lunedì 31 agosto 2009
Prostitute d'alto borgo
Dal 25 agosto al 3 settembre
Tintarelle e insolazioni
LA NOTIZIA. Quello regalato nel 1969 dall'allora ambasciatore Usa al primo ministro olandese in occasione della visita degli astronauti dell'Apollo 11 non è un pezzo di roccia proveniente dalla Luna, ma solo legno pietrificato. Questa la «verità» accertata da Xandra van Gelder, responsabile delle indagini condotte sul reperto attualmente custodito presso il museo Rijksmuseum di Amsterdam.
Secondo le informazioni raccolte dai media, a regalare all'allora primo ministro Willem Drees quella che doveva essere roccia lunare furono proprio gli astronauti che per primi misero piede sulla Luna nel 1969, nel corso di un tour compiuto poco dopo il loro rientro sulla Terra.
Alla morte di Drees il reperto venne messo in mostra al museo di Amsterdam e assicurato per un valore di circa 500mila dollari. La Nasa, interpellata sulla «scoperta», non ha saputo dare delucidazioni. (fonte: Ansa, 28 agosto 2009).
FUORI DALLA NOTIZIA. La notizia relativa al falso frammento di roccia lunare donata nel 1969 all'allora primo ministro olandese, è l'ennesima conferma dell'esistenza della vita sul nostro satellite.
Lo afferma l'astrofisico «eretico» olandese Olaf Skrokky nel suo libro È tutto vero, tra pochi giorni nelle librerie italiane. «Se quello, come dice la signora Xandra van Gelder (la responsabile delle indagini condotte sul controverso reperto, ndr) è un pezzo di legno, vuol dire che sulla luna ci sono, o quantomeno c'erano in passato, degli alberi. Lo capirebbe anche un sasso».
Paura eh?
domenica 30 agosto 2009
Totalitarismi
56 anni
Artiglierie pesanti
Elettori appenninici
giovedì 27 agosto 2009
Libri stupefacenti
Sull’ultimo numero di Wired lo scrittore Gianluca Morozzi (dodici romanzi alle spalle) si è prestato a un insolito esperimento: si è «bombato» di Ritalin per una settimana e ha raccontato la sua esperienza in un reportage sotto forma di diario. Scopo dell’esperimento era rispondere alla domanda: si può diventare più intelligenti impasticcandosi? E magari anche più artisti? Il famigerato Ritalin è un farmaco stimolante simile all’amfetamina, che negli Stati Uniti viene massicciamente distribuito, tra polemiche di ogni genere, per curare nei bambini la «sindrome da deficit dell’attenzione». Naturalmente anche gli adulti ne hanno approfittato per migliorare le proprie prestazioni intellettuali.
L’effetto su Morozzi è stato il seguente: a metà pomeriggio del settimo giorno si è messo al computer e non si è più alzato, salvo per andare in bagno, per le successive quaranta ore. E ha scritto un romanzo. «Un intero romanzo - ci racconta. In due giorni! Centoventi cartelle! Ovviamente è la prima stesura, poi la rivedo senza Ritalin. Uscirà la prossima primavera. Ricordo che anche Kerouac ha scritto Sulla strada quasi in un’unica seduta, su un rotolo di carta, assumendo benzedrine. Il Ritalin mi ha dato una velocità e una facilità di scrittura incredibile, come se tutte le parole e tutte le idee coesistessero nella mia testa: si trattava solo di metterle sulla carta. Ma non ripeterò l’esperienza. Di solito ci metto tre mesi per abbozzare un romanzo, e non due giorni, e a me va bene così».
mercoledì 26 agosto 2009
Conte canta e conta
Il romanzo migliore: Vedrò Singapore? di Piero Chiara, "la perfezione".
via La Stampa
Antoine de Roquelaure
Théophile de Viau
Nel 1622, una raccolta di poemi licenziosi "Le Parnasse satyrique"; de Viau fu denunciato e condannato a presentarsi a piedi scalzi di fronte a Notre Dame di Parigi per essere bruciato vivo (1623). Poiché si era reso irreperibile, la sentenza fu eseguita in effigie; alla fine il poeta fu catturato, mentre si apprestava a scappare verso l'Inghilterra, e rinchiuso nella prigione della Conciergerie a Parigi per quasi due anni. La vicenda diede luogo a varie discussioni fra gli studiosi e gli intellettuali: furono pubblicati 55 pamphlet, sia a favore che contro de Viau. La pena fu commutata in quella del bando perpetuo e de Viau trascorse i restanti mesi della sua vita a Chantilly sotto la protezione del Duca di Montmorency.
