giovedì 14 maggio 2009

Retorica xenofila

Del grande Toni Capuozzo. Ma non ditelo in giro, quest'articolo si dovrebbe pagare, ed e' cortesemente offerto da un mio amico cortese. 
L'ultimo paragrafo e' quello che volevo dire io, pero' non trovavo le parole, mica sono Toni.
Pragmatico, antiretorico, propositivo. Perfetto. Perfetto. Perfetto. 

Vabbè, adesso basta. Ieri sera sento il presidente della Repubblica, nell’intervallo della finale di coppa Italia esprimersi a favore dell’idea che le partite di calcio vadano sospese, al primo coro razzista. Facile immaginare che pugnale dalla parte del manico si offra così a ogni tifoseria becera e prepotente, in casa o in trasferta, libera, insieme, di épater le bourgeois e di mandare tutti i ventidue a prendere un tè caldo negli spogliatoi. Tra il dire e il fare, tra l’indignarsi davanti a slogan beceri e combatterli con efficacia, c’è la differenza che corre tra il dover essere e il poter essere, tra la declamazione di principio e la buona, realistica pratica. Oggi leggo che Napolitano lamenta il crescere di retorica antixenofoba. A me pare che, anche grazie a lui, il pericolo sia la crescita di una retorica xenofila, vuota e destinata a rovesciarsi nel suo contrario, e cioè a produrre più razzismo, più ostilità nei confronti degli immigrati, più emarginazione, minor integrazione.

In questi giorni per strada, a scuola e davanti a scuola, nei bar, sui mezzi pubblici, ho ascoltato e qualche volta sollecitato sconosciuti e conoscenti sulla questione dei respingimenti verso la Libia dei barconi degli immigranti clandestini. E constato una singolare differenziazione, abbastanza netta, nel giudizio: studenti, professori, intellettuali sono contrari. Tassisti, operai, baristi, commessi sono a favore. E che è: una nuova, singolare lotta di classe? O il lusso di chi può permettersi la tolleranza e la paura di chi stenta a barcamenarsi? Non credo: piuttosto, è il contrasto tra il dover essere e il poter essere, tra chi ragiona in base ai principi e chi conclude in base alla realtà. A convincermi di questo, le poche volte che esprimo una mia obiezione, è la risposta. Anche i contrari al respingimento, quando si obietti che allora dev’essere evitato anche il respingimento alle frontiere di terra, che è pratica quotidiana senza clamore né scandalo, dicono che no, quello è altra cosa. Il respingimento marino, per così dire, ha a che vedere con la memoria insopportabile dei cadaveri in acqua, con le immagini bibliche dei naufragi, con l’idea stessa del soccorso in mare e dell’ostilità, per quanto magnifica dell’ambiente (non è un caso che incrociandosi su un sentiero di montagna due persone che sul marciapiedi si schiverebbero, si salutino).

Il fatto è che la retorica xenofila (falsamente xenofila, in realtà) risponde all’immagine che vogliamo dare di noi stessi a noi stessi e agli altri: buoni, generosi, aperti. E l’antiretorica di tanta gente comune, più libera da ideologie e oculata gestione della propria immagine, del proprio dover essere, risponde al buon senso, quando non è insidiata da pulsioni razziste che sono incentivate dalla irresponsabilità della correttezza politica. Dunque: perseguibile o no, l’immigrazione che viene dal Canale di Sicilia è illegale. E una volta che stabilisci questo, devi fare in modo di essere conseguente, devi fermarla, senza contraddire il diritto internazionale e la tua stessa idea del diritto e dell’umanità. Per me questo vuol dire che è legittimo e persino giusto rinviare i barconi, quando lo si può fare senza pericolo per chi vi si è imbarcato, al porto di partenza. Con una eccezione: chi avanza domanda di asilo politico.

Ora, è noto che chiunque ha diritto di avanzare domanda di asilo politico (ho visto persino inequivocabili prostitute farlo negli uffici delle questure, senza che questo togliesse nulla allo scenario, peggiore della persecuzione politica, della schiavitù dello sfruttamento sessuale). E allora i casi sono due: o si trasforma un centro italiano di prima accoglienza in un centro di sosta in attesa dei tempi di concessione o rifiuto dell’asilo politico – con conseguente accoglienza o allontanamento – o si appronta, in accordo con la Libia, un centro analogo nel paese dirimpettaio. Questa è l’unica soluzione, perché, posto che le cose come stanno ora non possono restare immutate, l’alternativa è che, se si accolgono tutti, non ha senso sottoporli al dominio dei trafficanti e al rischio della traversata.

