domenica 28 febbraio 2010
Travaglite
Le solitudini tra noi
martedì 23 febbraio 2010
La similitudine tra noi
La morale telefonica
Donne nere paralitiche
Sono alcuni degli scenari disegnati da Alain Minc ne I dieci giorni che sconvolgeranno il mondo (Chiarelettere, pagg. 114, euro 12). Il politologo francese trasforma le sfide del futuro ormai prossimo in dieci fanta-cronache tanto divertenti quanto inquietanti. E conclude il volume con una stoccata politicamente scorretta. Un giorno non troppo lontano Parigi, Londra, Berlino, Madrid, Roma e Bruxelles saranno attraversate da un corteo pacifico e silenzioso composto da «uomini, ovviamente bianchi, di estrazione piccolo borghese, gioiosi ma determinati, estranei a ogni forma di misoginia e razzismo». Nel calderone della protesta, essi butteranno i debiti lasciati loro in eredità dalle generazioni precedenti e la sensazione di essere vittime delle pari opportunità. Un modo tagliente di affermare che la tutela delle minoranze non può diventare una forma di malinteso comunitarismo e che la discriminazione «positiva» non deve superare certi limiti tramutandosi in vantaggio smaccato. Come recita una battuta cinica circolante in America: il futuro è delle donne nere paralitiche perché rientrano in tre minoranze protette.
Push the botton democracy
domenica 21 febbraio 2010
Piu' normale
venerdì 19 febbraio 2010
giovedì 18 febbraio 2010
Veline svelate e sveltine sventate
Per quale motivo uomini decisi e coraggiosi, onorati e temuti costruttori d’imperi, finiscono così frequentemente a puttane, incapaci di esimersi dall’obolo di una sveltina in ambienti non proprio di charme? Imbarazzati e imbarazzanti saliscendi di mutande li espongono al ricatto e alla gogna, derive suicidarie che essi, alle strette, cercano di nobilitare mascherandole da ingenuità: “Pardon Mesdames et Messieurs, non volevo disturbarvi, volevo solo fare una sveltina ina ina, giusto per rilassarmi un poco”. Figurarsi!
Perché suicidarsi, insudiciarsi, abdicare? Quale oscura colpa si espia? Cosa risulta intollerabile? Forse proprio l’onnipotenza da cui ci si sente posseduti, e che a un certo punto diventa insostenibile, soffocante: nessuno sopporta di essere Dio, nemmeno Tolstoj che forse lo era davvero. Colui che soccombe al successo favorisce il proprio denudamento in modo che tutti possano gridare: “Guardatelo, è un povero diavolo come tutti noi! Massì, fatti pure una scopatina con la ragazza, e magari anche una chiacchierata, parole semplici e un tantinino vere, non le solite puttanate che vai declamando ai quattro venti. Siete due sventurati, tu e lei, due senzapadre che nella disperazione cercate un’estrema chance di rintracciare l’autentico. Fate, fate pure. Del resto persino gli imperatori romani e i califfi di Baghdad si sentivano soli: travestiti, la notte scendevano nella suburra per incontrare la vita. E Dio, quello vero, non lasciò il Paradiso per Maria Maddalena?”. Così alcuni giustificano il piccolo dio che scende in mezzo agli uomini con impeto, in un travolgente coming out, oppure timidamente, o riluttante, come se all’ultimo momento volesse risalire in cielo; altri spettatori invece sghignazzano, molti s’indignano.
U.Silva
Ceneri
mercoledì 17 febbraio 2010
Italiopoli
Chiederanno molti anni dopo a Francesco Saverio Borrelli:
Quando vi siete resi conto che l’atteggiamento dell’opinione pubblica nei vostri confronti stava cambiando?
