che rendeva possibile l’aborto solo e soltanto nelle strutture pubbliche e a condizioni incompatibili con la solitudine e il simbolismo solitario e indifferente che l’uso della Ru486 implica necessariamente.

I signori vescovi e cardinali, eventualmente tentati dalla disattenzione, dovrebbero tenere conto del fatto che sono le pillole a fare la storia delle relazioni umane e della stessa spiritualità, come dimostra la vicenda dell’Humanae vitae, l’enciclica antipillola che fu al centro della rivolta e del principio di dissoluzione dell’autorevolezza del magistero papale, ricostruito con mille difficoltà negli ultimi trent’anni da due grandi papi. I politici che hanno una nozione rigorosa e seria della vita umana e del suo maltrattamento sistematico, laici o cattolici che essi siano, dovrebbero insorgere e battersi con ogni mezzo per impedire che questo “pesticida umano”, la definizione è del grande genetista Jérôme Lejeune, ottenga l’autorizzazione per espletare il suo destino e il suo compito: uccidere.

Colpo di fulmine sul lago di Como

Scattata nel 2006 da Monte Marenzo. No, nel titolo non mi riferivo a questa c...hicca dell'estate.

Cose sinistre

Luca Ricolfi - Perché siamo antipatici? La sinistra e il complesso dei migliori - Longanesi, Milano 2005

Di solito i libri che ottengono molte recensioni dai giornalisti sono boiate pazzesche. Libri di cui si scrive grazie al solito giro di marchette, in cambio di favori analoghi già fatti e/o che si spera vengano fatti presto. Il libro di Luca Ricolfi (mai visto né conosciuto), no. Anche se ha ottenuto fior di recensioni e fatto parlare molto, è un signor libro, di quelli da comprare e regalare agli amici prima che finisca fuori catalogo. Per due ottimi motivi.
1) E' scritto benissimo e si legge d'un fiato.
2) E' di una lucidità invidiabile: l'autore, sociologo, dichiaratamente di sinistra, appare persona di assoluta onestà intellettuale, che conosce assai bene la materia di cui scrive (la forma mentis della sinistra italiana) e non si fa scrupoli nell'indicare tutto ciò che vi è di marcio.
L'unico appunto, semmai, va mosso al titolo. Il punto vero del libro non è tanto l'antipatia della sinistra, quanto il razzismo etico (definizione di Marcello Veneziani che Ricolfi riprende) o, se si preferisce, il sentimento di superiorità morale e antropologica che è la causa dell'antipatia stessa e che in Italia anima gran parte del popolo di sinistra (e solo di sinistra), dai vertici alla base più engagée. Insomma, il libro avrebbe dovuto intitolarsi "Perché siamo razzisti? La sinistra e il complesso di superiorità etica". Ma così avrebbe venduto molto meno, specie alla Feltrinelli. E siccome i libri si scrivono per venderli, la scelta non può essere biasimata più di tanto.
In sintesi. Ricolfi diagnostica quattro (gravi) malattie alla sinistra italiana.

1) L'abuso di schemi secondari. Quelle che Karl Popper chiamava ipotesi ad hoc, le scappatoie contro l'evidenza empirica. Le "scuse", insomma, con cui giustificare i fallimenti delle proprie ideologie dinanzi agli altri e - soprattutto - a se stessi. A destra «non esiste e non è mai esistito nulla di paragonabile all'immenso sforzo della cultura marxista di occultare i fatti - povertà, lavori forzati, repressione del dissenso - e di edulcorare le evidenze storiche dissonanti, dall'Unione sovietica alla Cina e a Cuba».

2) La paura delle parole. Una malattia nata negli anni Settanta negli Stati Uniti, dai movimenti di contestazione, che oggi impone agli individui di non parlare come vogliono. Detta altrimenti, la dittatura del politicamente corretto. Quella per cui i ciechi prima sono diventati non vedenti, quindi otticamente svantaggiati, senza che la loro vista nel frattempo migliorasse. Dittatura che ha condannato a morte parole di per sé innocenti, come vecchio (anziano), donna di servizio (colf), negro (afroamericano), spazzino (operatore ecologico). Così facendo, però, nota Ricolfi, la sinistra si è messa contro il senso comune della gente, che almeno in privato continua a chiamare le cose con il loro nome "vero": cieco, vecchio, spazzino... Senso comune che invece Berlusconi, con il suo linguaggio diretto, sa interpretare benissimo, erede in questo di altri grandi "irriverenti" come Sandro Pertini, Francesco Cossiga e Giovanni Paolo II.

3) Il linguaggio codificato. Vuol dire che quando quelli di sinistra parlano o annunciano i loro programmi la gente comune non ci capisce una mazza. Usano un linguaggio «legnoso, infarcito di formule astratte». Berlusconi, piaccia o non piaccia, usa le parole per spiegare concetti; la sinistra usa le parole per nasconderli. A chi? Ai suoi stessi esponenti: «Il problema della sinistra è che il suo discorso è indicibile, perché se fosse detto farebbe saltare l'alleanza. [...] Non è il nemico che non deve capire, ma sono "i nostri" che non devono ricevere segnali precisi. Se tali segnali venissero emessi, addio Ulivo, addio Fed, addio Gad, addio Unione, addio "unità delle forze produttive"». Insomma, sono costretti a non dirsi la verità a vicenda. Il giorno in cui ognuno a sinistra dovesse dire quello che vuole fare veramente una volta al governo (sulle tasse, le pensioni, la spesa pubblica etc) l'alleanza finirebbe.

4) Il complesso di superiorità etica. Ovvero la forma di razzismo di cui sopra. Bandiera di Micromega, rivista che rifiuta il concetto di scontro di civiltà con Islam, ma non si fa scrupoli di applicarlo al conflitto tra "le due Italie": quella dei "giusti" contro l'Italia della barbarie. A sinistra c'è una casistica sterminata in materia. Il migliore esempio è l'appello pubblicato da Umberto Eco su Repubblica prima del voto del 13 maggio 2001, nel quale l'elettorato di centrodestra è diviso in due. Dell'Elettorato Motivato fanno parte «il leghista delirante», «l'ex fascista», quelli che, «avendo avuto contenziosi con la magistratura, vedono nel Polo un’alleanza che porrà freno all’indipendenza dei pubblici ministeri». Sono «coloro che aderiscono al Polo per effettiva convinzione» e non cambieranno mai idea. Il resto degli elettori di centrodestra fanno parte dell'Elettorato Affascinato, composto per Eco da «chi non ha un’opinione politica definita, ma ha fondato il proprio sistema di valori sull’educazione strisciante impartita da decenni dalle televisioni, e non solo da quelle di Berlusconi. Per costoro valgono ideali di benessere materiale e una visione mitica della vita, non dissimile da quella di coloro che chiameremo genericamente i Migranti Albanesi». Un elettorato che, ovviamente, «legge pochi quotidiani e pochissimi libri», persone che «salendo in treno comperano indifferentemente una rivista di destra o di sinistra purché ci sia un sedere in copertina». Delinquenti e gente in malafede, dunque, assieme a poveri ignoranti cresciuti a pane, calcio e telenovelas. Gente che nella democrazia di Eco non pare avere diritto di piena cittadinanza, ma solo uno status di appartenenza inferiore.
Il punto è che non sono solo gli Umberto Eco, i Paolo Flores D'Arcais e gli Eugenio Scalfari (un nome, quest'ultimo, che purtroppo nel libro manca) a credersi espressione dell'Italia moralmente migliore che cerca di salvare il Paese dai delinquenti e dagli ignoranti. E' la base stessa, o almeno la gran parte più ideologizzata di essa, che la pensa così. Il libro cita un sondaggio realizzato dall'Osservatorio del Nord Ovest. Il 34% dell'elettorato di sinistra si sente "moralmente superiore", ma la percentuale «sale al 55,9% fra gli elettori di sinistra politicamente impegnati». Un abisso con la destra, dove questo sentimento di superiorità, altrimenti detto razzismo etico, è pari appena all'8,9% e non supera il 13,8% tra gli "impegnati". Anche in questo, dunque, c'è meno razzismo a destra che a sinistra.

