sabato 31 ottobre 2009
Societa' dell'immagine
Eravamo rimasti alla società dell’immagine, alla dittatura dell’immagine, poi alla notizia sostituita dall’immagine, suprema Cassazione della realtà: ora siamo all’immagine che riesuma le notizie di cui non ce ne fregava niente. Annozero e la fiction su Marrazzo non c’entrano: era normale, ci si è inventati il video perché semplicemente non c’era e infatti è stato la parte più memorabile della trasmissione, mentre La Stampa titolava: «C’è un video di 13 minuti con Marrazzo» perché la semplice esistenza di un video ormai è una notizia eccitante, come a dire: preparatevi.
Ma vogliamo parlare del caso di Stefano Cucchi? La notizia era disponibile da giorni, snobbata dai più: ma spuntano le foto ed ecco che i grandi quotidiani si avventano allarmati su una notizia che già c’era: «Morto dopo l’arresto, diffuse le foto shock» ha titolato il Corriere, purché sia chiaro che la notizia ritenuta più interessante non era «Morto dopo l’arresto», ma «diffuse le foto shock», dunque le foto.
E il video napoletano stile Gomorra? Avete notato che qualcuno aveva le maniche corte? L’esecuzione, già nota, è dell’11 maggio scorso, e tuttavia Repubblica: «Adesso la città ci aiuti». E perché solo «adesso»? Ah già, perché c’è il video, già, che stupidi. Non dobbiamo più chiederci che cosa accadrà domani, ma quali immagini troveremo oggi.
venerdì 30 ottobre 2009
Viados del tramonto
Piero Marrazzo – per ora – risulta che non abbia commesso reati, e in teoria non aveva motivo di dimettersi. Figurarsi se ne avrebbe avuto motivo Silvio Berlusconi, che è andato con una prostituta o un milione che fossero. Anche il decreto di condanna dell’ex direttore di Avvenire Dino Boffo era davvero poca roba, a ben vedere. La faccenda della «ricattabilità» poi è una sciocchezza siderale, perché dove non c’è reato non dovrebbe esserci vergogna: ma siamo un Paese che resta cementato a un’ipocrisia profonda, storicamente e culturalmente radicata, inguaribile, ormai codificata. A regnare incontrastato resta non il diritto positivo, ma il diritto naturale, gli usi & consuetudini, il celeberrimo «si fa ma non si dice».
Puoi fare ciò che vuoi, basta che non ti faccia beccare: sesso, adulterio, aborto, eutanasia, abusi edilizi, lo scontrino che non ti hanno dato ma che tu non hai chiesto, l’auto in doppia fila, un’immensa zona grigia in cui il lecito può essere moralmente illecito, e l’illecito confina invece con una cultura tutta italiana nel definire leggi che probabilmente, già si sa, non verranno rispettate. Ogni regola varata contempla in partenza un venturo accomodamento, una mediazione a metà tra il suk latino e il rosso porporale. Imbracciare di volta in volta una questione morale, in questo scenario, significa solo: devi fare quello che dico io, perché sì.
...Elliot Spitzer, governatore di New York, viene intercettato mentre combina con una prostituta; si dimette.
Ikka Kanerva, ministro finlandese, spedisce sms piccanti a una spogliarellista che se li rivende; si dimette.
Max Mosley, presidente della Federazione internazionale di automobilismo, compare in un video che documenta un’orgia con cinque prostitute; non si è dimesso.
Che cosa accomuna questi tre casi? In teoria nulla. Il governatore di New York ha compiuto un reato, perché nel suo Stato la prostituzione lo è: a casa. Il ministro finlandese, coi suoi sms, non ha compiuto un reato: a casa lo stesso per ragioni «morali». Neppure Max Mosley ha commesso un reato (la prostituzione in Germania non lo è) e semmai lo ha subito, perché è stato spiato: e molti lo volevano a casa lo stesso.
Ergo: se in una condotta la discriminante non è più la legalità ma la sua pubblicizzazione, addio. Se la morale mediatica supera in importanza il rispetto delle leggi, addio. Per i personaggi pubblici sarà sempre più difficile sfuggire a una totale trasparenza: ma sarà sempre più difficile che la concedano. Per questo Paese già culturalmente portato alla doppia morale, in altre parole, gli scandali politico-sessuali sono terreno ideale: toghe e massmedia si scateneranno ancora di più. Non è la moda del momento: ci frastorneranno le palle per anni.
