venerdì 16 novembre 2007

Urli neri, tigri in calore, streghe in libertà

Ore 8:05 di un paio di giorni fa. In auto. Urla straziate e strazianti alla radio. Un “urlo nero” di una madre. E’ la madre di Hina, che il padre ha ucciso perché lei voleva vivere “all’occidentale”. Dopo la sentenza di 30 anni (di più pare non sia tecnicamente possibile) al marito, la donna si dispera. Sembra non capacitarsi di come una legge secolare possa mandare in galera un padre per un “delitto d’onore”. A prescindere dal caso specifico, l’urlo nero fa pensare. La sinestesia l’ho rubata ad un gioiello di Quasimodo, “Alle fronde dei salici”, dove assordante e tetro era l’urlo nero della madre che andava incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo. Intelligenti pauca.
Non voglio entrare nel merito degli scontri di civiltà e della evoluzione civile di una società organizzata, per ora meglio restare ad una lettura minimale e proporre un altro paragone. Col mondo degli animali, ad esempio. Le caratteristiche umane non solo fisiche ma anche comportamentali e di gruppo che si ritrovano o che si possono far risalire agli animali affascinano, perché esaltano quella sfera inconscia dell’uomo che egli stesso non può o non vuole controllare. I riti del corteggiamento non sono così dissimili tra un maschio di tacchino e un maschio di homo sapiens, o tra la femmina tigre e la compagna del sapiens medesimo. Stessa considerazione per l’innata protezione della prole dei mammiferi di ogni tipo, o la pelle d’oca e i peli irti di fronte ad un pericolo percepito come tale. Non voglio dire che la civiltà animale sia migliore di qualsiasi tipo di civiltà costituita in Terra (anch'essi avevano i loro problemi politici, come ha mostrato Orwell in quello che dovrebbe diventare un libro di testo delle scuole medie, “La fattoria degli animali”), ma un punto fermo c’è: gli animali tendono in modo deterministico all’autoconservazione della specie. Una madre che ritenga giusta o doverosa la morte di una figlia per cause legate al modus vivendi fa riflettere. Quando l’insegnamento ricevuto, la morale costituita, una certa interpretazione del Paradiso superano l’innata autoconservazione e denigrano il valore di una vita umana voi non sentite puzza di bruciato?

A proposito di fuoco, un post scriptum:mi piace pensare Hina come una strega. E mi piace pensare che le streghe fossero belle donne, che sfuggivano colla libertà di pensiero e col coraggio di osare alla morale comune e al pensiero dominante. Strega come capacità di sognare e volontà di farlo ancora e comunque. Le varie Hina dovrebbero essere streghe, sì, di quelle streghe che venivano giustiziate una volta in piazza, e l’odore delle loro carni violate e bruciate infestavano le narici degli astanti con senno, si attaccava al loro cervello e li teneva svegli la notte.

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