lunedì 31 maggio 2010
Le stragi del non detto
sabato 29 maggio 2010
Si non caste, tamen caute
Appena laureati siamo venuti a lavorare a Venezia e ci siamo rimasti per sempre.
Poi parliamo anche di quando eravamo ragazzi. E lui che è di Roma, mi racconta com'era bella negli anni '60 .
Mi racconta anche di un suo parente con il quale gli capitava di andare in giro per la città, ricevendone ogni dieci minuti indicazioni di ...toponomastica postribolare:
"Vedi quel portone ? Lì c'era la Pina... Vedi quell'altro? Là c'era Donna Letizia" e così via.
I casini erano stati chiusi da pochi anni, ma la loro ubicazione era ancora presente nella mente di coloro che li avevano frequentati o che ci erano passati davanti per anni.
Ed ecco la coincidenza.
Stamattina esco e mi imbatto nel mercatino del bric- brac che ormai da anni organizzano di tanto in tanto in Campo S. Margherita.
Vado su e giù a curiosare e trovo una bancarella che vende diversi cartelli di metallo con iTariffari delle case Chiuse.
In genere hanno una cosa in comune: l'evidenza dell'anno di riferimento, accompagnata dall'indicazione dell'anno di E.F. ( era fascista).
Prendiamo questo
La Casa di Piacere è definita rinomata ( come fosse una ditta commerciale qualsiasi) e le "prestazioni" sono definite "appuntamenti" .
Turba solo un po' in un contesto così "rispettabile" l'intestazione del cartello: PREZZARIO.
Guardate, invece quello sotto.
Non c'è la volgarità del termine "prezzario". Il termine usato farebbe invidia ad uno studio notarile:
SPETTANZE.
E la Casa è definita "stimata".
Laddove la prima "casa" parlava di appuntamenti, qui si usano i termini decisamente triviali diSVELTA e di DOPPIA .
Il più "elegante " se vogliamo ( stiamo pur sempre parlando di casini) è il cartello successivo, quello di una certa MADAMA GIOIA
Il termine usato qui è IMPEGNO ( militari e ragazzi sono agevolati nell'impegno: si presume che, vista l'età, siano dotati di maggiori energie, ma anche di minori risorse finanziarie, è giusto andargli incontro..). Naturalmente l'impegno può essere... normale o doppio.
Ma se MADAMA GIOIA ostenta una certa finezza di termini, la stessa cosa non si può dire della LOCANDA PASQUALINO , che decide di allettare la clientela con il più trucido ed esplicito degli inviti
Poi c'è chi punta sull'economicità della prestazione.
Come Cesara, che si firma orgogliosamente LA TENUTARIA e afferma di avere "i prezzi più bassi d'Italia"
( e le ragazze ? ci chiediamo...non è dato saperlo; d'altronde se i prezzi sono bassi, mica si può pretendere che...)
Chiudo la carrellata con un paio di cartelli un po' più stringati ( uno dei due è un ammonimento nei confronti dei clienti abituati, come si diceva allora a "far flanella" cioè a sostare nel postribolo senza decidersi a...consumare).
Eccoli.
Che dire ? Un'esperienza che a quelli della mia generazione e delle successive è mancata.
Gli anziani che hanno praticato ...il genere ne parlavano di solito con nostalgia.
Non necessariamente con rimpianto, ma con nostalgia sicuramente sì.
Ricordo una partenza per il mare.
Avevo 16 anni e stavo andando a Milano Marittima.
I miei genitori non potevano accompagnarmi. Sarei stato in una pensione. Mia madre era abbastanza tranquilla perchè in quella località passava la villeggiatura la famiglia di un mio compagno di liceo.
Nell'accompagnarmi al treno mio padre cominciò un ingarbugliato discorso che finiva con una citazione latina : Si non caste, tamen caute.
Insomma, temeva che approfittassi della libertà per assoldare una fanciulla prezzolata.
E aggiunse:
"Adesso si corrono dei grossi rischi. Non come ai miei tempi, che erano controllate continuamente... c'era più igiene"
" Scusa papà - dissi io, che avevo capito benissimo, ma volevo sfruculiarlo- Chi era controllato?"
"Ecco il tuo treno" rispose.
venerdì 28 maggio 2010
Praga
giovedì 27 maggio 2010
Sputtanopoli
Domanda: c’è o no un problema in tutto questo, comunque la si pensi sulla “legge bavaglio”, cui peraltro io resto contrario? I tanti autorevoli giornalisti, giuristi e costituzionalisti impegnati in questa come in tante altre “battaglie di civiltà” non hanno nulla da dire? E’ questo quel paese civile, quello stato di diritto che si vorrebbe ricostruire in Italia e per cui tanti si battono? Un paese in cui l’“opinione pubblica” abbia il diritto di leggere sui giornali le private telefonate di qualunque cittadino al preciso scopo di valutarne la conformità all’etica pubblica?
Giunti a questo punto bisognerebbe domandarsi anche chi avrebbe titolo per stabilire i confini di quest’etica pubblica, quale “Comitato per l’imposizione della virtù e l’interdizione del vizio”, come si chiama in Arabia Saudita l’organo da cui dipende la polizia religiosa.