Giulio Cesare Vanini
Piove Impero ladro
Bruno Filippo Lapadula
Io e noi
martedì 25 agosto 2009
Il pieno grazie
Nicolazzi
Meglio la merda
"It's getting better all the time"
Canne mozze
Fuochino
Sconcordato
Lorenzo Strik Lievers
lunedì 24 agosto 2009
domenica 23 agosto 2009
sabato 22 agosto 2009
Meglio lungo
Langone
venerdì 21 agosto 2009
Zero titulo
Facci
Non cucinare
«Ho scoperto che in ogni società umana è la donna a cucinare per l’uomo. Il che fa della cucina un discrimine molto più del sesso. Una donna che cucina per un uomo che non è il suo compie un tradimento ben più grave dell’atto sessuale». I dongiovanni prendano nota. La preparazione del cibo produce una tale intimità che poi, dopo cena, passare al dunque è un gioco da ragazzi.
Per chi dongiovanni non è si tratta non di una questione erotica bensì di potere, scusate se è poco. Per riprendere il sopravvento in casa e nella società, insomma per rimettersi i pantaloni, bisogna che la donna venga indotta a rimanere il più tempo possibile tra i fornelli. Con le lusinghe, ovvio. Bisogna smettere di criticarla quando guarda «La prova del cuoco» in televisione. Bisogna regalarle magnifici grembiuli e un nuovo set di padelle scintillanti. Bisogna dirle che è bravissima anche se il risotto è scotto e la torta si sbriciola appena la guardi.
Soprattutto bisogna smettere di affiancarla o, peggio, di sostituirla nello spignattamento. Vi piace cucinare? Fatevi passare questa voglia assurda dedicandovi a passatempi più virili, che so, la pipa, la falegnameria o la caccia che ha garantito ai nostri progenitori una inscalfibile immagine macho. Infine Wrangham ci mette in guardia dal pericolo del cosiddetto «foodism», come nel mondo anglofono viene chiamata l’abitudine di mangiare cibi crudi tipo sushi, sashimi, carpaccio. Pare sia qualcosa di orribilmente animalesco, essendo solo l’abitudine a cucinare, dice il professore, a fare di noi degli umani. Dal nostro punto di vista, il punto di vista maschile, la questione è un’altra: se si mangiano cibi crudi nessuno cucina e se nessuno cucina la donna ha tutto il tempo di complottare insieme a Umberto Veronesi contro l’uomo. Bisogna quindi rilanciare la moda delle lunghe cotture: ne usciranno piatti di laboriosa digestione ma almeno avremo tenuto a lungo occupata la nostra dolce, temibile metà.
Langone
mercoledì 19 agosto 2009
Jeans genovesi
Al pari di tutte le vere tradizioni americane, i jeans affondano saldamente le loro radici in Europa. A partire dal nome. La parola «jeans» deriva da Genova, ed è una storpiatura anglosassone del francese Gênes. Già nel Cinquecento, ai tempi di Enrico VIII, il tessuto proveniente dalla città ligure, in Inghilterra è chiamato «jeans». Il «Denim», nel linguaggio comune è quasi un sinonimo, ma si tratta di un’altra cosa. Il termine ha infatti origine da Nîmes (con Genova e Ginevra, altro vertice del «triangolo della seta»). Qui, la famiglia André produce un tessuto, chiamato serge de Nîmes, contratto poi semplicemente in Denim. Le differenze tra le due stoffe - entrambe blu - stanno nell’«armatura», ovvero nel diverso intrecciarsi di trama e ordito, cioè filo orizzontale e filo verticale.Italia e Francia, quindi, si contendono la paternità dell’indumento più diffuso al mondo... Ma non sono le sole. Esempio da manuale del melting pot americano, i nostri calzoni hanno ascendenze ebree tedesche, inglesi, lituane, polacche, e sono diventati uno fra i simboli della globalizzazione.