Arte e autismo

La gia' «proficua» correlazione fra storia della medicina e storia dell'arte si arricchisce di un nuovo interessante capitolo. Carlo Alessando Landini, ricercatore presso la Columbia University e Past Fellow dell'Italian Academy a New York, ha dedicato il suo recente studio «Lo sguardo assente. Arte e autismo: il caso Savinio» (Franco Angeli) alla figura e all'opera del pittore e letterato Alberto Savinio (pseudonimo di Andrea Francesco Alberto de Chirico, 1891 -1952), fratello minore del ben più noto Giorgio de Chirico. Per Landini, Savinio prima che un pittore e un letterato, era un malato. Gli errori di ottica contenuti nei suoi quadri, i tic e gli stereotipi della sua prosa, il suo carattere introverso, la sua cronica incapacità di dar risalto a concetti astratti, l'arresto della volizione, i suoi ritratti che non di rado hanno la parvenza dell'allucinazione, il feticismo d'oggetto, l'affabulazione, gli autoritratti in forma di animale (come gufi e gatti: la sensibilità aberrante della prosopagnosia ossia la difficoltà a riconoscere i volti), hanno condotto lo studioso, sulla scorta di un'ampia letteratura e del parere di autorevoli neuropsichiatri, a formulare un'interessante ipotesi. Ossia che Alberto Savinio era affetto da una forma mitigata di autismo (sindrome di Asperger), la stessa di Albert Einstein, Glenn Gould, lo scacchista Bobby Fischer e molti altri geni. E forse a livello cerebrale qualcuna delle aree che controllano il riconoscimento dei volti, specie quelle relative al campo visivo destro, era lesa («visual hemineglect»). Da un punto di vista più ampio, quello cognitivistico, neurologico, iconologico, il libro di Landini apre nuovi squarci sulla possibilità di curare l'autismo - anche quello non precoce, ossia evolutivo - e proprio attraverso una vasta disamina del rapporto fra arte e pazienti autistici l'autore formula una nuova ipotesi nel campo della «art therapy».
Luigi Mascheroni

Hablamos español

Podcast, videopodcast, blog, dictionary,...

O graziosa Luna, io mi rammento

Lunexit: non la solita Luna, e non solo la Luna.

She loves him

Maledetto revisionismo

Il maledetto revisionismo ha fatto cadere un altro piccolo muro di Berlino. Era quello del bavaglio imposto dalla cultura e dalla storiografia comuniste a tanti italiani esuli in patria. I paria, i reprobi, gli sconfitti che l’arcigno Arco costituzionale, fondato sulla Dc e sul Pci, non voleva riconoscere come cittadini con pari dignità. Un lettore mi ha scritto che, con i miei libri, non ho soltanto liberato la memoria dei morti, ma anche quella dei vivi, dei loro figli, dei loro nipoti. «Vissuti per anni con il sasso in bocca identico a quello che la mafia adopera per le sue vittime».
Il vecchio Pci è scomparso da vent’anni, dopo la fine dell’Unione Sovietica. E i partiti nati dalle sue ceneri sono sempre più deboli. Eppure l’egemonia culturale rossa resiste ancora. Perché è un’egemonia proprietaria. E sta in piedi grazie a quel che possiede e usa di continuo.L’elenco delle sue proprietà è lungo. Le cattedre di storia contemporanea in molte università. L’insegnamento della storia nelle scuole medie superiori. Una catena di case editrici. I tanti festival del libro, a cominciare dal rosso Salone di Torino che esclude quasi sempre autori invisi alla sinistra. I premi letterari. I convegni culturali in centri grandi e piccoli. Tanti giornalisti. E parecchi quotidiani. A cominciare da Repubblica: un giornale-partito, dalla pedagogia autoritaria, importante per numero di copie diffuse e per il pensiero unico che fa circolare e riesce ancora a imporre.
Giampaolo Pansa

Sete di civilta'

La sete uccide più della fame. E molto più in fretta. Partendo da questa considerazione si potrebbe pensare che quello che si beve influenzi la civiltà, e il modo di vivere, più di quello che si mangia. Ecco che allora ha senso parlare di cultura del bicchiere. Una cultura che contrappone la primitività dell’acqua alle civiltà del vino, della birra e, perché no, del latte (quello a cui adesso la Coca-Cola Company vuole aggiungere le bollicine, portandoci ad un ulteriore passo evolutivo). Almeno questa è la tesi che sta alla base di tutto un nuovo filone di ricerca a cui si stanno dedicando storici e sociologi. Ad esempio, Una storia del mondo in sei bicchieri (Codice edizioni, pagg. 224, euro 22) è diventato un classico del genere. L’autore Tom Standage, è una delle penne più apprezzate dell’Economist, riassume la civiltà in sei tappe tutte da tracannare. Un mondo mesopotamico che scopre la fermentazione e beve birra da cannucce di paglia (evitandosi così tutte le infezioni che provengono dall’acqua sporca); una civiltà greco romana che fa del vino la sua piattaforma culturale; un mondo moderno e coloniale costruito sul rum e sui distillati della canna da zucchero; e, infine, la grande accelerazione della modernità fatta di caffeina, di imperiali tazze di the e di bolle zuccherose che culminano nell’era della Coca-Cola.
Matteo Sacchi

World Wide Rave

Via Pandemia.

Masochismi liberticidi

Si', non ha tutti i torti il vecchio Sofri. Spesso ci facciamo male da soli. Anzi, sempre: e' in ogni caso una nostra responsabilita' se ci aspettano tempi molto difficili, sia quando limitiamo le nostre liberta' per far contenti i musulmani, sia quando ci autoprocuriamo involuzioni liberticide ipocrite. Sbigottiti e bigotti con Noi, clementi e dementi con i Diversi: il risultato non cambia.

