domenica 25 maggio 2008

Botta di culo o diritto morale?

Il mio amato amico anonimo ribatte al post "Una grande cazzata". A seguire mie cazzatine.

Antefatto: quando vedo in Olanda un tedesco girare con maglia nera, calzoni nocciola e sandali coi calzetti, lo guardo con disprezzo e penso di poterlo fare perche' sono un erede di Michelangelo. Una volta lessi che data l'infinitesima dimensione delle molecole di ossigeno ed il loro infinito numero il calcolo statistico ci permette di affermare che ad ogni respiro immettiamo almeno una delle molecole che esalo' Cesare in quel fatidico giorno di marzo. Ora, siccome ho studiato come prendere le misure senza fare i conti, non mi sfugge che i geni di una cellula sono meno del numero di Avogadro e, per quanto frenetici siano gli accoppiamenti nelle colline del centro Italia, non somigliano ancora ai moti browniani. Tuttavia il naso mi dice che difficilmente ci sono nel mio sangue piu' acidi nucleici figliati dall'elica del pittore che in quello di un comune umano che non viva in una valle svizzera o in un isola della Micronesia. E poi chissa' se il genio, o la misura, si eredita?Forse ci si addestra a queste virtu' se si e' vissuti in casa del toscano. Largheggiamo: supponiamo che vi si assorba la consuetudine se si vive all'ombra delle sue opere. Ma sono nato, cresciuto ed ho studiato in una anonima periferia di una cittadina che del Buonarroti non ha neppure una via (bensi' un piazzale in una frazione, in cui non vi sono neppure case ma, stabilmente, una pattuglia della stradale). Insomma non sto a tirarla lunga la solfa perche' si e' capito dove voglia parare. Amare ed onorare la patria e' meritorio e dovuto, ma che la patria ed i suoi meriti debbano onorare noi con la stessa automaticita' e' difficile da dimostrare. Dunque, per tornare al post di Sofri, quel prato non ci spetta perche siamo i discepoli eletti e prediletti di chi decise di farci un luogo di contemplazione o di civile occasione d'incontro, invece che un pascolo per capre da scoparsi di notte o una radura per smontare auto rubate. Forse dovremmo accampare diritti perche' siamo se non altro gli eredi patrimoniali di coloro che con le loro tasse e le loro vanghe il prato l'hanno pensato, voluto e seminato. O di quelli che l'hanno difeso dai Goti, dagli Unni, dai Lanzi, dai Tedeschi. Ma allora i figli dei fanti dell'esercito asburgico che ci legnarono a Custoza, non dovrebbero sedersi neppure loro sulle panchine di Treviso? Peccato perche' l'ottanta percento di loro erano veneti e dunque Gentilini ha speso soldi invano. E i figli degli evasori? degli incapienti? dei disertori? degli invalidi? Insomma perche' il prato e' di un bambino appena nato nella casa vicina e non lo e' del bambino che nasce altrettanto nudo, infante e innocente (peccato originale a parte)? E perche' il mostro di Firenze, chiunque egli sia, dovrebbe essere per me un connazionale migliore di un laureato in filologia italiana all'Universita' di Bucarest?
Se andiamo avanti a paradossi non ne usciamo piu'.Occorre un diritto di cittadinanza che sia meno spocchioso di quello degli sversatori di mondezza e arsori di case altrui di Napoli. Che crei cittadinaza esso stesso, ovvero comproprieta' e corresponsabilita' del paese. Ovviamente la soluzione non esiste. Ma ci sono pii tentativi, tra i quali quello americano, guarda un po'! Nell' 800 e rotti, Schliemann, lo scopritore di Troia, acquisto' inconsapevolmente la cittadinanza degli Stati Uniti per il solo fatto di essere a San Francisco, per affari, il giorno in cui la California raggiunse l'Unione. Chi nasce sul quel suolo benedetto , se non m'inganno, dovrei indagare, acquista ancora la cittadinanza. Il diritto di cercarvi lavoro e' disciplinato dal criterio di utilita' sociale, declinato al singolare del richiedente, e, per compensare, da una lotteria. Non che per questo si diventi stinchi di santi: hanno 2.5 milioni di carcerati, ma questo e' un altro problema.Tuttavia la rigida applicazione delle leggi e la franca disponibilita' ad offrire una possibilita' successivamente a chiunque e' entrato legalmente, crea un senso di gratitudine per la nazione, piuttosto che una voglia di fregarla. Forse e' l'esempio dei gia' residenti che da noi spinge al secondo atteggiamento. E forse e' anche il fatto che la destra americana crede al merito ed al singolo, mentre la nostra crede ancora al privilegio ed al popolo (eletto e schiavo di Roma).