F.Facci
Dalla paideia alla brace
Secondo canale
Piero Marrazzo ricattato con un video compromettente: pare che in passato abbia lavorato per il Tg2.
L'ex giornalista Rai si giustifica: "Avevo nostalgia del secondo canale".
Dopo le escort di Berlusconi, i trans di Marrazzo. Finalmente ci si confronta sui programmi.
Berlusconi avvisò Marrazzo. Si erano incontrati sulle scale.
Pare che Berlusconi abbia custodito il filmato per parecchi mesi. Quando si dice unire l'utile al dilettevole.
(Di una cosa bisogna dare atto a Marrazzo: è sempre stato dalla parte dei consumatori)
Si sospettano mandanti occulti. Il filmato si chiude con il trans che dice "Italia uno!".
Adesso è ospite di una struttura gestita da sacerdoti. Ha optato per una disintossicazione graduale.
(Una scelta discutibile. Non ne ha abbastanza di uomini che vanno in giro con la gonna?)
Marrazzo: "Getto la spugna". Il vecchio trucco.
Insistenti le voci su Gasparri frequentatore di trans. Che adesso temono per la loro reputazione.
giovedì 29 ottobre 2009
Pass
1989
Tutti i racconti hanno per protagonisti dei muri: muri materiali, recinzioni, confini; ma anche muri immateriali, che separano gli uomini per il colore della pelle, la religione, la cultura, la ricchezza. I racconti sono stati illustrati dalla matita di Henning Wagenbreth, grande illustratore dell'avanguardia tedesca. Le tavole di questo artista sono ricche di fantasia e colorate suggestioni, e fanno di «1989» un vero e proprio graffito contro l'intolleranza e il tetro grigiore dei muri. Considerato tra i più interessanti e originali illustratori europei, con «Mond und Morgenstern - La luna e la stella del mattino» Wagenbreth è stato insignito del premio «Il libro più bello del mondo».
lunedì 26 ottobre 2009
M'arrazzo
Giustizia superba
T. Capuozzo
Nomen omen
giovedì 22 ottobre 2009
Solo da piccolo
Secoloditalia
mercoledì 21 ottobre 2009
Saturn at equinox
Dal 74 al 94
diretto da Indro Montanelli». In allegato gratuito col quotidiano vi sarà la riproduzione di quattro prime pagine storiche.
martedì 20 ottobre 2009
Cervellibus Magris
...dall’autore di libri pregevoli come Microcosmi ci si attende qualcosa che abbia un respiro ampio. Nel 1998 lo scrittore Martin Walser nello stesso contesto pronunciò un discorso dirompente: cari amici tedeschi, disse, ora basta con i sensi di colpa nei confronti dell’Olocausto, e soprattutto finiamola di usare le tragedie della Seconda guerra mondiale come una clava morale per delegittimare i nemici politici. Ne uscì una polemica clamorosa e importante, non ancora conclusa. Invece Claudio Magris, come si legge nella trascrizione dell’intervento pubblicata dal Corriere della Sera, ha parlato ai tedeschi di Roberto Calderoli, delle ronde e, più in generale, delle tristi condizioni in cui a suo dire versa la democrazia italiana.
Magris da «patriota» spera che la «peraltro incantevole» Italia «non sia all’avanguardia in senso negativo: il fascismo, dopotutto, in Europa, lo abbiamo inventato noi». Vane speranze, è evidente. Secondo lo scrittore, la barbarie, sotto forma di populismo e intolleranza nei confronti degli immigrati (con riferimento indiretto ma chiaro alla Lega), avanza come un carro armato. Il populismo, in particolare, è «una gelatinosa totalità sociale» che distrugge i valori fondamentali. La «gelatinosa totalità sociale» aggredisce, come il mostro alieno di Blob, il senso della giustizia: «L’insofferenza crescente per la legge che persegue i reati e la limitazione del potere della magistratura» esprimono «il torvo sogno di una vita senza legge o con meno legge possibile, ossia di una giungla, di una condizione di bellum omnium contra omnes, in cui i forti trovino pochi ostacoli nello schiacciare i deboli».