Non so voi, ma io ho rimuginato da giorni la notizia venuta da Malmö, che è la terza città della Svezia. Un tempo la conoscevo bene, ci si sentiva bene là. La notizia è che al consiglio comunale di Malmö è stata presentata da gruppi cristiano-conservatori la proposta di vietare il topless nelle piscine pubbliche. La proposta non è passata, sostituita da un ipocrita articolo che prescrive a chiunque frequenti una piscina di “indossare un costume”. Sembra però che, nonostante la protesta di associazioni femministe, nessuna donna a seno scoperto si veda più nelle piscine cittadine, e questa è una vera novità. Malmö è diventata la città europea con la più alta percentuale di immigrati musulmani. Non so voi, ma io sono molto combattuto, più che rispetto ad altri problemi posti dalla nuova – nemmeno più così nuova – convivenza. A differenza che per altri problemi, sono tentato di pensare che se anche una sola donna vuole stare in piscina a seno nudo, come ha fatto finora, uomini e donne di qualunque credenza cui la cosa sembri troppo offensiva se ne stiano a casa e si facciano una doccia. Però… E mentre rimuginavo, ecco che il Corriere pubblica la lettera di una signora, un medico cardiologo, che un albergo per famiglia di Madonna di Campiglio, nemmeno frequentato da musulmani, ha invitato a non allattare più alla tavola del ristorante dell’albergo il suo bambino di cinque mesi: la signora l’aveva discretamente fatto un paio di volte per qualche minuto, il tempo che il bambino smettesse di piangere e tornasse a dormire. Ho letto nei commenti dei lettori sul sito del Corriere un numero piuttosto impressionante di deplorazioni dell’atteggiamento della signora. Non so voi, ma io penso che ci aspettano tempi molto difficili.

Ammirando Almirante

Vincenzo La Russa, "Gior­gio Almirante. Da Mussolini a Fini" (edito da Mursia, pp. 256, € 17).

Noio volevam savuàr

"Noio volevam savuàr”, “Ma da dove venite? Dalla Val Brembana?”. Immortali e simbolici, i due napoletani che si rivolgono al vigile milanese in un francese inventato e quello che li scambia per bergamaschi, in Totò, Peppino e la Malafemmina: “malafemmina” che peraltro non è napoletano, ma pugliese… A maggio è stato il ministro dell’Agricoltura Luca Zaia, leghista trevigiano, che ha proposto l’insegnamento obbligatorio del veneto nelle scuole della regione con un comunicato appositamente bilingue, in lingua italiana e in “lengua veneta”: “La mea no le ’na bataglia in difesa de un dialeto, ma de ‘na lengua. Bataglia che porte avanti come omo politico, come ministro de la Repùblica Italiana e come veneto”.

A Zaia pose subito un deciso stop la collega Maria Stella Gelmini: “Credo che a scuola si debbano apprendere le materie fondamentali”. Zaia ebbe però anche le obiezioni proprio di due scrittori impegnati nella difesa della lingua e della tradizione veneta come Ferdinando Camon e Andrea Zanzotto: e col primo in uno scambio polemico proprio in veneto. “No state a avilir, non sen pì in tel pasato e in Veneto pensen al nostro futuro. Che el nostro Veneto el gabie el status de lengua ufissial”. “Vàrda che el me compiùter el sé deventà mato, par recever le to parole in dialeto. El le gà scrabocià tute. No ghe sé compiùter par el dialeto, lo capìssito sì o no?”. Camon sostiene infatti che la civiltà cui il Veneto corrispondeva è ormai defunta, e che sarebbe artificioso cercare di resuscitarla. “Il dialetto chiamava le cose con nomi diversi dalla lingua italiana perché quelle cose erano diverse. Il ‘saòn’ non era quello che noi chiamiamo ‘sapone’. Il ‘saòn’ era fatto in casa, con materie sgrassanti, di color giallo. Puliva le mani dei contadini, sporchi di calcioanamide, ma non era profumato, non odorava di niente. Serviva a nettarsi le mani per mangiare. A un certo punto arrivò il ‘sapone’, primo fra tutti il Cadum. Il Cadum profumava. Lo usavano ragazzi e ragazze che dopo andavano a ballare. Ci fu un momento in cui i due prodotti coesistevano. Quando il capo famiglia chiedeva: ‘Dammi il saòn’, gli si dava il sapone autarchico, fabbricato in casa, una specie di detersivo a blocchi, dopo di che lui chiedeva: “Passami il sapone”, e con quello si profumava le mani e le annusava. Adesso c’è solo sapone, il ‘saòn’ è sparito da mezzo secolo”.

martedì 28 luglio 2009

Come va la vita

"Be', Sanek", aveva iniziato Gordej, "come va la vita, a che pensi?". "Hai di nuovo dimenticato tutto cio' che ti ho insegnato", s'era intromesso Genja, senza lasciarmi rispondere, "Se si vive, non si pensa. Fare queste due cose al tempo stesso e' impossibile!"
Aleksander M.Pjatigorskij, Filosofia di un vicolo

Un senso

Voglio trovare un senso a questa storia
Anche se questa storia un senso non ce l’ha
Voglio trovare un senso a questa voglia
Anche se questa voglia un senso non ce l’ha

Sai che cosa penso
Che se non ha un senso
Domani arriverà...
Domani arriverà lo stesso
Senti che bel vento
Non basta mai il tempo
Domani un altro giorno arriverà...

Birra e salsicce (progressiste)

«Veniamo da lontano e andiamo lontano»: questo motto si trovava a fianco dell’insegna «Due salsicce e una birra: solo L. 2.000!» in una delle tante feste organizzate dal Partito del Progresso Moderato nei Limiti della Legge che, con riffa e poderoso comizio, pungolavano le forze del progresso nell’avanzata democratica verso il potere nei limiti di quella legge fondamentale che, in un periodo precedente, aveva aperto una prospettiva al nostro amato Paese. Qualunque cosa si possa dire di quel Partito - e oggi se ne dicono tante e non tutte belle - non ci si può sottrarre al dovere di scattare in difesa di un patrimonio che affonda le radici nell’anima stessa del popolo e che non può essere barattato con qualsivoglia trovata modernizzante e succube delle attuali tendenze del costume e della politica.
No, signori, piantiamola una benedetta volta: la birra e le salsicce non si toccano! Vengono da lontano e devono andare lontano, possibilmente all’estero, come la pizza e gli amari regionali.

[Jaroslav Hasek, La vera storia e il programma originale del Partito del Progresso Moderato nei Limiti della Legge, Genova, Graphos 1992, p. 7 (non è indicato il traduttore)]

Borse per NERD

Stavo guardando una borsa su internet, ché avevo pensato che una borsa mi poteva servire per le vacanze, guardavo le specifiche tecniche di quella borsa, ché uno quando è nerd (o geek, non si capisce bene) è nerd anche quando guarda le borse, e le scarpe, e le magliette, e anche al supermercato, confronta i pesi, le misure, il costo per chilogrammo, l’apporto calorico, il contenuto di carboidrati: non è mica facile comprar le cose, quando uno è nerd: magari uno è capace di starci un’ora, a scegliere una marmellata, o un succo di frutta, o un detersivo per i piatti.

Questa borsa che stavo guardando, esteticamente, mi piaceva, e pensavo che anche il peso e le dimensioni potessero essere ottimali, per l’uso che ne avrei fatto, era leggera, capiente, e ripiegabile in caso di mancato utilizzo, mi sembrava tutto sommato una buona borsa, considerato anche il prezzo, e considerata anche la marca, che volenti o nolenti già solo la marca, ci dà già un indice di affidabilità, a noi nerd.
Poi guardavo, più in basso, nelle indicazioni per l’uso, c’era scritto
Non stirare.
Non asciugare a tamburo.
Non candeggiare.
Ho subito chiuso la pagina, ché m’è venuto da pensare che con questa borsa qui non ci si può mica far niente.

Joseph Roth

Al bistrot dopo mezzanotte è il titolo del libro che raccoglie gli articoli che Joseph Roth scrisse in terra di Francia (Adelphi, pagg. 301, euro 19). È una raccolta ineguale, pezzi d’occasione, pezzi alimentari e prose d’arte, recensioni e reportage.

