lunedì 17 marzo 2008

Saggio su una passione non saggia

Pubblicato sul forum Scioglilingua del corriere.it il 18 marzo.

Post number 100, si parla di passione. Non è per essere precisi. Anzi sì, è anche per essere precisi. “Ci vuole passione”, “bisogna metterci passione”, e simili, sono frasi sbagliate, perché passione è un concetto intrinsecamente passivo, e anche passivo ha la stesso etimo di passione, come paziente, pazzia, e forse Pasqua (festa del sacrificio). Bisogna andarci cauti con la parola passione. Era una parola che mi piaceva tanto, ora a forza di abusarne mi si è inflazionata, tipo la “solidarietà” che è esplosa negli anni Novanta con Tangentopoli o la “serietà” di Prodi e Casini. Per colpa dell’abuso linguistico ora non sono più né solidale né serio. Passione viene da passum, supino del verbo pati, e dal greco pathos, che è dolore fisico o spirituale. In inglese e francese è sempre passion, e in tedesco è Leidenschaft, ma siamo sempre lì, leiden significa soffrire, patire, sopportare, e Leid è dolore, male, sofferenza. Da un lato non è elegante istigare alla passione, perché il retaggio linguistico ci racconta di un augurio di sofferenze e pene; dall’altro, non ha senso incitare la passione degli altri, essendo la passione oltremodo soggettiva e a-razionale. Certo, poi cogli anni è nato e aumentato l’aspetto semantico attivo legato alla passione, passione come pathos ed epithuma, desiderio e volontà, slancio ed eros. Ma la passione letterale e viscerale, sia essa indirizzata a donne, materie di studio, attività lucrative o spassose, è donata, è come la fede, è Grazia che scende e ci bacia la fronte, ci fa patire e dunque godere. L’altro aspetto della passione è infatti l’inconcepibile e insostituibile accoppiamento tra sofferenza e godimento. La passione ha in sé il dolore della carne e l’appagamento dello spirito, c’è un animo soddisfatto e compiaciuto nell’osservare un corpo afflitto dallo studium, dall’applicazione. Il sadomasochismo è totale nell’uomo appassionato. E il lirismo della passione sgorga proprio da questa dialettica tra eros e sofferenza, che trova l’acme nella Passione con la p maiuscola e nell’insegnamento fondamentale cristiano: un Dio d’amore et un Dio sacrificato, un Dio sacrificato per amore. La passione è manicheismo di giganti, è eros e pathos, è agape (amore gratuito e incondizionato che giunge alla Verità) e thanatos (morte del corporeo transeunte dei sentimentucoli terreni e terrestri).
Grazie all’inquinamento linguistico oggi si parla di passione per tutto. Ma proprio tutto. Quindi oltre a non essere più solidale e serio, non sarò mai più appassionato e passionale. Linguisticamente, certo.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

La risposta di Giorgio De Rienzo sul corriere:
Pubblico volentieri questo suo intervento, anche se non sono d'accordo con quanto lei dice e ritengo legittima l'ambivalenza della parola "passione".

Stefano ha detto...

Eccesso di purismo? Mi stavo crogiuolando nella ricerca filologica e ho perso di mira il contenuto.