Perché non andare a prenderli, i migranti, con un traghetto della Tirrenia? E se si promuove questa disponibilità matura e conseguente all’accoglienza, perché non chiedersi quale diritto in più debbano avere quelli che hanno pagato il viaggio rispetto a quelli che non possono pagarselo. I più disperati non tentano neppure la traversata del deserto. Allora perché non rinunciare ai traghetti Tirrenia e fare dei voli direttamente da L’Asmara, Addis Abeba e tante altre capitali? Non è un ragionamento assurdo, è un’ipotesi che ci avvicina a ciò che renderebbe davvero credibile il respingimento alle frontiere. Perché se vogliamo davvero ridurre all’eccezionale la migrazione clandestina, l’unico modo realistico e autentico di farlo, è governare l’immigrazione legale. Aprire le cancellerie dei visti, concederli in ragione di quote annuali, accompagnarli da corsi di lingua e di cultura, pavimentare insomma una strada di immigrazione che abbia l’imprinting dei diritti e dei doveri, e non quello del disordine illegale. Ovviamente, è una strada troppo impegnativa, minuziosa, pragmatica e fantasiosa per chi ragiona per slogan, per battaglie politiche, per lotte fini a se stesse. Meglio accogliere, e nascondere in cantina, una xenofilia come certi matrimoni: fiamme all’inizio, e disinteresse dopo.

6 commenti:

Stefano ha detto...

1)La politica si occupa del fattibile, non del dicibile.
2)Perché gli aerei e i treni si possono respingere e le zattere no?
3)Creare sviluppo è molto più difficile che predicarlo, ma è anche l’unica opzione disponibile. Vogliamo criticare il governo? Facciamolo su questo.
http://www.ilfoglio.it/soloqui/2414

Stefano ha detto...

Appuntiamocelo qui, visto che non l'ho pagato io! LB sia lodato.

La luna di miele tra Silvio Berlusconi e il paese è finita. In compenso, l’opposizione non sembra essere arrivata nemmeno al primo appuntamento. E’ un paradosso che sfugge alla logica e persino alla legge dei vasi comunicanti; fatto sta che il primo momento di seria difficoltà del governo si accompagna all’ennesima e sempre meno seria crisi del Partito democratico, con il segretario che parla di “leggi razziali” e “camicie nere”, richiamandosi alle critiche della Cei e dell’Onu, mentre un pezzo del suo stesso partito difende proprio le scelte più criticate; con autorevoli dirigenti che si insultano via blog e sospendono la campagna elettorale perché offesi, senza che nemmeno l’intervento di Dario Franceschini riesca a farli smettere; con tutti gli altri partiti di opposizione che accusano il Pd di voler consegnare l’Italia a Berlusconi (attraverso il referendum) e con buona parte dello stesso Pd che si trattiene a stento dal dar loro ragione. E pensare che tutto, ma proprio tutto, sembrerebbe congiurare a favore dell’opposizione.

Basta confrontare i giornali di ieri con quelli di tre settimane fa, quando il capo del governo partecipava alla manifestazione del 25 aprile, raccogliendo l’ennesimo, unanime tributo. Cominciata tra gli applausi per la questione dei rifiuti e culminata nel coro di elogi per la pronta risposta al terremoto in Abruzzo, la luna di miele è finita di colpo. Può darsi che i successi iniziali fossero “successi d’immagine”, capaci di suscitare grandi attese, ma attese destinate a “scontrarsi con la realtà”, come sostiene Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica. Resta il fatto che da questo ipotetico risveglio il Pd non sembra trarre beneficio. Secondo Paolo Franchi, editorialista del Corriere della Sera, il motivo è semplice: “Il Pd non esiste. Ed esistere è condizione indispensabile per trarre vantaggio da qualcosa”.

In compenso, dopo l’Onu e la Cei, ieri è stata la volta di Giorgio Napolitano, che ha denunciato il diffondersi di “una retorica pubblica che non esita a incorporare accenti di intolleranza o xenofobia”. Nel frattempo, la Lega esulta per l’approvazione del pacchetto sicurezza e minaccia di far cadere il governo sul referendum. Due ministri sembra abbiano già minacciato le dimissioni. Gianfranco Fini è ormai un’icona dell’opposizione. E poi, ovviamente, sull’immagine del premier non possono non pesare le polemiche sul divorzio e sull’ormai celebre festa di Casoria. “La mia impressione – dice Giannini – è che questa vicenda ancora non abbia fatto breccia nell’opinione pubblica, ma penso anche che sia ancora presto per dirlo”.