C’è una bellissima stroncatura del Bernanos antisemita di La grande paura dei benpensanti, così come del Paul Morand cosmopolita e un po’ superficiale di Buddha vivente, stroncature nate dal fatto che, più lucidamente dei suoi confratelli francesi, Roth si rendeva conto di come lo spirito anti-borghese, la critica alla democrazia, il richiamo alla sanità della razza da semplici parole si sarebbero trasformate in proiettili e poi in plotone d’esecuzione. C’è la piccola-grande apologia di Alphonse Daudet, il creatore di Tartarino, ovvero l’ironia al posto del sarcasmo, la risata al posto dell’insulto. Ci sono i pellegrinaggi sui «campi di carne» della Grande guerra, lì dove «tra quarantamila morti ignoti si diventa pacifisti» e il vagabondare fra le reti nere di cozze gocciolanti nel porto di Marsiglia, il bel mondo della costa Azzurra carico di vecchie signore cariche di gioielli, la bella stagione a Deauville dove i ricchi dilapidano fortune ai tavoli da gioco del Casino, ma non fanno mai mancare la mancia a garçons e chauffeurs...

Asimov dixit

«Cibernetico» deriva dal verbo greco kybernào, «reggo il timone» di una nave: il kybernètes era il pilota. Un oggetto che si fregia di quel titolo è programmato per dirigere se stesso: anche una lavatrice o un forno a microonde, in termini basilari, sono cibernetici. La prima sa quando azionare la centrifuga (e lo fa); il secondo, quando l’arrosto è a puntino, decide di spegnersi. Facciamo un passo avanti, e parliamo di automi. Un salto di qualità tecnico ed etico spettacolare. Anche «automa» ci riporta alla lingua ellenica. Ma con una profondità e un intrigo di significati che danno qualche brivido. Aytòs, in greco, indica l’identità, che può essere con altro (il latino idem rende bene l’idea: un’uguaglianza tra due cose, come due gocce d’acqua), oppure con se stessi (i latini dicevano ipse, «di per sé», in modo autonomo e, se la faccenda diventa patologica, aberrante, «autistico», fuori controllo, senza più contatti con la realtà circostante, un livello di potenza ad alto rischio, ambiguamente divino). Qui le faccende si complicano, coinvolgono la psiche, scatenano allarmi ancestrali. Il nostro ipotetico costruttore sente che sta dando vita a qualcosa che assomiglia parecchio a se stesso, come un figlio al padre: un doppio, uno specchio di sé. Niente può incutere paure inconsce più di un riflesso della propria identità. E se fosse capace di decisioni autonome? I replicanti di Blade Runner, il film che Ridley Scott trasse nel 1982 da un racconto di Philip K. Dick, sono i magnifici spettri di questa paura: l’ingegnere genetico vi impianta un limitante, quattro anni di vita, prima dell’autoannullamento. Niente di nuovo. Tutto deriva dal mito. Il dio fabbro Efesto aveva già una catena di montaggio di droidi, su nell’Olimpo. Ne era uscito Thalos, un fratello maggiore del Gort di Ultimatum alla terra (Robert Wise, 1951, remake nel 2008 con Keenu Reeves) un custode ciclopico che pattugliava il dominio isolano del re di Creta, Minosse, spappolando gli intrusi o incenerendoli con la sua corazzatura di bronzo rovente. Ma Efesto la sapeva lunga e si era cautelato. Aveva avvitato nel prototipo un limitatore. Un tappo metallico chiudeva il tallone del robot. Se lo si toglieva, la sua forza si disperdeva. Giasone, un blade runner dell’antichità assistito dalla sua esotica girl, la mediorientale Medea, ha buon gioco nel disinnescare l’automa, scoperchiando la vena fatale. Prometeo, istigato da Zeus, forgiò dalla creta, impastata con un misterioso soffio vitale Pandora, la prima femmina, l’affascinante modello di ogni successiva replicante fatale. Ma la corredò con un congegno di autodistruzione, un vaso zeppo di virus e magagne assortite. Il dio era sagace. Presumeva che Pandora avrebbe ceduto alla curiosità, liberando il mefitico contenuto del vaso e condannando la sua stirpe, le donne, al biasimo maschile, a una condizione di umiliante tutela, condita da sensi di colpa e presunzione di inferiorità. Il Terminator, con il ghigno marmoreo inconfondibile di Schwarzenegger, altra creatura della fantasia allucinata di Scott, è il sottoprodotto di Skynet, il sistema di supercomputer ideato per la difesa che andò online il 4 agosto 1997. Skynet cominciò a imparare a ritmo esponenziale. Divenne autocosciente alle 2:14 del mattino, ora dell’Atlantico, del 29 agosto. E si scatenò l’inferno nucleare… Per fortuna, solo sul grande schermo. Che il mondo dei robot avesse bisogno di qualche regola, proprio come quello umano, fu geniale intuizione di Isaac Asimov, che indossò la toga del legislatore e dettò lo schema. Primo: i robot non possono nuocere agli umani. Secondo: devono obbedire ai comandi dei padroni. Terzo: sono tenuti all’autoconservazione, purché questa non contrasti con uno dei precedenti dettami. La più tenera artificial intelligence della fantasia letteraria è Pinocchio, un automa fai da te che, come tutti i suoi simili, crea seri grattacapi al progettista. Nel suo caso è l’etica (e la tensione educativa dell’autore Carlo Collodi) ad agire da congegno limitante. Il robottino sbozzato nell’ordinario legno da catasta è dotato della facoltà di apprendere. Un lato che lo affratella alla supertecnologia della mostruosa Skynet di Scott. Se in un primo tempo sfrutta la qualità per ribellarsi e modellare il comportamento sulle forze truffaldine e malvagie che travagliano l’umanità, il suo software di base è impostato sull’azzurro ottimistico della Fata, che lo depura della materia primordiale, gli dona spirito autentico e ne fa un ragazzo per bene, splendido, fiabesco esorcismo per le fobie di coloro che se la sentono di imitare Dio alla vigilia dell’Eden. Fantastico predone, Spielberg ha trafugato il Pinocchio dalle pagine del libro per farne il «mecca» del suo A.(rtificial ) I.(ntelligence) del 2001. Regole, anche qui, come nel teorema di Asimov: sono quelle del «protocollo di imprinting» che una madre avventata per amore applica al fantoccio di carne sintetica, l’illusione di controllare con il raziocinio un tumulto dei sentimenti per il quale nessuno ha ancora inventato il tasto delete. L’intelligenza artificiale può farsi coscienza, ritorcere contro gli ideatori un libero arbitrio di aggressione? I cervelloni scienziati sembrano pencolare verso il sì. I poeti hanno maggior libertà di manovra. Noi stiamo con i poeti. Ma toccando ferro. Chiedendo di blindare il tutto, di mettere la fiducia, come fanno i governi umani, sulle sacrosante leggi di Asimov.