«Direi più o meno in coincidenza con l’indagine sulla Guardia di finanza… finché si trattò di colpire l’alta politica e i suoi rappresentanti, i grandi personaggi dei partiti che cominciavano a stare sullo stomaco a tutti, non ci furono grandi reazioni contrarie. Anzi. Ma quando, con l’indagine sulla Guardia di finanza, si andò oltre, apparve chiaro che il problema della corruzione in Italia non riguardava solo la politica, ma larghe fasce della società, insomma che investiva gli alti livelli proprio in quanto partiva dal basso. A quel punto il cittadino medio ebbe la sensazione che questi moralisti della Procura di Milano volessero davvero passare lo straccio bagnato su tutta la facciata del paese, sulla coscienza civile di tutti gli italiani. Parlo del cittadino medio, che vive spesso di piccoli espedienti, amicizie, raccomandazioni, mancette per poter campare e rimediare all’inefficienza della pubblica amministrazione. A quel punto, ho l’impressione che la gente abbia cominciato a dire: adesso basta, avete fatto il vostro lavoro, ci avete liberato dalla piovra della vecchia classe politica che ci succhiava il sangue, ma adesso lasciateci campare in pace. Quando abbiamo toccato la Guardia di finanza, a parte le reazioni ovvie del mondo politico, anche una parte di imprenditori si è sentita toccata troppo da vicino da quest’ansia di pulizia che veniva dalla Procura… Ci si stufa delle guerre, figuriamoci di Tangentopoli».
Dirà Piercamillo Davigo:
«Le vicende che mi hanno più impressionato non sono state quelle delle grandi tangenti… Sono le piccole vicende a deprimermi. Mi sono capitati due o tre processi dove centinaia di persone hanno pagato somme di qualche milione per non fare il servizio militare. Parliamo di centinaia di persone, non di qualcuna. Questo vuol dire, in primo luogo, che io pago non solo per non fare il servizio militare, ma anche perché altri lo facciano al mio posto… È la stessa cosa, in grande, del non rispettare la fila. In secondo luogo, manca una percezione della gravità del comportamento tenuto. Eppure tutti i giovani venivano da buone famiglie che li finanziavano, perché a diciannove anni non si hanno dei milioni cash nel portafogli. Questo la dice molto lunga sulla diffusione di certi comportamenti e sulla valutazione che di essi viene data nel complesso della società»
Scriverà proprio Enzo Carra, l’ex portavoce democristiano che Davigo aveva fatto condannare, oggi parlamentsare
«Mani pulite fu in ultima analisi un piccolo squarcio nei nostri vizi pubblici e privati; poteva essere una grande occasione per metterli sotto accusa, questi vizi, insieme ai corrotti e ai corruttori. E’ stata una grande occasione mancata per cambiare le regole e i comportamenti nella nostra società… Con un’eccezionale prova dell’italianissima arte di arrangiarsi il cammino è ripreso come prima, o quasi… Invece di cambiare sistema si è cambiato discorso».
F.Facci
martedì 16 febbraio 2010
S
S può essere letto in molti modi: è una bellissima storia d’amore tra lo scrittore e l’indicibile, un gorgo di delitto e castigo, di padri e figli, di aforismi e trame palpitanti, moltiplicate e lacerate. Lo potete leggere come un Harmony scritto da Faulkner o da McCarthy e letto da Dostoevskij. Solo leggendo Brullo potrete pensare di scrivere all’amata parole e lettere come questa, in una lingua nuova e antichissima: «Questo scritto non te lo spedirò mai. Non perché sia troppo intimo - ho conservato per vent’anni il pudore - ma perché mi sembra che tu sappia le cose da sempre. La nostra sorte è come una pellicola trasparente che avvolge il mondo: non lo tocca, lo soffoca».
L'evidenza della cosa terribile
La rivoluzione, ormai è chiaro, non è roba per comunisti o conservatori o liberali. La stanno facendo neurologi, fisici, chimici, biologi e sognatori informatici. A fronte delle continue scoperte e dell’evolvere della tecnologia, è difficile per l’uomo non consegnarsi spontaneamente, mani e piedi legati, al materialismo. Il messaggio dominante nella nostra società è questo: tutto è biologia, tutto è chimica, tutto è matematica. La nostra pretesa di possedere un’anima, qualsiasi cosa significhi, e di essere unici è semplicemente senza speranza. Siamo macchine. Poche leggi spiegano il nostro funzionamento. Quando la macchina si rompe in modo irreparabile, si butta via ed è finita. Non resta che attendere lo sfacelo inevitabile del corpo e della mente.
