mercoledì 14 ottobre 2009

Convertiti

Conversando (l’unica volta che ne ebbi l’occasione) con lo scrittore cattolico inglese Anthony Burgess, dovetti incassare il suo disprezzo per i «convertiti». Il cattolicesimo appartiene, disse, alla Cornovaglia, e lì deve restare.
L’antipatia verso i convertiti è più diffusa, anche da parte cattolica, di quanto sembri. Li si guarda con sospetto, pronti a cogliere ogni segno della superficialità e dell’inconsistenza della loro fede, pronti a vedere il loro entusiasmo crollare. La sospettosità travestita da intelligenza è una faccia dell’invidia: a nessuno fa piacere vedersi superare nel Regno dei Cieli, e i convertiti servono anche a questo: a svegliare tutti coloro che si sono accomodati nel cattolicesimo come dentro una buona abitudine.
Consiglio vivamente, a questo proposito, il libro di Lorenzo Fazzini Nuovi cristiani d’Europa (Lindau, pagg. 215, euro 16). Esso raccoglie dieci interviste a dieci convertiti «eccellenti» del nostro tempo. Se la Comunità Europea nel 2004 tolse le radici cristiane dal preambolo alla Costituzione (poi abortita), queste radici semplicemente restano, e sarebbe un grave errore considerare il quadro spirituale dell’Europa solo in termini di relativismo e ateismo pratico. Queste radici continuano a esistere e a produrre nel deserto magnifiche piante.
Fazzini fa secondo me un’ottima scelta dei personaggi. Si tratta di scrittori, giornalisti, filosofi, artisti, rockstar. Uomini, insomma, ben inseriti nel nostro tempo (c’è anche un autore di best seller come Éric-Emmanuel Schmitt), uomini moderni che un bel giorno hanno cominciato a dire che Gesù di Nazareth è figlio di Dio, che è morto ed è risorto, e questo senza il minimo scandalo per la propria razionalità e modernità. Proprio Schmitt, nella prima intervista, centra il punto quando dice: «fui abitato dal sentimento dell’assoluto, da una forza così grande che non potevo esserne io l’origine». Queste parole semplici toccano il cuore del problema. L’incredulità non è una teoria, ma un atteggiamento di chi pensa, alla fin fine, di essere lui stesso il signore e padrone della propria vita. Viceversa, il primo passo della conversione è una specie di contraccolpo della ragione, con il quale un uomo si rende conto di non essere l’autore di se stesso.
Il vertice dell’intelligenza sta, in queste storie, in una sorta di resa, nella quale alcuni uomini di successo, intelligenti e per nulla paurosi, si sono abbandonati a qualcosa di «altro» da loro. E in questo abbandono hanno trovato l’inizio della felicità. Per loro, il cristianesimo non è altro che questo: un abbandono di sé a Cristo. Ovvio che la loro semplicità susciti l’invidia di quelli che considerano la fede come un patrimonio (privato) di famiglia.

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