Automatizzare non humanus est

Il professor Gianmarco Veruggio è uno dei massimi esperti Italiani di robotica (fa parte della Society on Social Implication of Technology, dell’European Robotics Research Network ed è membro del CNR), si occupa da anni dei risvolti dello sviluppo dell’intelligenza artificiale.
Ha visto la notizia del New York Times relativa alle preoccupazioni degli scienziati americani sullo sviluppo di robot, e computer, sempre più autonomi?
«Si e ho pensato: meno male che finalmente ci pensano anche loro. Sino ad ora a porsi il problema sono stati soprattutto gli Europei e i Giapponesi».
Ma esiste davvero un pericolo?
«Sì, lo sviluppo della capacità di calcolo è stato esponenziale negli ultimi anni. Il mio cellulare è molto più “intelligente” di quanto fosse il computer universitario su cui ho preparato la tesi di laurea. E il computer dell’Apollo 11 equivale a un processore di quelli che adesso si mettono nei giocattoli».
Quindi le macchine diventano più “intelligenti” degli uomini?
«No, detto così è fuorviante. L’intelligenza non è misurabile e il biologico non è comparabile con le leggi che regolano i sistemi di calcolo informatico. Il vero problema è che avremo macchine sempre più capaci di adattarsi all’ambiente e di modificare i loro programmi in base all’ambiente. La loro “intelligenza” secondo me non somiglierà mai alla nostra. Anzi rischierà di esserci aliena».

Partito per il Sud

"Qùallons nous faire de ces gens-là?" Cosa faremo di quella gente, disse Costanza D'Azeglio dopo l'annessione del Sud. Pensavo questo mentre ieri sul treno per Pescara l'80% degli extracomunitari (che costituivano a loro volta il 40% del totale dei viaggiatori) non aveva il biglietto. Ovviamente non pagano la multa. Logicamente scendono alla prossima stazione. Naturalmente risalgono sul prossimo treno e arrivano a destinazione. Certamente non e' colpa loro.

Il Partito del Sud

O PDS. No, il PDS era un'altra cosa. Senti senti come potrebbe ruotare l'asse della politica.
Se il PD dovesse continuare nella sua corsa all'autoannientamento, e il PDL dovesse subire un salasso elettorale per il successo di un Partito del Sud (o, in ogni caso, qualora e quando finisse il ciclo del berlusconismo), l'Italia potrebbe precipitare in una situazione come quella del Belgio, dove lo scontro Fiamminghi-Valloni prevale sulla normale dialettica politica e mette a dura prova l'Unita' del Regno. Da noi il confronto destra-sinistra potrebbe trasformarsi in uno scontro di due coalizioni: nordista e sudista. E pensare che ci prepariamo a festeggiare i 150 anni d'Unita' d'Italia.

L'adattamento

Non si sopravvive, se non si impara ad essere ospiti. Siamo ospiti della vita, senza sapere perche' siamo nati. Siamo ospiti del pianeta, al quale facciamo cose orribili. E essere ospiti richiede di dare il meglio dovunque si e', pur rimanendo pronti a muoversi per ricominciare, se necessario. Credo che vivere l'ospitalita' in maniera esemplare sia la missione, la funzione, il privilegio e l'arte degli ebrei.
Non solo degli ebrei dovrebbe essere la missione, aggiungiamo.

Il resto non esiste

From George Steiner.
Il piu' difficile di tutti era Andre' Weil. Quando arrivai all'Instituto mi presentarono i membri permanenti. La maggior parte si limito' a stringermi la mano, e qualcuno arrivo' a dirmi "Buon lavoro". Lui invece mi apostrofo' gelido: "Signore, non credo che avremo molto da dirci, ma vorrei che imparasse una cosa. Chi e' molto intelligente fa teoria dei numeri. Chi e' abbastanza intelligente fa geometria algebrica. Il resto non esiste". E non mi ha mai piu' parlato.

Arianna piantata in asso

"Essere piantati in asso" deriva da un errore di stampa: Teseo, re d'Atene, ucciso il Minotauro e liberata Arianna, commise l'imprudenza di dimenticarsela sull'isola di Nasso.

Il cesso del WTO

WTO: non e' ne' un titolo di pesi massimi di boxe ne' un'organizzazione mondiale per il commercio. E' la world toilet organization, istituzione no-profit per migliorare le condizioni igienico-sanitarie delle toilette del mondo.

Tre gemelle e niente 6

Visto che le probabilita' di fare 6 al Superenalotto sono meno di una su seicentomilioni, e' piu' facile avere tre figlie gemelle omozigote che finiscano a fare le conigliette.

Nuvole per pioggia

Il giro del mondo in 13 giorni: le nuvole di polvere ricche di ferro che si creano in Cina impiegano 13 giorni per fare il giro del mondo.

Troppo lenta per viaggiare in autostrada: la pioggia scende ad una velocita' tra gli 8 e i 32 km/h.

Scrivanie per libri

B. ha regalato ad Obama una scrivania di cristallo realizzata dal creativo Guido Gallocich. Il mobile raffigura la bandiera americana e ha inciso il nome di Obama. Dieci esemplari saranno messi all'asta in Italia e in USA. Il ricavato della vendita andra' alle popolazioni dell'Aquila.

I libri "Antonio Canova.L'invenzione della bellezza", regalati da B ai leader del G8, sono costati 150mila euro l'uno.

PD: Lega appenninica

Qualcosa di gustoso: il comunista appenninico. Scommetto che Bersani si ubriaca al bar, ma non si vede poi molto perche' regge bene l'alcol, cuoce le salsicce alla festa dell'Unita', bestemmia, e' bigottissimo ma ucciderebbe il Papa. E tra qualche anno sara' bravino a giocare a bocce. Come tutti i comunisti appenninici. Di G.Alvi.

Le forme craniche squadrate di Bersani, atavismo palese delle culture megalitiche preindeuropee, e quella sua certa calvizie operosa da mezzadro nato fattore, come il parlare emiliano da cui non sa liberarsi, così masticato e in ricerca perpetua dell’ovvio: sono tutti sintomi di certa vittoria. La sua è infatti la fisiognomica perfetta del comunista appenninico, e quindi sempre saputo, in posa di spiegare agli altri come un’ovvietà quello che lui non ha mai capito. E, proprio perché è così se stesso, non ci viene da volergliene. Il suo è di quei visi intabarrati, perfetti per i libri di Guareschi. Insomma: non solo non stona, ma neppure finge: perciò m’è più simpatico di un Franceschini tutto sacrestia e ragioneria. Del resto la sua nomina obbedisce pure alla necessità, ovvero al meno traballante di tutti i molto incerti residui poteri che ha ancora il Partito democratico. Corrisponde a quella Lega appenninica ch’è di fatto ormai l’unica residua distinzione originale della sinistra. Essa ovunque ha un suo ben misero futuro; ma solo nelle regioni appenniniche, bersaniane del Centro-Nord ha ancora un qualche passato. E dunque è ovvio per il Pd l’arroccamento, tra le coop furenti, gli aceti balsamici, e gli eterni rancori mezzadrili, eredi degli schiavi degli etruschi in rivolta. La nomina del caro Bersani scansa l’altra, pur sempre tranquillizzante eventualità, che sia l’emiliano Fini a ritrovarsi prima o poi eletto a segretario del Pd. Anche lui con dialetto e fisiognomica emiliana più che perfetti per la carica. Peraltro questa elezione ha un suo originale interesse, pure per come conferma il palese e per ora inevitabile regionalizzarsi, se non municipalizzarsi, della vita politica. Da qualche settennio infatti viviamo in un contro Risorgimento del quale la Lega in Veneto e in Lombardia è stata l’astuto inizio, seguito ora persino dal ritorno in voga dell’autonomismo siciliano, al quale è facile già prevedere un gran futuro. Per non dire del Molise; di cui Di Pietro è pure incarnazione politica archetipa, come Bossi a Varese o Berlusconi in Brianza. Ed il paragone potrebbe proseguire nelle Puglie. Ma, seppure logico, non piacerebbe ai nostri lettori pugliesi. Giacché Vendola, Luxuria, D'Addario sono le novità politiche recenti più distintive di quei luoghi. E però c’è pur sempre D’Alema coi baffetti che avevano tutti i barbieri del Sud quando i film della commedia all’italiana erano ancora un’epica. Torna in effetti a suo onore che al trio sopradetto egli abbia almeno preferito i tratti mezzadrili e rassicuranti di Bersani. E comunque lo sfarsi regionale in atto dell’Italia, il suo sciogliersi in un’atavica commedia, così poco seria da non potersi dire neppure del tutto non seria, è certo. Com’era scontato che il regionalismo fosse considerato finito, prima che Bossi riuscisse appunto a confonderlo con il federalismo e salvare così il più inefficiente dei corpi statali: le regioni. Altra contorsione logica, di un’Italia che resta sempre impossibile da spiegare; come gli italiani. Ora, proprio ora, tra orde di cinesi, arabi e amerindi che l'invadono, essa si arrocca in una regressione. Di cui comunque il coincidere perfetto del Pd, senza più nemmeno Roma, con una Lega appenninica è palese altra conferma. Riprova peraltro e tra l’altro pure della ingenua stravaganza di due miei antenati morti con Garibaldi.