Marcel Proust lo sapeva bene, e tale consapevolezza senza possibilità di scampo è appunto «l’evidenza della cosa terribile» che assale il Narratore in una delle parti più belle e note di Alla ricerca del tempo perduto, ovvero la festa dei Guermantes. Lo splendore associato a questa nobile famiglia, col passare degli anni, si è ridotto a una goffa caricatura, la vecchiaia ha sfigurato i corpi, la vita annichilito o domato gli spiriti. Nell’opera c’è «l’ombra lunga di Charles Darwin che si propaga in ogni pagina, sotto ogni volto, dietro ogni pupilla». Da lì proviene il materialismo di Proust, offuscato da letture edulcorate e sentimentalistiche. Il passato non ci appartiene, la memoria è proiezione dei nostri desideri e dei nostri bisogni presenti. Ciò che è andato, è andato per sempre. Sono inclusi i nostri sentimenti e quello che siamo stati, come scrive Proust: «Non è perché gli altri sono morti che il nostro affetto per loro si affievolisce, ma perché moriamo noi stessi». Il ricordo è illusione. L’amore per i nostri morti, che serbiamo come la cosa più sacra, è illusione. Il nostro io è illusione.
La scossa
lunedì 15 febbraio 2010
La calunnia
I loro libelli, stampati in tipografie clandestine, andavano a ruba. Erano pura pornografia, ma circolavano di mano in mano, entrando di contrabbando nel regno di Francia, come gli “Anedoctes sur Mme la comtesse du Barry”, o l’“Histoire des amours de Louis XV”. Il genio del male era un tal Charles Théveneau de Morande, libellista per antonomasia, scribacchino per fame. Ma c’era anche un marchese di Pelleport, autore di apprezzatissimi scrittori trash come “Le Diable dans le bénitier” che dà il titolo al libro di Darnton e nel quale denunciava lo stato poliziesco dei re Borbone elogiando, in compenso, la libertà inglese. A Parigi, nel 1783, il ministro degli Esteri Vergennes, racconta Darnton che ha compulsato tutti gli archivi segreti, passava più tempo a occuparsi di libelli e libellisti che a trattare la pace con gli inglesi dopo l’indipendenza americana. E alcuni ministri calunniavano in proprio pur di fare fuori i loro nemici.
giovedì 11 febbraio 2010
Protezione incivile?
Pensiero osceno
C’è un pensiero proibito che non ha diritto di cittadinanza, di parola e di visibilità, in Italia e non solo. C’è un divieto che attraversa e congiunge giornali, media, politica e cultura. Ma di questo tabù non ce ne accorgiamo nemmeno. Non è un complotto, anche se nel suo seno serpeggiano campagne orchestrate con fini palesi. È piuttosto un automatico sintonizzarsi al programma dominante da parte di un gregge di funzionari intellettuali e politici. Qual è il pensiero proibito? Proverò a dirlo in breve, ma sarà difficile, vi avverto.
In primis, è proibito pensare l’identità, ovvero la coerenza di un volto, una storia e una dignità alla prova del tempo, seppure esposta alle intemperie della vita e ai mutamenti del mondo. L’identità è considerata in sé un male, una chiusura, un carcere, quando invece è una ricchezza se sa aprirsi alla vita e incontrare la differenza. All’identità e alle radici è negato l’accesso alla libertà e alla democrazia contemporanea; anzi l’identità e le radici vengono connotate di razzismo, e perciò negate e interdette. È proibito poi pensare la comunità se non in forma di umanità e filantropia universale, comunismo dolce, perché la comunità è considerata una gabbia popolata di fantasmi furiosi del passato. Si può essere individualisti o cosmopoliti, ma guai a esporre un pensiero che dia senso e valore ad una comunità di origine e di sorte, che passi attraverso legami reali, naturali ed elettivi. Dalla famiglia alla propria città, dalla terra alla nazione e alla civiltà. Anche le identità dei popoli sono considerate oscene.
È proibito poi pensare la tradizione fuori dai circuiti turistico-commerciali in cui serve per vendere un prodotto, o una location. La tradizione è liquidata e confusa con il vecchiume, quando invece è l’unica premessa/promessa di continuità perché comporta un legame con un passato e un futuro. È consentito connettersi in senso orizzontale tramite il web, la tv e la tecnica, ma è vietato connettersi in senso verticale tramite la cultura, alle origini e ai frutti. Puoi connetterti ai contemporanei, non al pensiero dell’eredità e della gravidanza, al pensiero paterno e filiale. L’uso stesso di parole del lessico famigliare è sconveniente. Al più puoi vivere la famiglia, ma è osceno pensarla.
