Ho da qualche tempo in testa una battuta, che mi piace molto, e non mi ricordo di chi è. Tanto che ho cominciato a raccontarmi di averla inventata io, ma so che non è vero. La battuta è questa: gli chefs sono gli stilisti di oggi. Mi piace perché sintetizza, con un riferimento diretto a un giudizio assai condiviso sulla sopravvalutazione mediatica e salottiera della "moda", un desiderio per la restituzione a dovuta misura delle cose che riguardano il cibo e la cucina e della loro enfatizzazione salottiera e mediatica. Mi spiego.
Da molte cose belle e interessanti - la musica, la letteratura, la cioccolata, le cravatte, la storia medievale, internet - sono spesso tenuti alla larga i curiosi e i potenziali appassionati da un atteggiamento che si diffonde credo in tutti i campi di possibile passione: siano Star Trek o Percy Shelley. Parlo della creazione di comunità elitarie, ostili, presuntuose, che mettono a sentinella della loro pretesa priorità gerghi e cerimonie sproporzionati, infantili e spesso ridicoli. Credere che poiché si è particolarmente esperti o appassionati di qualcosa se ne sia in qualche modo possessori e se ne debba essere gelosi, è comprensibile e umano, ma come molte cose umane, un po' ridicolo. Le cose sono di tutti, che si tratti della propria città, di Bob Dylan o dei canederli. E sprezzare il ridicolo nascondendolo dietro apparecchi di sproporzionata solennità, peggiora le cose. Prendo come esempio evidente un campo che conosco, e su cui non escludo io stesso di tentennare a volte verso modi di questo genere, fuggendone con vergogna quando me ne accorgo: la musica. Chiunque abbia mai sfogliato un qualsiasi giornale che si occupa di musica, o anche solo la sezione relativa dei giornali generalisti, sa a quali vette di letteratura enfatica sappiano arrivare i critici musicali. E tutti conoscono il fanatico senso di possesso nei confronti dei musicisti che ammala i fans anche più piantati per terra e che li porta per esempio a pensare di avere maggiori diritti su John Lennon, Kurt Cobain o Giorgio Gaber di quanti ne avessero le rispettive amate spose. Grazie al cielo, tutto questo fu almeno messo definitivamente in ridicolo dalla fulminante frase di Enzo Jannacci: trattasi di canzonette. Una delle battute più conclusive e significative della storia: perché non sostiene che quel di cui si parla non abbia nessuna importanza – le canzonette sono importantissime – ma gli attribuisce la dovutissima misura e normalità.
Luca Sofri
Da molte cose belle e interessanti - la musica, la letteratura, la cioccolata, le cravatte, la storia medievale, internet - sono spesso tenuti alla larga i curiosi e i potenziali appassionati da un atteggiamento che si diffonde credo in tutti i campi di possibile passione: siano Star Trek o Percy Shelley. Parlo della creazione di comunità elitarie, ostili, presuntuose, che mettono a sentinella della loro pretesa priorità gerghi e cerimonie sproporzionati, infantili e spesso ridicoli. Credere che poiché si è particolarmente esperti o appassionati di qualcosa se ne sia in qualche modo possessori e se ne debba essere gelosi, è comprensibile e umano, ma come molte cose umane, un po' ridicolo. Le cose sono di tutti, che si tratti della propria città, di Bob Dylan o dei canederli. E sprezzare il ridicolo nascondendolo dietro apparecchi di sproporzionata solennità, peggiora le cose. Prendo come esempio evidente un campo che conosco, e su cui non escludo io stesso di tentennare a volte verso modi di questo genere, fuggendone con vergogna quando me ne accorgo: la musica. Chiunque abbia mai sfogliato un qualsiasi giornale che si occupa di musica, o anche solo la sezione relativa dei giornali generalisti, sa a quali vette di letteratura enfatica sappiano arrivare i critici musicali. E tutti conoscono il fanatico senso di possesso nei confronti dei musicisti che ammala i fans anche più piantati per terra e che li porta per esempio a pensare di avere maggiori diritti su John Lennon, Kurt Cobain o Giorgio Gaber di quanti ne avessero le rispettive amate spose. Grazie al cielo, tutto questo fu almeno messo definitivamente in ridicolo dalla fulminante frase di Enzo Jannacci: trattasi di canzonette. Una delle battute più conclusive e significative della storia: perché non sostiene che quel di cui si parla non abbia nessuna importanza – le canzonette sono importantissime – ma gli attribuisce la dovutissima misura e normalità.
Luca Sofri
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