Bocce bocciate
...la nostalgia di Biasco per quella ricomposizione della società che offrivano manifestazioni come le feste dell’Unità? Biasco cita spesso Barack Obama come un esempio: il neo presidente americano ha nel suo passato esperienze di organizzatore di iniziative sociali nei quartieri di Chicago, esperienze appunto in cui il lavoratore metalmeccanico nero si trovava fianco a fianco con la donna single che tirava su i propri figli e con il giovane laureato di Harvard. Ma la caratteristica di queste iniziative, senza dubbio appassionate, era civica (spesso con una forte componente religiosa, ma nell’Ottocento la borghesia e la classe operaia nascente italiana diedero vita anche a un umanitarismo laico) non politico-complessiva, non rivoluzionaria-militante (militare).
lunedì 17 agosto 2009
Il mito muto
Mammalena
Donne che si accettano
Sa perché le donne diventano passionali? Perché non si accettano. Se una donna ha troppe certezze, troppe risposte, è quasi automatico che non è passionale. Essere passionali, ad ogni modo, non significa essere irresponsabili. Al contrario degli uomini, noi donne non riteniamo il successo professionale un successo tout court, capace di giustificare ogni cosa. È solo una parte della nostra vita. Guardi la Magnani. Grande attrice, grande professionista. Poi aveva questa gelosia che distruggeva tutto.
Melissa P.
sabato 15 agosto 2009
Politicamente ordinario
Un "bestseller" "politicamente scorretto", citazioni di quotidiani nazionali online. Politicamente scorretto.Come fa a essere politicamente scorretto un romanzo che non fa altro che parlare della vita attraverso lo sguardo di un signore stanco e un poco acidulo? E' "trasgressivo" forse odiare? C'è forse qualcosa, all'interno della mente di Barney, che vada al di là dell'esperienza della vita che ogni giorno trascorriamo?Come si fa a non alzare un sopracciglio di fronte allo spettacolo desolante di questi giornalari, per i quali è scorretto tutto quello che non può essere detto all'interno di una chiesa? E' possibile che sia trasgressiva una donna che balla in discoteca, un ragazzo che beve un mojito, o un signore di una certa età che parla male dei colleghi?Pare che non ci venga più dato il diritto di provare disgusto, di non tollerare, di arrabbiarci. Con la più grande probabilità, nessuno degli scribacchini di quegli articoli ha letto il romanzo, e questa è un'attenuante; è però indicativo l'uso che si fa di questi termini, l'affermazione di un culto del buonismo, di un forzato buonismo, che tenta di convertirci tutti quanti in schizzinose comari di provincia, e consente alla stampa di venderci come scandaloso e scorretto quello che nella realtà non è.
Nichilismo / Nazismo
Donny: "Eh?"
Drugo: "Continuavano a ripetermi che non credono in niente".
Walter: "Nichilisti? Mi venga un colpo. Allora è meglio la dottrina nazional-socialista, Drugo. Se non altro, ha alla base l'ethos".
Il grande Lebowski
venerdì 14 agosto 2009
Aforisma benfatto
Pensieri scorretti, Giordano Bruno Guerri
Diritti e Rovesci
In linea di massima, mi associo anch’io all’elogio anche se vi avverto qualcosa che mi riporta al vecchio stile della “ideologia italiana” , fatta di sottintesi, di “capisci bene a cosa mi riferisco”, di riflessi condizionati a eludere i problemi librandosi, al di sopra dei casi concreti, nei cieli astratti dei “princìpi”.
È uno stile che ha buon gioco solo contro fantocci polemici che non esistono o si ritrovano unicamente in frange marginali della politica e della società civile. Oggi, ad esempio, dove si trova più «l’enfasi retorica in materia di patriottismo» se persino in un circolo culturale di An, mi è capitato di sentire discorsi sulla “conquista regia” che sembravano dettati dalla libellistica antisabauda e antirisorgimentale?
E, per quanto riguarda i «pregiudizi mentali in materia di immigrazione e di diritti civili», in cosa consistono realmente? C’è, forse, qualcuno che abbia giustificato i teppisti romani che hanno massacrato di botte un povero extracomunitario? Tra l’universalismo dei cosmopoliti e il tribalismo estremista c’è un’ampia zona grigia che non consente giudizi tranchant e con cui bisogna fare i conti, almeno in democrazia.
...La “filosofia dei diritti” sta diventando un campo mal coltivato, pieno di equivoci e di pericoli. Forse non sarà male ricordare che ai “diritti di cittadinanza” degli individui corrispondono i “doveri” della collettività di farli osservare...
