domenica 13 gennaio 2008

Il fuggir vano

Una delle caratteristiche dei classici è l’eterna attualità del messaggio. Dal De rerum natura, Lucrezio.

Si possent homines, proinde ac sentire videntur
pondus inesse animo quod se gravitate fatiget,
e quibus id fiat causis quoque noscere et unde
tanta mali tamquam moles in pectore constet,
haud ita vitam agerent, ut nunc plerumque videmus
quid sibi quisque velit nescire et quaerere semper
commutare locum quasi onus deponere possit.
Exit saepe foras magnis ex aedibus ille,
esse domi quem pertaesumst, subitoque revertit,
quippe foris nilo melius qui sentiat esse.
Currit agens mannos ad villam praecipitanter,
auxilium tectis quasi ferre ardentibus instans;
oscitat extemplo, tetigit cum limina villae,
aut abit in somnum gravis atque oblivia quaerit,
aut etiam properans urbem petit atque revisit.
Hoc se quisque modo fugit, at quem scilicet, ut fit,
effugere haud potis est, ingratius haeret et odit
propterea, morbi quia causam non tenet aeger;
quam bene si videat, iam rebus quisque relictis
naturam primum studeat cognoscere rerum,
temporis aeterni quoniam, non unius horae,
ambigitur status, in quo sit mortalibus omnis
aetas, post mortem quae restat cumque manenda.

Se gli uomini, come sentono nell'animo quel peso che con la sua gravezza li opprime, potessero sapere da quali cause abbia origine e perché tale macigno di affanni si addensi nel loro petto, certamente avrebbero una vita migliore.E così li vediamo non sapere ciascuno cosa voglia per sé, cambiare senza posa sede, pensando di poter scaricare in tal modo quel peso. Esce spesso dal suo grande palazzo, quegli che è annoiato delle sue stanze, ma subito vi ritorna, accorgendosi che fuori non v'è nulla di meglio. Quest'altro corre spingendo i suoi veloci puledri a precipizio verso la villa di campagna, come se stesse bruciando; ma già sulla porta sbadiglia: cade in un sonno profondo quasi a cercar l'oblio, oppure torna in gran fretta a rivedere la città.In questo modo ciascuno cerca di fuggire se stesso, ma, come accade, non può sfuggire a quell' "io", al quale resta attaccato a malincuore e che odia, perché, malato, non vede la causa della sua malattia. Se la vedesse, accantonate tutte le altre cose, si darebbe innanzitutto allo studio della natura, la quale anche dopo la nostra morte - per l'eternità - persiste, insieme all'eternità dello stato di morte.

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