Il passaggio lascia perplessi però, alla fine, siamo sempre nell’ambito della critica al capitalismo senza regole come forma di darwinismo sociale e alle lamentele sulla democrazia senza democrazia, cioè sui regimi in cui la democrazia è solo formale e non sostanziale. Roba vecchia come il cucco. Quello che segue è invece una novità. Dopo la tirata in favore della legge e dei magistrati, Magris butta lì un esempio davvero singolare: il professore di filosofia Toni Negri, autore di «elucubrazioni pseudo-rivoluzionarie» di cui si sono «nutrite le Brigate Rosse sotto il cui imbecille piombo reazionario sono caduti molti rappresentanti dell’Italia migliore», ha dichiarato «la propria solidarietà a Berlusconi, in quanto entrambi perseguitati dalla magistratura». Pare di capire, nell’oscuro brano, che il parallelismo sia il seguente: eversivo Toni Negri, eversivo Silvio Berlusconi. E tutti e due sarebbero persone «indegne» che minacciano la giustizia e quindi la pace. Olè. Alla faccia della penetrante capacità di analisi che - dicono gli intellettuali - contraddistingue gli intellettuali.
il Giornale
lunedì 19 ottobre 2009
Fissati col posto fisso
L'idea che tutto questo possa o debba essere contestato è tre volte paradossale. Primo: perchè la flessibilità, dati alla mano, ha favorito una riduzione senza precedenti dei tassi di disoccupazione, parte della quale tradisce l'emersione del nero. Secondo: perchè la flessibilità non è solo rischio, ma anche e necessariamente opportunità. Terzo: perchè il paese ha faticato per adeguare il suo quadro normativo a un mondo che cambia, ha dovuto sconfiggere resistenze lobbistiche di ogni tipo, ed è irresponsabile oggi suggerire la marcia indietro, da parte di chi è a ragione considerato l'uomo forte del governo.
domenica 18 ottobre 2009
I comunisti mangiano i bambini
Arbasino
Bestselleristi sobri
sabato 17 ottobre 2009
Una sola voce polifonica
Ma il PD deve essere "polifonico" o deve avere "una sola voce" sulle questioni di peso e frenare le "minoranze interne"? Verderami please explain.
Decoro coranico
Che ne facciamo di Polanski?
La tesi è la seguente. Non c’è più una relazione educativa effettiva degli adulti con i fanciulli e le fanciulle, né in famiglia né, tantomeno, nella scuola. Nello scambio tra le generazioni, parole come amore e amicizia non hanno più alcun senso. Un grande pedagogo cattolico, don Luigi Giussani, che a metà dei Cinquanta fondò il movimento ciellino, parlava di “rischio educativo”. Il filosofo straussiano Allan Bloom, il “Ravelstein” di Saul Bellow, autore di memorabili saggi sulla crisi dell’educazione e della cultura contemporanea, la metteva così: “Scienza e moralismo hanno ridotto l’eros a sesso. Individualismo ed egualitarismo hanno trasformato le relazioni romantiche in materia contrattuale da negoziare. La scienza sociale avalutativa ha indotto a considerare normale ogni tipo di comportamento sessuale, inducendo noia. Nelle ore di educazione sessuale i ragazzi imparano come si usa un condom, ma non come fare i conti con le speranze e i rischi dell’intimità. Non sappiamo più come si faccia a parlare e a pensare intorno al pericolo e alla promessa contenuti nelle idee di attrazione e di fedeltà” (Love & Friendship, Simon & Schuster, 1993). E lo psicoanalista e antropologo James Hillman, che ho già citato in altro contesto, avvertiva che ogni rapporto di patronage, ogni tutela o curiosità intergenerazionale tendono a essere letti con un meccanismo riduzionista, come rapporto genitale, come interesse sessuale (Il codice dell’anima, Adelphi, nuova edizione paperback 2009).