AAA (Amato Amico Anonimo)

Cazzatine a rispondere.
Nato dall’amorevole grembo di Venere e dal potente seme del mortale Anchise, Enea si realizza nel biancore dell’apoteosi solare. Nel suo trionfo splende il Verde di Flora venerea, il Bianco del Sole gioviale, il Rosso di Marte vulcanico. Splende il tricolore nostro.
Qui andiamo pesanti sul concetto di Nazione, che citi anche tu. Nella mia tesina per l’esame di maturità, La crisi della patria (sottotitolo L’idea di Nazione in Italia dal Risorgimento ad oggi), chiudevo con una citazione tratta dal saggio Che cos’è una nazione di Renan: oltre all’affermazione famosa “La nazione è un plebiscito di tutti i giorni”, frutto di una solidarietà “costituita dal sentimento dei sacrifici compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere insieme”, l’autore scrive: “Una nazione è un’anima, un principio spirituale. Due cose, che in realtà sono una sola, costituiscono quest’anima: una è nel passato, l’altra nel presente. Una è il comune possesso di una ricca eredità di ricordi, l’altra è il consenso attuale, il desiderio di vivere insieme, la volontà di continuare a far valere l’eredità ricevuta indivisa. L’uomo, signori, non s’improvvisa. La nazione, come l’individuo, è il punto d’arrivo di un lungo passato di sforzi, sacrifici e dedizione”.
Certo che in un mondo perfetto la cittadinanza non è mero catalogo di diritti legittimi, ma vincolo reciproco, motivato da una comune appartenenza storica divenuta fonte di lealtà politica e solidarismo civico. Ma una “nazione di cittadini” non cancella le pluralità delle culture, e non è neanche un colpo di spugna su ricordi di contrasti e odi reciproci. Anzi, il riconoscere tale intreccio di memorie diverse, di conflitti vissuti assieme, dovrebbe essere fattore di formazione di un’autentica identità nazionale.
Certo che ci sentiamo più connazionali del romeno che studia lettere italiane piuttosto che del mostro di Firenze, ma bisogna dare una definizione di cittadinanza. Dobbiamo distinguere un livello etico-teorico da un livello giuridico-amministrativo: il primo deve puntare all’ottimo estetico e il secondo all’ottimo funzionale. E personalmente, tra i privilegiati con certificato italico, preferisco tre o quattro mostriciattoli fiorentini in più da bastonare in suolo patrio a tre o quattro milioni di laureati romeni esperti di Risorgimento. La nazionalità è l’opposto di nazionalismo, è sentimento nobile e utile alla vita dello Stato: un sano vincolo di appartenenza ad una storia comune, ad una lingua e religione e usi condivisi si sono rivelati buoni catalizzatori di energie positive nelle democrazie europee mature, soprattutto nei momenti di difficoltà. Ritengo ancora attuale interrogare i classici, ascoltare la tradizione, rispondere alla domanda “chi siamo?”. Prima di saper accogliere bene l’altro dobbiamo capire noi stessi, e non ci siamo ancora riusciti visto che il momento più alto di solidarismo nazionale è la finale dei mondiali degli Azzuri.
Certo che la destra americana è più meritocratica della italiana, come la sinistra americana è più socialdemocratica della nostra; in un impeto d’ottimismo sosterrei che la democrazia e lo stato nazionale in Italia sono molto giovani, e il giovane è hegeliano, il giovane è idealista e brama il bene comune, l’Ordine o l’Anarchia, che sono la stessa cosa perché entrambe le categorie risultano interpretabili come mondoperfetto, chimera utopistica e fine ultimo dell’uomo inteso come animale sociale in terra.
Il “nostro” paese non è di tutti, come vorrebbe Sofri il giovane. Al massimo potrebbe essere di chi se lo merita, e c’è una bella differenza.

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