Quello che invece già comincia a far sentire i suoi effetti, secondo il vicedirettore di Repubblica, è il distacco tra l’immagine del “governo del fare”, capace di risolvere in un baleno l’emergenza dei rifiuti, la crisi di Alitalia, l’inefficienza della pubblica amministrazione, e quanto lo stesso governo ha fatto – o non ha fatto – sulla crisi economica. “Se dici che non fai interventi massicci perché hai dei vincoli di bilancio puoi apparire responsabile, se però nel frattempo il bilancio lo risani. Ma se poi il debito continua a salire, ti ritrovi con la crisi che morde il paese e senza nemmeno le risorse per rispondere alle emergenze, come nel caso del terremoto. Di qui le tensioni tra Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia”. Quanto alla ragione per cui una simile situazione non vada a beneficio del Partito democratico, Giannini non la vede in modo molto diverso da Franchi. “La mia impressione è che il Pd non abbia un gran futuro, e se europee e amministrative saranno il bagno di sangue che si profila, credo che al congresso di ottobre non ci sarà una scissione, ma una frantumazione”.

D’altra parte, a oggi, nessuno pensa che la fine della luna di miele con l’opinione pubblica possa togliere al Cav. il successo che si annuncia nelle urne. Anzi, e questo è un altro paradosso, le difficoltà del governo sembrano destinate ad accelerare, semmai, la crisi dell’opposizione. Anzitutto nel Pd, dove all’indomani del voto la questione del referendum tornerà in discussione. E sarà probabilmente la prima battaglia congressuale.

Stefano ha detto...

L'asilo del diritto!

La richiesta del rappresentante in Italia dell’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, che ha intimato al governo Berlusconi di riprendere dalla Libia gli immigrati che vi erano stati respinti, riapre la questione del diritto d’asilo e del diritto di ingresso sul territorio nazionale, che ovviamente non coincidono. Per incominciare bisogna ricordare che la responsabilità delle condizioni di chi richiede asilo non è di chi riceve la richiesta ma dei governi dei paesi di provenienza che non assicurano l’esercizio dei diritti umani fondamentali. Se la maggior parte di coloro che chiedono protezione proviene da Somalia, Eritrea, Iraq, Afghanistan e Costa d’Avorio, sarebbe bene che l’Onu si occupasse in primo luogo della situazione in quei paesi, che dell’Onu sono peraltro membri.

L’idea che invece la responsabilità ricada su chi non accetta l’immigrazione clandestina indiscriminata è puramente suggestiva e infondata. L’Italia, come tutti gli altri paesi firmatari della convenzione di Ginevra sui rifugiati, ha l’obbligo di esaminare le richieste d’asilo, ma non ha affatto quello di ammettere chiunque sul proprio territorio per poi poter esaminare eventuali richieste. L’ostilità del commissario all’accertamento in Libia dei requisiti dimostra un’unilateralità che rasenta la faziosità, se non la cattiva fede. Il governo italiano ha il dovere di tutelare anche altri interessi, a cominciare da quello alla sicurezza dei suoi cittadini.

L’accordo con la Libia per i respingimenti era stato firmato dal governo guidato da Romano Prodi, che non ebbe la possibilità di renderlo efficace a causa di un contenzioso con il governo di Tripoli, contenzioso poi risolto da quello di Silvio Berlusconi. Questa è la dimostrazione più evidente che, al di là della propaganda, su questo punto c’è la più netta continuità nell’azione della diplomazia italiana, come ha indirettamente ricordato anche Piero Fassino, responsabile esteri del Pd. Ora si tratta soltanto di integrare negli accordi con la Libia la costituzione di centri nei quali sia possibile avanzare le richieste d’asilo e di trovare nell’ambito dell’Unione europea un’intesa sull’applicazione collettiva del diritto d’asilo. Se l’Onu volesse davvero tutelare i profughi, aiuterebbe questo processo, invece di dare ordini inapplicabili e ingiusti come le gride manzoniane.

Anonimo ha detto...

Di Pietro, l'analfabeta più famoso e fumoso d'Italia, si schiera "pro migranti".
A questo punto io, povero italiano di serie c-2, se prima ero soltanto "razzista per rabbia", mi autoproclamo "xenofobo per odio" ed auguro a Di Pietro di trovarsi un barcone di suo gradimento e quindi, al fine di compiere (FINALMENTE!) un'azione dimostrativa clamorosa, di spingersi verso la Libia, laddove non arriverà mai, poichè intercettatio ed affondato (senza preavviso) dalle motovedette di Gheddafi.

Stefano ha detto...

http://www.ilfoglio.it/soloqui/2387

Stefano ha detto...

http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=351637