La scuola pubblica e i principi educativi correnti irrigidiscono fino a cancellarli, al di là di ogni ragionevole dubbio, il rapporto autoritativo e la maieutica dell’insegnamento. Il nostro modello educativo sottrae nel massimo grado possibile ogni forma di energia, di eros, di vero e rischioso esercizio dell’autorità, all’insegnamento, a quello che Strauss definiva l’allevamento dei cuccioli della nostra specie, che in nome di principi giudeo-cristiani, greci, romani ed umanistici dovrebbero ricevere e dare qualcosa di decisivo, appunto nel rischio dell’amore e della filìa, dell’amicizia, nell’incontro delle generazioni in vista della conoscenza, del sapere e della formazione politica. L’unica istituzione che lo conservi almeno in parte, questo principio, è la chiesa cattolica; e infatti il suo clero, nell’America protestante e postmoderna, è martirizzato, al di là dei casi accertati e sanzionabili, dalle furiose campagne di denuncia e dalle corrispondenti richieste di risarcimento che irrigidiscono ulteriormente, fino alla completa criminalizzazione del modello seminariale monosessuale, l’ultimo scampolo di una educazione occidentale tramandataci attraverso il medioevo dall’età classica poi cristianizzata.
Basta la chiave
giovedì 15 ottobre 2009
Conoscere fino all'ultimo
Paradosso
Amore e morte
Aldiqua
Morale
Rimozione
Dèi
Carruba
Vita
Dalemani
Proibizionismo libertario
...quando lo Stato mette in discussione la possibilità di agire in maniera viziosa anche se questo comportamento non è aggressivo (mentre, nella sua saggezza, San Tommaso d’Aquino aveva ben chiaro che vi sono peccati che non sono reati), ci si trova su una china che conduce verso prospettive totalitarie.
Da economista della scuola austriaca e quindi attento alla lezione di Mises e Hayek, l’autore de L’economia della proibizione evidenzia che «la domanda di politiche interventiste quali quella della proibizione nasce dalla percezione che il processo di mercato ha fornito risultati insufficienti o che non correggerà le sue inefficienze». Il proibizionismo o è illiberale o non è, dato che incarna una pericolosa presunzione del ceto politico, che punta ad arrestare ogni evoluzione imprenditoriale: «Il processo di scoperta del mercato porta alla circolazione di prodotti meno costosi, di qualità migliore e più sicuri. La proibizione pone fine al processo di scoperta e lo rimpiazza con un mercato nero e un processo burocratico, ognuno con i suoi mali». È come se il mondo si fermasse e nessun futuro migliore fosse possibile. Gli imprenditori escono di scena e il loro posto è preso da politici e burocrati. Ma come rilevò Mises, «se si abolisce la libertà dell’uomo di determinare il proprio consumo di beni, si tolgono tutte le libertà».
Doxocrazia
Palude Italia
mercoledì 14 ottobre 2009
I gangli e il libero arbitrio
Professor Priori ma uno studio tipo il suo non si porta dietro una concezione deterministica?
«Indubbiamente sì, e questa è la concezione generale che ispira il convegno. Il sottotitolo “Il cervello non spiega chi siamo” è ovviamente provocatorio. Il cervello spiega benissimo chi siamo».
Ma il libero arbitrio, dove va a finire?
«Cosa c’è di libero? Io non sono un filosofo ma al libero arbitrio credo poco. Mettiamola così: qualsiasi decisione “libera” prenda il cervello ha dei precisi correlati deterministici».
Banalizzando, allora l’hardware del nostro cervello conta moltissimo... Forse più del software?
«Nel cervello, mantenendo la sua metafora, hardware e software sono assolutamente interdipendenti. Si modificano a vicenda. È questo che rende il cervello molto più sofisticato di un computer. Il cervello si adatta in pochissimo tempo, se una parte si danneggia può supplire con un’altra. Ciò non toglie che l’hardware ha un ruolo di assoluta rilevanza. E studiarlo ci consente di capire dei processi importanti».
E cosa cambia dopo lo studio che avete condotto?
«Adesso sappiamo che nelle decisioni di tipo più complesso intervengono delle parti del cervello che si credeva facessero tutt’altro. Parti di cervello che abbiamo in comune persino con i rettili».