Sul piano politico, è vietato pensare la rivoluzione conservatrice, ovvero un pensiero radicato e anche radicale, quando occorre, esposto alle fratture e ai mutamenti del nostro tempo. La rivoluzione fu sostituita dall’innovazione, che non implica la volontà dei soggetti ma la forza automatica dei cambiamenti, indotti dalla tecnica e dalle mode. E l’aggettivo conservatrice è squalificato, connota un’offesa, è vietato il suo uso positivo in politica e in società.
È poi proibito pensare l’invisibile, che evoca la vita ulteriore, la trascendenza, la memoria dei morti. Si possono vivere mondi virtuali, uscire dalla realtà tramite tecnica, fiction o fumo, polvere e pasticche, ma è osceno pensare qualcosa che evochi il sacro e superi l’orizzonte tecnico ed economico, materiale o fittizio. Non c’è spazio pubblico nemmeno per Dio; solo accesso privato, e remoto, fra le grate dell’interiorità. È proibito pensare il destino, ovvero un disegno intelligente di vita che ci accompagna dalla nascita, e anche prima, alla morte, e anche dopo. È osceno pensare che l’importante della vita non sia diventare più liberi o più uguali, ma avere un destino, cioè avere un senso, una direzione, un ordito, e di ogni cosa resti traccia. È proibito pensare il ritorno perché l’ideologia del progresso si è rifugiata nella tecnica e nel suo procedere automatico; non è possibile ripensare e riscoprire le origini. È vietato pensare che ci possa essere un altro modo di vivere oltre il presente e oltre quest’ultimo, venale occidente. È proibito avere un pensiero libero, fondato e divergente ed è grottesco pensare che questo divieto sia sorto con l’egemonia dei liberatori, sessantottardi e non solo.
Grasso, non crasso
martedì 9 febbraio 2010
lunedì 8 febbraio 2010
Paranormal activity
Il viagra della canzone
domenica 7 febbraio 2010
Totalitarismo 2.0
sabato 6 febbraio 2010
No alla droga
venerdì 5 febbraio 2010
Mezzi termini
Patrizia plebea
Curzio Malaparte
Tanto «arcitaliano», ovvero incarnazione ipertrofica dei vizi e delle virtù nazionali, da meritarsi un posto speciale nel nostro XX secolo. E, per questo motivo, un posto «speciale» nella collana della «Biblioteca storica» del Giornale che dedica al polemicissimo e avventuroso scrittore toscano una mini-serie di tre titoli. Si tratta di tre libri «perduti», ossia tre libri rari o dimenticati, oggi difficilmente rintracciabili in libreria e che pure rappresentano delle tessere fondamentali per ricostruire quel mosaico umano e ideologico che è la vita e l’opera di Malaparte. E in particolare per capire il suo altalenante rapporto di fascinazione-fastidio per Mussolini e il fascismo. Il primo volume (uscito nel 1999 per Luni e poi sostanzialmente scomparso) raccoglie due testi: Muss, che si presenta come un saggio a metà tra la riflessione politica e l’autobiografia, iniziato nel 1931, al tempo del prolungato soggiorno parigino, poi messo da parte durante il periodo del confino, e infine ripreso nel dopoguerra ma mai concluso; e l’apologo antimussoliniano del ’43, Il grande imbecille: in un caso e nell’altro pagine che offrono un’inedita chiave di lettura per comprendere l’evoluzione del pensiero malapartiano nei confronti del fascismo, pensiero che risente molto della riflessione di Piero Gobetti. Il quale, non a caso, nonostante le diversità di vedute, scrisse la prefazione al saggio di Malaparte che volle pubblicare presso la propria casa editrice, fondata nel 1923. È proprio questo il secondo volume presentato dal Giornale: Italia barbara, apparso appunto nelle edizioni Gobetti di Torino nel ’25, libro a partire dal quale Kurt Erich Suckert inizia a firmare come Curzio Malaparte: è un elogio ruralista e strapaesano dell’italiano «rozzo» e «barbaro», e perciò «sano». Infine il 20 febbraio uscira' il saggio L’Europa vivente. Teoria storica del sindacalismo nazionale (apparso la prima volta per le edizioni La Voce nel 1923 con prefazione di Ardengo Soffici) dove il trasporto malapartiano nei confronti del Duce tocca forse uno dei suoi punti più alti: «La funzione storica di Mussolini è stata di restituire agli italiani il senso fisico dell’eroismo... Egli è un restauratore della nostra legge cattolica, un uomo della Controriforma, soldato e profeta, cavaliere e martire; un nemico dell’Italia moderna, corrotta e disgregata dallo spirito eretico della Riforma; un restauratore dell’autorità, dalla fede, del dogma, dell’eroismo, contro lo spirito scettico, critico, razionalista e illuminista, dell’occidente e del settentrione...». E ancora: «Egli è l’iniziatore della ribellione, già in atto, dello spirito italiano, rimasto pur sempre naturalmente antico, non ostante gli inquinamenti e le compromissioni, contro quello moderno nordico e occidentale; l’iniziatore della rivoluzione italiana, rivoluzione antimoderna, cioè antieuropea». Modernissimo e antico, «anti» tutto per definizione, persino anti se stesso e tuttologo ante litteram (dandy, interventista, poeta, duellante, dannunziano) Curzio Malaparte, come dimostra la sua parabola esemplificata in questi testi scelti, meglio di chiunque altro conobbe e visse il fascismo e il suo contrario. Lui che fu prima fascista, poi crudelmente antifascista, e infine, passata la guerra, il primo a schierarsi, fieramente, contro il peggiore dei fascismi, quello dell’antifascismo.
giovedì 4 febbraio 2010
mercoledì 3 febbraio 2010
Spingitori di bottoni
Potevo fare di quest'aula sorda e grigia un bivacco di spingitori di bottoni, e di spingitori di spingitori di bottoni.
Il problema del «velinismo» non è grave come si dice, è molto peggio. Anzitutto perché, col nostro sistema elettorale, non parliamo neppure di candidature ma praticamente di nomine: quindi dovremmo stabilire se sia più immorale candidare una tizia perché è gnocca oppure candidarne un’altra perché è amante, segretaria, parente, medico, avvocato personale o pizzicagnolo di fiducia.
Fingiamo di non vedere, in secondo luogo, il contraltare maschile della bellona femminile: uomini ricchi – che non devono essere gnocchi o velini: basta che non siano deformi – i quali siano accondiscendenti e digiuni di politica.
Ma c’è un terzo aspetto, ed è il peggiore. Trattandosi appunto di nomine, a meno di stabilire una preselezione dei candidati per curriculum e quindi un pizzico per censo (studi, cursus honorum, esperienze eccetera) in questo modo viene a mancare l’unico criterio selettivo che potrebbe infine zittire tutti: la scrematura democratica, cioè la scelta diretta dell’elettore. E, mancando questa, sorry: non esiste un criterio oggettivo e davvero liberale per stabilire che una candidatura sia peggiore di un’altra, qualsiasi criterio implica discrezionalità. Essere gnocche, del resto, non può passare da valore a disvalore. La sostanza – con questi sistemi elettorali, ripeto – è che a fare le nomine adesso è il Cavaliere coi suoi criteri, dopo di lui sarà un altro con i suoi. Vi piace? A me no. Ma non pensate che a sinistra le cose stiano molto diversamente.
C’eravamo tutti, mentre le preferenze sparivano e la composizione delle liste (tutte le liste) diventava una selezione tipo casting, dove saper spingere un bottone era il più gradito dei requisiti e l’indipendenza intellettuale il più nefasto. Per anni ci siamo arrovellati nel chiederci se il Parlamento fosse migliore o peggiore del Paese, arcano ora risolto: è inutilmente identico, egualmente impotente, finalmente deprivato del maledetto «professionismo della politica» e compiutamente infarcito di quella che un tempo chiamavamo «società civile», ma che oggi si è tradotta solo in una separatezza borghese dalla politica. Oggi conta solo un’oligarchia di cinquanta politici contrapposti a centinaia di spingitori di bottoni scelti praticamente a caso, piccolo esercito dell’antipolitica (la vera antipolitica) che in Parlamento non ha neppure ancora capito dove sono i cessi. E siamo così ansiosi di fatti, noi tutti, così voraci di decisioni del Palazzo, ormai, da aver scambiato la funzione legislativa del Parlamento per una bizantina lungaggine di quei perditempo della casta.