Lenin uccide ancora
via Libero
Ronda in gabbia
Recanati
Destra onnivora
L’autore di Di’ qualcosa di destra e il coautore di La destra nuova imputa agli antipatizzanti quella che, a ben vedere, è caso mai una pecca dei simpatizzanti.
1) Autoannullamento in politica
2) Assimilazione onnivora di altre culture
Dante anticostituzionale
Langone anticostituzionale
Donne forti (e sole)
Uno spaventoso paese dei Balocchi in cui la donna, Puella Aeterna, potrà giocare divinamente con se stessa senza mai la noia di doversi misurare con l’Altro. E perfino riprodursi da sé – oddio, e se poi ti nasce un maschio? – Un nuovo fondamento archetipico per le fantasie, già attualissime, di tutte quelle ragazzine che in giro per l’occidente sognano di farsi il bambino da sole, o fingono un provvisorio sogno d’amore per poi espellere l’Altro non appena dà segni della sua alterità. Ed ecco tutte quelle famigline asfittiche e infelici, la mamma e il suo bambino, l’una carceriere dell’altro, senza nessun terzo a fare il lavoro di necessario incomodo nella simbiosi fatale. Oppure – libertà alternativa – nessun bambino, l’indipendenza totale, l’automutilazione di quell’Altro di cui l’umanità femminile, in questo sì migliore, ha sempre fatto il suo bizzarro baricentro, spostato fuori di sé. Ho letto Umberto Veronesi e ho pensato: ecco un uomo del secolo scorso, un medico che molto ha dato alle donne e altrettanto – a titolo risarcitorio? – sembra voler togliere loro. Che disegna un futuro terribile applicando con zelo logiche che appartengono al passato prossimo dell’emancipazione, già superate da un pensiero femminile che il professore, il quale pure dice di conoscere molto bene le donne, evidentemente non si è dato la pena di ascoltare. Non ha notizia del pensiero della differenza, della lotta delle donne contro l’omologazione al modello maschile unico. Non percepisce il loro desiderio. Altrimenti, da grande vecchio qual è, alle ragazze direbbe che l’unica sola e vera pari opportunità è quella di poter stare liberamente al mondo ciascuna e ciascuno secondo il sesso del quale si è nate e nati, perché il nostro corpo spirituale è tutto ciò che siamo. Direbbe alle ragazze di non condannarsi alla solitudine, perché non vi è alcuna ragione di infliggersi questo supplizio, di cercarsi uno sposo e di coltivare l’amore per la sua differenza, accettando il conflitto e ammirandolo come Altro, facendolo diventare l’uomo che sarà, autorizzandolo a essere il padre del figlio che insieme avranno fatto nascere, e insegnando al figlio che quello è suo padre.
Marina Terragni
Addio vecchia Europa
“Passi e passaggi nel cristianesimo. Piccola mistagogia verso il mondo della fede” di Elmar Salmann.
Penuria d'anguria
Langone
L'ora di Corano
Tra venti anni diremo che però un'ora a settimana di Islam è importante, vuoi perchè i bambini islamici sono la maggioranza vuoi per favorire l'integrazione dei cattolici nella società musulmana europea. E la faremo obbligatoria, quest'oretta.
Quorum raggiunto
Airc-accia miseria
Modernismo fascista
A. Malraux
giovedì 13 agosto 2009
Agosto: mai così normale
lunedì 10 agosto 2009
domenica 9 agosto 2009
Perdonali
Divino Giulio
sabato 8 agosto 2009
Menti aperte
http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/politica/napolitano-2/napolitano-marcinelle/napolitano-marcinelle.html
http://www.corriere.it/politica/09_agosto_08/fini_pillola_ru486_9bb77132-8445-11de-bc84-00144f02aabc.shtml
http://stefanocicetti.blogspot.com/2009/05/ei-fu.html
giovedì 6 agosto 2009
Nerds
Quella sua mitraglietta fina
«Canzoni il cui testo è considerato non adatto a essere diffuso dai servizi di radiodiffusione». Così il regime argentino del generale Jorge Rafael Videla, quello dei desaparecidos, aveva bollato una lista di 200 pezzi che era meglio non far sentire. Nella lista nera della dittatura finirono anche molti artisti italiani. A essere proibiti non furono i brani di protesta e impegno dei vari Guccini e De Gregori, ma quelli d'amore di Lucio Battisti, Claudio Baglioni, Raffaella Carrà, Gino Paoli e altri.