Puttana la ministra
Bazzico il pianeta scuola da dieci anni, e mi sono reso conto che il livello generale è pessimo. Certo, non mancano gli insegnanti di vaglia, e con alcuni ho anche avuto la fortuna di lavorare (voi sapete chi siete). Ma sono i primi a patire (ammettendole fra i denti) le mortificazioni di un corpo docente imbarazzante: i nipotini del '68, di prodigiosa militanza e ignoranza, frustrati a brandelli, autentiche nullità chiamate a costruire l'educazione dei cittadini di domani. E senza il minimo senso di realtà e di responsabilità: si preoccupano solo e immancabilmente di se stessi, non vogliono mollare quella che considerano una cattedra dovuta (e magari è piovuta dal cielo sconfinato del clientelismo). Sindacalizzati come sono, non tollerano alcun sindacato sul loro operato, non accettano altra logica del tengo famiglia. Gente che non si preoccupa della scuola in cui lavora ma solo della sua “collocazione a sinistra”, manco fosse un imperativo categorico. Di qualche prof sono stato compagno di classe, o altrimenti in rapporti: mi piacerebbe raccontare com'erano da studentesse (o come sono ancora oggi) certe verginelle che danno della mignotta alla Gelmini, Madre di tutti gli alibi, squilibri mentali inclusi. La verità è che la stragrande maggioranza di chi la bolla coi peggiori epiteti dovrebbe solo andarsene a casa, perchè, tanto o poco che sia, quello stipendio lo ruba tutto. Incapaci di insegnare, buoni ad alimentare una intolleranza a tutto ciò che non coincide col proprio tornaconto e con le proprie banalità ideologiche, difese, anche questo potrei raccontarlo con nomi e cognomi, con attempati o infantili appelli alla lotta (armata), all'odio pregiudiziale, al diritto di zittire e di bocciare l'infame in ragione di cosa legge, scrive, pensa. Non credo che l'andazzo oggi sia tanto diverso dai miei tempi, quando facevano carriera compagni, in tutti i sensi, che nei temi infilavano, tra mille strafalcioni, il peana ipocrita e delirante per la lotta armata. Oggi ho l'assai poco vago sospetto che basti un fugace passaggio sulla “meretrice Gelmini” e lo “sporco nano” Brunetta, magari condito da un'arguta allusione alla indiscutibile pedofilia dell'altro “mostriciattolo”, per guadagnarsi il sette più, anzi otto. Del resto, lo afferma anche l'intellettuale Asor Rosa, uno dei radiosi maestri del '68, teorico della “violenza progressiva”: la scuola è l'ultimo avamposto di comunismo.
I risultati sono da anni sotto gli occhi di tutti, e si riflettono allegramente in una classe giovanile che è la peggiore d'Europa. Scuole gestite da idioti, università che sono bordelli legalizzati, giustamente umiliate nelle classifiche di merito (l'ultima, del Times Higher Education, è di ieri e pone la migliore delle italiane, quella di Bologna, in 174° posizione...). Ma nessuno vuol cambiare niente, men che meno chi impara, si fa per dire: conviene scaricare ogni colpa sul regime e le sue televisioni. Berlusconi cascherà, ormai l'abbiamo capito, e non è una gran perdita, lui le riforme (liberali) non è in grado di farle, è solo in grado di gestire l'emergenza, specie se coincide con la sua emergenza. Ma dovesse tornare al potere la sinistra, sarà la fine di ogni limite al peggio. Perchè non c'è niente da fare, la sinistra postcomunista, che nei sentimenti resta marxista o cattocomunista, ha per vocazione la tutela dell'evanescenza, del parassitismo e dell'impunità; la sua cultura è puro jovanottismo in salsa pseudorivoluzionaria (in realtà conservatrice della peggior specie). E non cambierà: basta vedere in tv certi trasandati alfieri della docenza politicamente corretta, cioè raccomandata. Hanno in sé qualcosa di irrimediabile, in quell'aspetto e quei discorsi fastidiosamente sudaticci. Ogni valorizzazione dell'èlite, della qualità, di una cultura solida, da quelle parti è bandita, perchè sanno di non poterne fare parte. La loro legge è una sola: tanto peggio, tanto meglio.
Botte e risposte
Bucato da Nobel
Convertiti
L’antipatia verso i convertiti è più diffusa, anche da parte cattolica, di quanto sembri. Li si guarda con sospetto, pronti a cogliere ogni segno della superficialità e dell’inconsistenza della loro fede, pronti a vedere il loro entusiasmo crollare. La sospettosità travestita da intelligenza è una faccia dell’invidia: a nessuno fa piacere vedersi superare nel Regno dei Cieli, e i convertiti servono anche a questo: a svegliare tutti coloro che si sono accomodati nel cattolicesimo come dentro una buona abitudine.