La donna brutta e' un panda

Se si estingue quella brutta che ne sara' poi di quella bella? Il Bene non esiste senza il Male, c'e' il sopra perche' c'e' un sotto, e cosi' via.

Si', viaggiare

Non avrebbe oggi più senso una pagina piena di divagazioni erudite e di percorsi puramente descrittivi dentro paesaggi colti e musei che qualunque ben fatto documentario televisivo può mostrarci in maniera più completa e soddisfacente. Per decenni diversi scrittori italiani sono andati in giro per il mondo soltanto per mostrare la bellezza virtuosistica della loro penna, il massimo esempio ne fu Giorgio Manganelli. Oggi non sarebbe più possibile. La globalizzazione ha creato scenari inediti.

lunedì 27 luglio 2009

Cerami, Pasolini, lo Yeti

Il tema libero.

I 90 anni di Dino

Un immenso ponte tra Italia e America, perche' ha portato il lussuoso arigianato italiano ad Hollywood e i sistemi dell'industria americana a Cinecitta'. E' questo il suo capolavoro.

Dalla pandemia all'antrace

L'antrace adesso non c'entra, era per far rima con brace. E questa pandemia li vale davvero 10 miliardi di dollari?

Vivere low cost

Far la spesa tra i rifiuti.

Non mangio da giorni

Dopo le mucche i mendicanti.

Fumo per protesta

Il mio problema è che non sono mai riuscito a cominciare a fumare. A cominciare davvero, dico, perché a cominciare per finta ci sono riuscito varie volte: con le sigarette, da ragazzo, e con i sigari, da uomo. Ma ho sempre tossito, si vede che non ho il fisico per il tabacco, e ho sempre dovuto piantarla lì. Che onta. Da qualche anno fumo un mezzo toscano a trimestre, giusto per non dimenticare come si fa. Mi hanno appena regalato una splendida pipa costruita a Pesaro (la capitale italiana della pipa) in un laboratorio dal caro nome monarchico che purtroppo ha chiuso i battenti esattamente come la monarchia: Fiamma di Re. Provandola non ho tossito ma ho scoperto che accendere la pipa va oltre le mie capacità. Tutto questo proprio ora che bisognerebbe fumare sul serio, per resistere alla tenaglia islamo-protestante. Della puritana campagna antifumo proveniente dagli Usa sapevo tutto, adesso so di quella proveniente dalla Turchia dove i maomettani, specialisti nello strappare i popoli a se stessi, stanno cercando di rendere obsoleto il detto “fumare come un turco”. Sul Corriere ne ha parlato con apprensione Bedri Baykam, scrittore di Istanbul. Oggi per solidarietà vorrei fumare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non ce la faccio.
C.Langone

L'onestà politica

“Ma che cosa è, dunque, l’onestà politica?” L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze. “E’ questo soltanto? e non dovrà essere egli uomo, per ogni rispetto, incensurabile e stimabile? e la politica potrà essere esercitata da uomini in altri riguardi poco pregevoli?”. Obiezione volgare. Perché è evidente che le pecche che possa eventualmente avere un uomo fornito di capacità e genio politico, se concernono altre sfere di attività, lo renderanno improprio in quelle sfere, ma non già nella politica. Colà lo condanneremo scienziato ignorante, uomo vizioso, cattivo marito, cattivo padre, e simili; al modo stesso che censuriamo, in un poeta giocatore e dissoluto e adultero, il giocatore, il dissoluto e l’adultero, ma non la sua poesia, che è la parte pura della sua anima, e quella in cui di volta in volta si redime. Si narra del Fox, dedito alla crapula e alle dissolutezze, che, poi che fu venuto in fama e grandezza di oratore parlamentare e di capopartito, tentò di mettere regola nella sua vita privata, di diventar morigerato, di astenersi dal frequentare cattivi luoghi; ed ecco che sentì illanguidirsi la vena, infiacchirsi l’energia lottatrice, e non ritrovò quelle forze se non quando tornò alle sue consuetudini. Che cosa farci? Deplorare, tutt’al più, una così infelice costituzione fisiologica e psicologica…”.
B.Croce, Etica e politica.

Cavaliere e Gentiluomo

Solo un gentiluomo, dopo aver consumato il piacere, condividerebbe il sonno con la sua accompagnatrice. Solo un gentiluomo, dopo il risveglio, le offrirebbe la colazione. Solo un gentiluomo, dopo averla salutata, si ricorderebbe ancora il suo nome. Grazie a “Repubblica” e all’ “Espresso” gli italiani hanno scoperto anche lo charme del Cavaliere. Noi, “berlusconiani di sinistra”, ringraziamo il Gruppo Espresso per la raffinata sensibilità giornalistica.
P.Diaco

Il momento magico

Goffredo Parise, tu con i “Sillabari” hai cercato di fermare l’Italia al centro del Novecento, io darei tutto per fermare ogni cosa nel suo momento magico, nella breve sospensione prima della caduta: i treni nel 1949, la liturgia nel 1959, la musica nel 1969, il cinema nel 1979, Venezia nel 1789, Napoli nel 1859, l’architettura nel 1909, la pittura nel 1929… E i bambini a nove giorni, le ragazze a diciannove anni, le donne a ventinove, l’estate il nove agosto.
C. Langone

Noi siamo l'Eurabia

Per gentile concessione mia, visto che l'articolo e' a pagamento.

