sabato 3 gennaio 2009

Discorso, discorso

Lettura da sinistra del messaggio augurale di Giorgetto Napolitano.
Un giorno qualcuno dovrà studiare con categorie non politiche - e magari psicanalitiche - i misteriosi meccanismi che portano uomini tanto diversi per storia e convinzioni al medesimo processo di bonaria mummificazione nel momento in cui entrano al Quirinale.Saranno gli arazzi, i tappeti, gli stucchi, i cortigiani, chissà. Sta di fatto che quando si diventa presidenti della Repubblica si assume quasi coattivamente una tendenza irrevertibile al luogo comune, al nulla che mette tutti d’accordo, e vai con l’appello, l’auspicio e il monito, il tutto pieno di buoni e generici sentimenti in una grande notte in cui tutti i gatti sono bigi.Così a sentire ieri sera il buon Napolitano - e che Dio ce lo conservi, per carità - non sembrava neppure di vivere in un paese per un terzo controllato dalla criminalità organizzata, ottuso dal sonno dei valori civili, rotolante verso il basso in tutte le classifiche di innovazione, di trasparenza, di modernità. Un paese sempre più periferico e incapace di reagire al proprio declino, inebetito da un governo di affabulatori mediatici e senza un’opposizione decente dall’altra parte.Non a caso, nel palazzo della politica il discorso di Napolitano è piaciuto così tanto a tutti, a Berlusconi e ad Epifani, a Calderoli e a Rotondi, a Veltroni e a Gasparri, a Bersani e a Cicchitto. Condividono tutti, condividono tutto.Succede, quando non si dice niente.

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