L'elenco è stato diffuso via internet dal Comfer, il Comitato federale della radiofonia argentina: sette pagine battute a macchina con i titoli censurati fra il 1978 e il 1983. Assieme a «Da Ya Think I'm Sexy?» di Rod Stewart, «Tie Your Mother Down» dei Queen, «Kiss, Kiss, Kiss» di John Lennon e Yoko Ono, «Another Brick in the Wall» dei Pink Floyd e «Cocaine» nella versione di Clapton, nell'elenco ci sono «Questo piccolo grande amore» di Baglioni, «Tanti auguri» della Carrà, «E penso a te» di Battisti, «Mia» di Nicola Di Bari, «La donna che amo» versione di Gino Paoli di una canzone di Joan Manuel Serrat, «Solo tu» dei Matia Bazar, «Un'età» scritta da Vandelli, Piccoli e Baldan Bembo per Mia Martini, «L'importante è finire» che in Italia creò qualche problema a Mina e «Si» di Toto Cutugno. [...]
il Corriere
mercoledì 5 agosto 2009
C'eravamo tanto amati
martedì 4 agosto 2009
Dentro di me / 2
lunedì 3 agosto 2009
Dentro di me
Cosa c'è dentro di me? Rispondono i bloggers
La coscienza è la lente dell'universo su se stesso
Il post del cosmologo Amedeo Balbi
Abbiamo girato la domanda: 'Cosa c'è dentro di me?' ai bloggers più influenti. Sulla carta si stanno esercitando sul tema della coscienza i filosofi, i docenti e gli scrittori con pagine bianche a disposizione, su invito del direttore.
Ecco l'appello di Ferrara:
"Questa è l'estate di Susan Boyle e del suo paradigma. La domanda alla quale siamo invitati a rispondere, se solo lo si voglia e con molto disincanto, è semplice: che c'è dentro di me. La coscienza è la regina della nostra epoca. Regina abissale, ignota, dalla quale prendiamo tutto quello che ci serve per autorizzare la nostra libertà di decidere che cosa è bene e che cosa è male. Ma la coscienza è anche il ponte tra teologia e psicoanalisi, tra la creatura umana che si pensa divinamente pensata e l'Io che scava sotto di sé alla ricerca della particella naturale, animale, che agisce e reagisce in proprio, a caso o sotto la legge dell'evoluzione creatrice. Quando ci si domandi "che c'è dentro di me", il tema dell'estate come una volta la canzone dell'estate, si è già teologi e psicoanalisti, e si meritano 14000 battute (spazi inclusi) per esibire talenti profondi, come quelli dell'anima di un Agostino d'Ippona o di Susan Boyle, al cospetto del nostro riverito pubblico. Buon lavoro".
Sul sito osiamo di più: condensare la risposta nel post di un blog. Lo abbiamo chiesto a chi i post li fa quasi di mestiere. Oggi è la volta del cosmologo Amedeo Balbi, che ha un blog.
Può sembrare strano chiedere a un cosmologo di occuparsi di un tema come la coscienza. L'ambito naturale della cosmologia è ciò che è fuori di noi, non dentro. E però, almeno un paio di illustri cosmologi contemporanei, Roger Penrose e John Barrow, hanno riflettuto seriamente sul posto che occupa la nostra coscienza nell’universo.
Nessuno ancora sa spiegare completamente come, dopo miliardi di anni di evoluzione, dagli stessi ingredienti e dalle stesse leggi fisiche che tengono insieme una stella o un cristallo, possa essere emerso un grumo di materia che pensa, si auto-osserva, e si interroga sul suo posto nel cosmo; né se ciò sia avvenuto solo una volta, qui, su questo sasso umido che gira intorno al Sole, o se sia un fenomeno onnipresente, una conseguenza necessaria dell’evoluzione cosmica.
Noi siamo un pezzo di universo, ma la complessità delle relazioni che legano fra loro gli atomi di materia nella nostra scatola cranica è inimmaginabile, se paragonata a quella che troviamo in qualunque altra parte del cosmo.
