mercoledì 13 agosto 2008

Etimologie desiderate

La parola concupiscenza ha a che fare con il verbo concupere e il verbo concupere, della tarda latinità, rimanda a quello assai più fresco e giovanile di cupere. Cupere (da cui Cupido, figlio di Venere) vuol dire semplicemente desiderare. Qui, però, casca il povero asino, perché: da dove viene allora desiderare? Credo che pochi lo sappiano, anche se è facile avvertire nel fondo del comune sentimento linguistico una strana risonanza con parole quali considerare e assiderare, dove si agita e scalpita la radice latina di sidus “astro” o meglio “metallo” (da cui “siderurgia”).
Ed ecco il colpo di scena. Infatti sarete certamente sorpresi nell’apprendere che il verbo italiano desiderare è un prestito dal gergo militare romano. Negli eserciti degli Scipioni, dei Pompei e dei Cesari, organizzatissimi, stando a Polibio, una squadra di tribuni era incaricata di redigere, durante la notte, l’elenco dei soldati che non si presentavano all’appello dopo la fine di una battaglia. Per considerarli morti la prassi imponeva di aspettare il mattino seguente, quando si poteva sigillare l’accaduto nella formula rituale, che recitava testualmente:
tot milia militum desiderati sunt. Con questo giro di parole si voleva semplicemente far sapere che quel dato numero di soldati era stato aspettato invano (e con trepidazione) fino al tramonto delle stelle. Appare così finalmente chiara la parentela tra considerare (osservare alla luce delle stelle), assiderare (perdere calore nella notte stellata) e desiderare. Il senso della mancanza e della trepidazione è dunque passato dal gergo militare al linguaggio comune, e indica l’attesa di una cosa che sfugge, e in generale l’impulso che ci porta fuori di noi stessi, con trepidazione e amore per ciò che ci aspetta. Nel termine, come nell’esperienza pratica, è rimasta conficcata la spina di quella attesa trepidante, di quella speranza di veder comparire qualcuno, di quel timore di perdere una percezione segreta della vita, che sono appunto la delizia ma a volte la croce e l’esasperazione del desiderio.

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