Consiglio vivamente, a questo proposito, il libro di Lorenzo Fazzini Nuovi cristiani d’Europa (Lindau, pagg. 215, euro 16). Esso raccoglie dieci interviste a dieci convertiti «eccellenti» del nostro tempo. Se la Comunità Europea nel 2004 tolse le radici cristiane dal preambolo alla Costituzione (poi abortita), queste radici semplicemente restano, e sarebbe un grave errore considerare il quadro spirituale dell’Europa solo in termini di relativismo e ateismo pratico. Queste radici continuano a esistere e a produrre nel deserto magnifiche piante.
Fazzini fa secondo me un’ottima scelta dei personaggi. Si tratta di scrittori, giornalisti, filosofi, artisti, rockstar. Uomini, insomma, ben inseriti nel nostro tempo (c’è anche un autore di best seller come Éric-Emmanuel Schmitt), uomini moderni che un bel giorno hanno cominciato a dire che Gesù di Nazareth è figlio di Dio, che è morto ed è risorto, e questo senza il minimo scandalo per la propria razionalità e modernità. Proprio Schmitt, nella prima intervista, centra il punto quando dice: «fui abitato dal sentimento dell’assoluto, da una forza così grande che non potevo esserne io l’origine». Queste parole semplici toccano il cuore del problema. L’incredulità non è una teoria, ma un atteggiamento di chi pensa, alla fin fine, di essere lui stesso il signore e padrone della propria vita. Viceversa, il primo passo della conversione è una specie di contraccolpo della ragione, con il quale un uomo si rende conto di non essere l’autore di se stesso.
Il vertice dell’intelligenza sta, in queste storie, in una sorta di resa, nella quale alcuni uomini di successo, intelligenti e per nulla paurosi, si sono abbandonati a qualcosa di «altro» da loro. E in questo abbandono hanno trovato l’inizio della felicità. Per loro, il cristianesimo non è altro che questo: un abbandono di sé a Cristo. Ovvio che la loro semplicità susciti l’invidia di quelli che considerano la fede come un patrimonio (privato) di famiglia.
Numero Jolly
martedì 13 ottobre 2009
Intellighenzie
Il declino made in USA
domenica 11 ottobre 2009
Nobel letteratura
E il signor Nobel sappiamo tutti da che parte sta.
Sudan
venerdì 9 ottobre 2009
Andate in Peace
Autorevoli stampe straniere
Pubblicato sul Foglio, Lettere al direttore, sabato 10 ottobre.
Zoro, 09/10
La noia
“Presidente, non credo di capire”.
“Lo so, sei un babbuino. C'è che fino a cinque minuti fa avevo un'impresa da portare a termine, un combattimento da vincere, capisci? E io avrei vinto, a qualsiasi costo”.
“E infatti ha vinto”.
“È stato troppo facile, non mi va. A me non piace veramente vincere... il momento della vittoria magari sì, ma già il momento dopo, quando ti siedi sul trono... è tutto finito, diventi un funzionario che deve ricevere la regina d'Inghilterra e la contessina di stocazzo, ed è una noia, una noia che non t'immagini. Per me l'Italia è come una donna, capisci”.
“Forse”.
“Mi piace conquistarla, non avercela tutti i giorni tra le palle con le sue beghe da vecchia frustrata... se me la sposassi, capisci, smetterei di corteggiarla subito dopo, la cornificherei immediatamente... a proposito, la ragazza di prima...”
“Credo che sia ancora nel cortile, la vado a chiamare?”
“Sì. Credo di averne bisogno”.
“Ma Presidente, lo ha detto prima lei... se avesse un registratorino?”
“Tanto meglio, così gli ingaggi invece di chiederli a me li chiede alla cricca di De Benedetti e Santoro, ci faranno su un bello scandalo e si sentiranno così fieri di avermi infastidito. Se solo sapessero...”
“Sapessero cosa?”
“Che se loro non m'infastidissero, io probabilmente morirei”.
“Presidente!”
“Sì, morirei. Di noia. È peggio del cancro. Posso dirtelo, io lo so. E allora, 'sta signorina?”
“Arriva, arriva”.
“Bene. E poi lasciami solo”.