Un frequentatore del forum della rubrica Scioglilingua (dubbi e curiosità sulla lingua italiana) sul Corriere.it scrive:
Scrivo per chiedere il pensiero del “forum” su un quesito che mi sono posto da diverso tempo. A me pare che la lingua italiana sia l’unica al mondo (considerando i paesi più significativi) che si parla come si scrive. In base a questo, secondo me, dovrebbe essere adottata come lingua internazionale. E’ vero che ci sono diversi problemi come la coniugazione dei verbi, gli accenti e tanti altri, ma per ognuno di questi ci può essere una soluzione. Per renderla accessibile a tutti penso che per prima cosa si debbano programmare diversi livelli di conoscenza – faccio un esempio: Livello 0 (o Italiano makeronico) in cui vengono selezionate cento parole base che si consiglia di imparare a memoria il meglio possibile più un piccolo dizionario in cui sono indicate queste cento parole nella lingua di origine e le corrispondenti in Italiano, più altre trecento parole utili che all’occorrenza vengono usate consultando il dizionario, ed ancora i numeri da 1 a 100. I verbi vengono usati solo all’infinito e per gli accenti si può riportare nel dizionario qualche indicazione affinché vengano pronunciate il meglio possibile, ed altre semplificazioni per le quali ci si può ispirare al linguaggio ke i ragazzi usano nei messaggi SMS (esempio: k al posto del ch, come ho già fatto io volutamente, e diverse altre). Un turista russo di questo livello che viene in Italia si può esprimere in questo modo: io volere mangiare makeroni – io volere stanza, due letti – tu dare a me pane – quanto costare questo? ecc. E’ ovvio che se questo turista va invece in Canada deve dialogare con gente del suo livello o livelli superiori e questo è possibile se l’Italiano diventa lingua internazionale. Livello 1 - le parole base diventano duecento e quelle nel dizionario cinquecento più qualche elementare regola grammaticale. E così via con livelli sempre più impegnativi fino ad arrivare ad arrivare a far parlare l’Italiano in modo corretto. Ritengo che inizialmente siano sufficienti tre livelli con dizionari per il maggior numero di lingue diverse. So che ormai è l’Inglese la lingua internazionale che tanti dicono di conoscere ma che in realtà per la maggioranza parlano in modo “makeronico”. Penso però che per un extracomunitario o un emigrato di qualsiasi nazione sia più facile farsi capire e capire gli altri con il sistema sopraindicato.
Mia risposta, pubblicata sul forum del Corriere il 16 novembre:
Riguardo alla proposta di Romano Scaglioni (l'italiano come lingua internazionale), vorrei evidenziare alcuni aspetti.
1) La pronuncia non è la prima né la maggiore difficoltà nell’uso di una lingua. La pronuncia e la lettura della lingua tedesca, ad esempio, è relativamente semplice. Eppure la struttura logica e grammaticale non è di banale iniziazione. Nella scelta di una possibile lingua internazionale la pronuncia non gioca il ruolo di priorità massima, o, ad ogni modo, non lo gioca da sola, svincolata dalla grammatica.
2) A prescindere dalla difficoltà della definizione di una procedura sistematica e coerente per la semplificazione di una lingua, bisogna notare che una semplificazione euristica ed intuitiva avviene già da parte di molti immigrati, inevitabilmente, e proprio come negli esempi indicati dal lettore. Siamo sicuri che i (probabili) vantaggi comunicativi derivanti da una semplificazione metodica superino gli svantaggi derivanti dallo snaturamento di lessico, verbi e strutture che sono la forza e la ricchezza dell’italiano? Sappiamo tutti che l’uso di una lingua la condiziona e la fa evolvere: non sarebbe una involuzione, nel caso in questione?
3) C’è un problema di prospettiva, non si può guardare il problema da un punto di vista italiano. I popoli del centro e nord Europa, ad esempio, hanno molti meno problemi di noi italiani con la pronuncia di quanto possiamo immaginare. Inoltre, l’italiano fa parte delle lingue derivanti dal latino, ma questo non è né l’unico né forse il maggiore ceppo linguistico. Le lingue slave e russe hanno pochissimo da spartire con il latino; tedeschi, danesi e olandesi hanno una forte derivazione sassone; la penisola scandinava ha un’altra storia ancora. Per non parlare dell’Oriente, non solo europeo. L’inglese è una miscela di francesismi e parole di derivazione sassone, con una grammatica relativamente molto semplice: la soglia di ingresso per la comprensione e la produzione dell’inglese è bassa, e non solo per gli italiani. Cordialmente,Stefano Cicetti
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