L’eurabia è dentro di noi

Per Newsweek non esiste. Ne parliamo con Bat Ye’or la studiosa che ha coniato il termine Al di là dei numeri, è il destino di “un continente in balia della paura e del silenzio”

William Underhill di Newsweek avrebbe potuto leggersi le statistiche dei delitti d’onore in Germania e discuterne con Seyran Ates, l’avvocatessa di Berlino che ha chiuso lo studio legale dopo l’ultima aggressione subita a una fermata del metrò. Seyran era con una cliente musulmana che voleva divorziare dal marito. Lui le pesta entrambe, gridando “hure!”, puttana. A pochi chilometri da lì avrebbe potuto visitare la Deutsche Oper, che ha cancellato dalla stagione lirica l’Idomeneo di Mozart per timore di rappresaglie islamiste. Sempre a Berlino avrebbe potuto parlare con il direttore del quotidiano tedesco Die Welt, Roger Köppel, che stava per essere pugnalato a morte da un giovane ingegnere di origine pakistana entrato nel suo ufficio armato di coltello. Avrebbe potuto studiarsi i numeri delle “ragazze scomparse” in Inghilterra, vittime dimenticate delle centinaia di matrimoni forzati che Benjamin Whitaker, in un rapporto per le Nazioni Unite, ha inserito tra le nuove schiavitù.
Avrebbe potuto andare a Stoccolma e prendere tra le mani una t-shirt di gran moda fra i giovani musulmani: “2030 – Poi prendiamo il controllo”. Avrebbe potuto vedere come nella penisola scandinava, austera e lontana, dove durante la guerra si ebbero straordinari gesti di protezione degli ebrei, a Stoccolma, Göteborg e Malmö, prima città europea a maggioranza islamica, le comunità ebraiche sono costrette a spendere un quarto del budget in misure di sicurezza. Lì avrebbe scoperto anche il cadavere di Samira Munir, la politica norvegese di origine pakistana minacciata di morte dagli islamisti per la sua difesa dei diritti delle donne. Il suo corpo è stato trovato non lontano dal centro di Oslo.

A Copenaghen avrebbe potuto far visita a Kurt Westergaard, il vignettista che disegnò Maometto col turbante-bomba e che oggi deve vivere con un sistema di protezione che allerta la polizia in caso di pericolo. Avrebbe potuto recarsi a Bruxelles e apprendere che il primo nome dei nuovi nati non è più da molto tempo François, ma Mohammed.
Avrebbe potuto fare un salto in Italia, dove ci sono circa trentamila donne musulmane che hanno subìto la mutilazione genitale. Qui, in mezzo a noi, ora. Avrebbe potuto vedere con i propri occhi come la croce rossa di San Giorgio sia scomparsa da aeroporti, taxi e pompieri in Gran Bretagna su pressione islamica. La stessa Gran Bretagna che oggi vede triplicare il numero delle corti islamiche. Avrebbe potuto andare nella moschea El Mouchidine di Osdorp, in Olanda, dove l’imam ha gridato “cani infedeli” ad alcuni studenti appena arrivati in gita scolastica davanti alla locale moschea. Da lì avrebbe potuto passare per Rotterdam, con i suoi quartieri segregati come monoliti e con i minareti dai quali si incita all’uccisione degli omosessuali. Già che c’era avrebbe potuto intervistare quell’insegnante di scuola elementare a Mozaiek che ha raccontato come i suoi studenti musulmani, in visita al museo Anna Frank di Amsterdam, le abbiano detto che “i nazisti avrebbero dovuto uccidere più ebrei”. Nella stessa città dove, oltre a Galileo, arrivarono gli ebrei spagnoli in fuga dall’Inquisizione e oggi invece regna la paura più glaciale. Avrebbe potuto sfogliare la fitta black list di scrittori, artisti, professori, giornalisti e politici minacciati di morte dal fondamentalismo. Pochi mesi fa, all’uscita da un supermercato, un islamista ha aggredito Robert Redeker, il filosofo francese costretto a nascondersi nel proprio paese per un articolo scritto tre anni fa: “Sei Redeker, hai insultato l’islam. Sei un mascalzone. Sei protetto, altrimenti finiresti male”.

William Underhill di Newsweek non ha fatto nulla di tutto questo. Perché, in piena legittimità, ha preferito esercitare una potenza rassicurante e dissuasiva su milioni di lettori del grande settimanale americano. Il giornalista americano ha cercato di spiegare che “Eurabia” è un mito, uno spauracchio,“una speculazione basata sulla speculazione”, una finzione costruita ad arte, la proiezione allarmista di una manciata di studiosi e politici della “far right”. La destra nasty, cattivissima, sporca, intollerante e xenofoba in cui secondo il cronista di Newsweek tutto si equivale, dal filoisraeliano e atlantista Geert Wilders all’antisemita, negazionista dell’Olocausto e suprematista bianco Nick Griffin del British National Party.
Dell’Eurabia il Foglio è andato a parlarne con la grande studiosa che ha coniato quel termine, ripreso e reso incandescente da Oriana Fallaci qualche anno dopo. Si tratta di Bat Ye’or, resa famosa in tutto il mondo da “Eurabia” (Lindau), ormai un modo di dire per indicare il rischio che l’occidente corre. Nel dicembre del 2002 apparve su Internet un suo articolo, tradotto in diverse lingue, dal titolo “Le dialogue Euro-Arabe et la naissance d’Eurabia”. Oriana Fallaci ne rimase folgorata e rese celebre questa storica durissima. In molti altri ripresero la tesi di Bat Ye’or, a cominciare da Niall Ferguson e Bernard Lewis. Nata in Egitto, cittadina britannica, residente in Svizzera, Bat Ye’or l’Eurabia la chiama anche “dhimmitude”, da dhimmi, cioè sottomessi, come venivano definiti i cristiani e gli ebrei che dall’ottavo secolo sono stati obbligati alla tassa sulle minoranze.