Per cui, non trovo sintesi migliore per definire la coscienza che questa: è il modo che l’universo ha trovato per conoscere se stesso. (Mi piacerebbe tanto averla inventata io, questa definizione; ma ho solo parafrasato un altro astrofisico, Carl Sagan.)
domenica 2 agosto 2009
Io so che tu sai
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazziche hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo)solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori).Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.
Yes we camp
sabato 1 agosto 2009
La radio, Pasolini, le api
Che cosa devo escogitare per farmi ascoltare? Uccidermi? Uccidere? Darmi all’apicoltura? Mario Perniola ha scritto un libro dal titolo poco invitante, “Miracoli e traumi della comunicazione”, che però promette di aiutarmi a compiere una scelta. Uccidermi? Uccidere? Darmi all’apicoltura? Il capitolo cruciale è “La fine dell’autorevolezza dell’autore”. Perniola non fa cominciare la crisi del ruolo degli scrittori con la rete bensì con la radio che durante il Maggio francese “influenza profondamente la percezione dell’evoluzione degli eventi: il movimento stesso è condizionato dall’eco conferitogli dai media. E’ come se la radiocronaca della rivolta in presa diretta prendesse il posto di quest’ultima, la quale assume così un ruolo subordinato e parassitario rispetto all’eco che suscita”.
Negli anni Sessanta si passa così dalla società dell’azione, in cui si legge e poi si agisce, alla società della comunicazione, in cui si guarda e poi si viene agiti. Un mondo nuovo, affamato di comunicatori e non di letterati. Il primo ad accorgersene è stato Michel Foucault che nella conferenza del ’69 intitolata “Che cos’è un autore?” profetizza un ambiente dove i discorsi circolano in forma sostanzialmente anonima: insomma Internet. Il primo a trarne le conseguenze è stato Yukio Mishima che nel ’70, per incidere nella mente dei giapponesi la propria opera, attua un suicidio rituale e pubblico.
Perniola non cita Pasolini, peccato, forse ignora gli affascinanti libri in cui Giuseppe Zigaina descrive il massacro di Ostia (’75) come un omicidio-suicidio a lungo premeditato dalla cosiddetta vittima per eternarsi artisticamente. Quindi anche Mishima, anche Pasolini, si fecero all’incirca le stesse mie domande: Che fare per farsi ascoltare? Uccidersi? Uccidere? Oppure, scartando di lato, darsi all’apicoltura? Scelsero l’uccidersi, sia perché non cristiani (il primo) o non abbastanza (il secondo), sia perché più o meno omosessuali e pertanto egocentrici, e poi perché negli anni Settanta non era così evidente l’importanza dell’apicoltura. Oggi che le api rischiano di estinguersi, e non in metafora come le lucciole pasoliniane, risulta chiaro che i mieli raccolti da Andrea Paternoster lassù in Trentino tramandano più cultura dell’intero catalogo Minimum Fax. Il miele sulle labbra di Platone e della sposa del Cantico dei Cantici, il miele ascetico di Giovanni Battista, il miele erotico di Enzo Carella (i cultori del Lucio Battisti periodo Panella avranno capito il riferimento), il miele che scorre insieme al latte nei fiumi della Terra Promessa. “I libri da soli non bastano a cambiare la vita di chicchessia” scrive Perniola, “se non sono accompagnati da un atto esemplare di forte impatto mediatico”.
Oggi un Montale, vita appartata spesa a bulinare versi, non sarebbe riconosciuto manco campasse centovent’anni. Avendoci i soldi, o una straordinaria capacità di fare debiti, bisognerebbe piuttosto imitare D’Annunzio che fu contemporaneamente grande autore e grande comunicatore. Bisognerebbe però anche avere la sua fortuna: il Vate visse in epoca un filo meno nichilista della presente e non fu costretto a schiacciare il pedale fino all’omicidio o al suicidio, nemmeno tentato (la caduta dalla finestra del Vittoriale, mi ha spiegato Giordano Bruno Guerri davanti a un piatto di tortelli immasticabili, fu dovuta semplicemente ad allucinazioni da cocaina). Nichilista e sorda, “l’età della comunicazione in cui tutti scrivono, ma nessuno legge, tutti parlano, ma nessuno ascolta”. Io l’ho sperimentato mille volte. [...] Che cosa devo inventare per farmi ascoltare davvero? Uccidermi non voglio. Uccidere non posso, sebbene il desiderio sia grande. E le api pungono.
C.Langone