La dottoressa Rachel Ehrenfeld, una delle autorità mondiali in materia di finanziamento occulto al terrorismo e direttrice dell’American Center for Democracy di New York, nel suo libro “Funding Evil” ha seguito le tracce lasciate dalle varie organizzazioni non governative che servono da facciata per l’incanalamento dei fondi occulti verso l’islamismo in Europa. Il suo libro venne pubblicato negli Stati Uniti dalla casa editrice Bonus Books. Dopodiché Ehrenfeld riceve una email spedita dagli avvocati inglesi di un milionario saudita da lei citato, in cui le intimano, fra l’altro, di togliere dalla circolazione e distruggere tutte le copie invendute del libro, scrivere un pubblica lettera di scuse e fare una donazione a un ente di carità indicato dai sauditi. Per intentare la causa di diffamazione contro Rachel Ehrenfeld, ai sauditi basta acquistare una ventina di copie del libro “Funding Evil” su Internet e farsele recapitare in territorio inglese. La battaglia legale, durata due anni, è terminata il 20 dicembre 2007 alla Corte d’Appello dello stato di New York. Ehrenfeld è stata condannata.
Il caso Ehrenfeld è pura Eurabia. “Se William Underhill cervava di contestare la crescente influenza islamica in Europa e la sua ostilità ai valori occidentali, ha fallito”, dice al Foglio Rachel. “Sostiene che le proiezioni demografiche sui musulmani come maggioranza in Europa nel 2025 sono false. Ma quali studi porta a suo favore?”. E comunque “il vero problema non è la demografia, ma l’imposizione di norme basate sulla sharia e che contraddicono la società libera, democratica e capitalista”. Come nel suo caso. “Il reporter di Newsweek ignora l’influenza politica, finanziaria, sociale e culturale, la rapida espansione della sharia basata su istituzioni finanziarie in Europa. I leader islamici in Europa non propongono integrazione, ma cinque volte al giorno incitano alla distruzione degli ‘infedeli’ che hanno aperto loro la porta. E distruzione non significa necessariamente violenza, ci sono molti modi per indebolire ed eliminare la cultura e i valori occidentali. Fondi sauditi o provenienti da Golfo, filantropia islamica e fondi finanziari di Hezbollah e Hamas, Hizb ut-Tahrir e Al Muhajiroun, per citare soltanto alcune organizzazioni terroristiche internazionali, stanno esportando la sharia nella vita di tutti i giorni in Europa. La politica stessa degli europei riflette l’influenza islamica. I discorsi dell’odio contro gli ebrei sono in crescita, così come ogni critica dell’islam e dei musulmani è proibita. Questa non è l’Europa liberale di dieci anni fa”.
Ciò che non emerge dall’analisi di Newsweek è la sottomissione delle donne musulmane europee. Psicologa alla City University di New York, Phyllis Chesler è una madrina del movimento femminista (il suo “Le donne e la pazzia”, è stato un libro di culto alla fine degli anni Settanta). “Bat Ye’or ha ragione quando descrive Eurabia”, dice Chesler al Foglio. “Perché mentre molti immigrati musulmani amano l’occidente, ce ne sono altrettanti ostili alla modernità, alla democrazia, agli ‘infedeli’. Non vogliono assimilarsi o integrarsi. Hanno il compito di convertire i dhimmi e governare lo stato secondo la sharia. Vivono in Europa, ma è come se non avessero mai lasciato il Pakistan, la Turchia, l’Afghanistan, l’Algeria. Hanno creato un universo parallelo, pericoloso per l’Europa. In questo senso l’islam è il più grande esecutore al mondo di un apartheid di genere e religioso. Donne in burqa, niqab, hijab, sono ovunque nelle strade europee. I delitti d’onore infestano l’Europa e, come ho sempre cercato di dimostrare, sono omicidi ben diversi dalla violenza domestica dell’occidente. L’Europa ha accolto il flusso di immigrati ostili per dimostrare che non era ‘razzista’, che non erano stati gli europei a uccidere sei milioni di ebrei. Oggi si ritrovano così a giustificare l’olocausto di Israele predicato dai musulmani”.

Arriviamo a lei, la teorica di Eurabia, Bat Ye’or. “La copertina di Newsweek e l’articolo di William Underhill pretendono di spiegare che l’emergenza dell’Eurabia è una speculazione. Ma Eurabia esiste, viviamo nell’Eurabia, non è il domani, ma oggi, qui. Eurabia rappresenta un’ideologia che, per raggiungere i suoi obiettivi, fa leva su numerosi strumenti strategici, politici e culturali. E’ un nuovo ‘spazio della dhimmitudine’ creato dai politici, dagli intellettuali e dai media europei, Eurabia è un’entità culturalmente ibrida, fondata sull’antioccidentalismo e sulla giudeofobia. Quando le sinagoghe e i cimiteri ebraici devono essere sorvegliati come nei paesi islamici dove i mausolei cristiani ed ebraici sono distrutti perché la libertà di espressione e di fede non è un diritto costituzionale, questa è Eurabia. Il dialogo euro-arabo ha importato in Europa la tradizione anticristiana e antiebraica dell’islam inscritta nell’ideologia jihadista da tredici secoli. Quando in Europa critici dell’islam, musulmani e non musulmani, devono nascondersi o vivere sotto la protezione delle guardie del corpo, come Geert Wilders e molti altri, questa è Eurabia. Le celebri caricature di Flemming Rose, riprese anche da altri giornali, a cui hanno fatto seguito le minacce di morte al filosofo francese Robert Redeker, autore di un articolo, ritenuto blasfemo, apparso su Le Figaro il 19 settembre 2006, hanno esasperato l’opinione pubblica. Quando l’insegnamento nelle università, nella cultura, nell’editoria viene controllato in gran parte dalla Anna Lindh Foundation o dalla Alleanza delle civilizzazioni (strumento dell’Organizzazione della conferenza islamica, ndr), questa è Eurabia. Quando i bambini ebrei non possono frequentare una scuola pubblica senza essere aggrediti e i ragazzi ebrei sono minacciati per strada, o rapiti e uccisi come il francese Ilan Halimi, questa è Eurabia. Quando dimostrazioni islamiche di massa nelle città europee invocano la distruzione di Israele, questa è Eurabia. I nostri multiculturalisti non ci danno le chiavi per conciliare i valori della sharia con quelli della laicità europea, i contenuti della Carta islamica dei diritti umani con quelli della Dichiarazione universale, l’espandersi dell’imperialismo islamico e i principi di libertà e uguaglianza tra i popoli e tra i sessi”.

Nell’analisi di Bat Ye’or, Eurabia è un continente in balia della paura, del silenzio, della dissimulazione e della diffamazione, che non ha ormai più niente a che vedere con l’Europa che conoscevamo. “Eurabia è un coacervo di società lacerate tra la xenofobia, il desiderio di riscatto, l’autodifesa e la disperazione, nel graduale sfaldarsi dei loro leader politici, disperatamente aggrappati ai cliché che hanno costruito in trent’anni. Eurabia esiste laddove ci sono donne velate e le leggi della sharia sono applicate, quando l’ideologia islamica e antisionista fiorisce, dove le istituzioni democratiche non sono che il ricordo scarnificato del proprio passato”.
Da alcuni anni la morsa dell’apartheid politico, economico, culturale, artistico e scientifico di Eurabia si è stretta intorno a Israele. Di questo Newsweek non parla affatto. “E’ stata la questione palestinese lo strumento utilizzato dal jihad per disgregare l’Europa: essa ha costituito infatti il fondamento e l’impianto organico su cui è sorta Eurabia, il cuore dell’alleanza e della fusione euroarabe, germogliate sul terreno dell’antisionismo. Ora, i rapporti tra Europa e Israele, cristianesimo ed ebraismo, non investono soltanto l’ambito geostrategico, ma rappresentano il vincolo ontologico e la linfa vitale di tutta la spiritualità dell’Europa cristiana. Israele, infatti, si è costruito sulla liberazione dell’uomo, mentre la dhimmitudine lo imprigiona nella schiavitù. Eurabia è figlia del ‘palestinismo’ e non mi meraviglierei se un giorno, sotto la bandiera dell’Eurabia palestinizzata, i soldati eurabici corressero a sterminare in Israele i discendenti della Shoah. Il secondo Olocausto sarà chiamato: ‘Pace, amore e giustizia per la Palestina’ e ‘Liberazione dall’apartheid’”.
Leggendo Newsweek e gli altri campioni del giornalismo liberal si capisce quanto l’America sia ben lontana per capire Eurabia, che è un’idea e un destino più che una geografia o un flusso migratorio. L’oceano separa le certezze ireniche di William Underhill dalla paura che striscia nelle nostre città. Sebbene proprio in Eurabia sia nato l’11 settembre 2001. In un quartiere di vecchie case d’anteguerra in mattoni rossi, in una larga e squallida strada che fronteggia una ringhiera di sbarre. E’ a Wilhelmsburg, il quartiere industriale di Amburgo, in tre locali al terzo piano, che abitava e pregava Mohammed Atta, il capo degli attentatori delle Twin Towers. Furono pianificate in Eurabia quel milione di tonnellate di detriti e tremila esseri umani trasformati in un mucchio di rovine fumanti.