Controrisorgimento
Possibile che non siano esistiti controcanti alla cultura ufficiale, diversi dalle edificanti pagine deamicisiane di Cuore? Esce oggi una sorprendente antologia a cura di Giuseppe Iannaccone, Petrolio e assenzio (Salerno, pagg. 246, euro 14), che dimostra che le cose stanno diversamente. Già il titolo della raccolta, ispirato a una poesia del calabrese Domenico Milelli, è tutto un programma: il petrolio richiama alla mente l’arma dei rivoluzionari al tempo della Comune parigina; l’assenzio è il potente liquore verde, bevuto in lunghe sedute alcooliche dai poeti maledetti francesi.
Iannaccone ha rintracciato nelle biblioteche una ricca e sorprendente galleria di autori che espressero un’insoddisfazione profonda per la realtà politica, sociale e economica scaturita dal Risorgimento. Una selva di poeti di valore diverso, che la memoria nazionale ha quasi cancellato e occultato per lasciare spazio alle testimonianze liriche, accademiche o agiografiche. I toni che incontriamo non sono quelli, esaltanti e paludati, di gran parte della nostra letteratura nel secondo ’800. Al contrario, abbondano le invettive e le requisitorie di poeti che accusano il ceto dirigente savoiardo, colpevole di aver tradito le speranze di libertà, emancipazione e benessere promesse dalle fanfare garibaldine.
In mezzo a verseggiatori più o meno sconosciuti, compare qualche nome insospettabile. Grandi poeti all’esordio o quasi, più tardi saliti alla fama con ben altri accenti. I casi più clamorosi e noti sono quelli del satanico (e massone) Giosue Carducci, portabandiera di un’ideologia giacobina, repubblicana e anticlericale; e del più imprevedibile Giovanni Pascoli, ripescato dalla curiosità di Iannaccone quando il timido romagnolo non celebrava ancora né fanciullini né umili tamerici, ma sventolava i vessilli rossi della democrazia socialista. Altri due nomi celebri: il giovane avvocato Filippo Turati, che non ha ancora fondato il Partito Socialista quando scaglia anatemi e bestemmie contro ricchi e borghesi, e la maestrina di Lodi Ada Negri, che per i suoi versi infuocati viene soprannominata «la poetessa del Quarto Stato», ben prima di essere accolta nel 1940 - unica donna - nell’Accademia mussoliniana.
Sono meno noti gli antagonisti di professione: scapigliati come Ferdinando Fontana e Antonio Ghislanzoni, che tra osterie e redazioni giornalistiche polemizzano contro lo Stato borghese; veristi (come il catanese Mario Rapisardi e il romagnolo Olindo Guerrini) che passano in rassegna una pietosa folla di «vinti» e miserabili: operai sfruttati, contadini del Sud affamati, minatori, emigranti, perfino ladri e disoccupati alle prese con un presente peggiore del passato.
mercoledì 26 maggio 2010
Macelleria fai da te
Manovra
martedì 25 maggio 2010
Tre giorni nella storia d'Italia
lunedì 24 maggio 2010
L'uomo pantera, la moto nera, la macchina bassa
I panni degli altri
Il disegnatore musulmano Husna Haq fa l’esempio di Martin Luther King, e mi sono chiesto se non abbia ragione nel suggerire che la nostra percezione di cosa significhi Maometto per molti musulmani sia superficiale. Quindi provo a metterla così: immaginate che qualcuno disegni una vignetta che prende in giro Giovanni Falcone, o lo disegna come un porco. Fa pensare un po’ di più, o no?
La risposta e' no, non fa pensare di piu'. E qui la redazione del Post spiega perche' i cattolici li possiamo offendere: li conosciamo meglio, e pretendiamo da loro piu' "riconoscimento di liberta' e civilta'".
Troviamo più inaccettabile e assurdo che un cattolico milanese si irriti del cavallo di Cattelan che non che si offenda un musulmano sudafricano della vignetta su Maometto: sì.
Bisogna mettersi nei panni degli altri, purche' gli altri non siano quelli che non ci piacciono. Questi sono di sinistra quando gli pare.
sabato 22 maggio 2010
Viva il Duce! Viva la Repubblica stellata!
L’UNITÀ D’ITALIA. Ci sono le memorie garibaldine, che affiorano qua e là. E diventano protagoniste ne Il silenzio. Si descrivono le diverse reazioni dei paesi al passaggio delle camicie rosse. C’è chi aiuta come può l’esercito venuto dal Nord e c’è chi se ne lava le mani perché non vuole essere coinvolto per timore di rappresaglie. Per questi ultimi c’è anche la comprensione dei garibaldini, che si chiedono cosa dia loro il «diritto di portare a gente simile nuove sofferenze, la violenza della guerra, il rischio della devastazione e del saccheggio». La libertà di scrivere libri, di pubblicare giornali, di eleggere rappresentanti? Belle cose senza senso, per gente a cui manca «la libertà di non avere fame».
LA GUERRA DI LIBERAZIONE. Sciascia ricorda i fatti di Castiglione e di Mascalucia: «la prima strage tedesca in territorio italiano, così come la prima insurrezione armata contro l’esercito nazista, si sono avute in questa parte d’Italia, e mentre i tedeschi erano ancora alleati». Molti racconti descrivono il surreale ingresso degli Alleati in paesi silenziosi e bruciati dal sole. Dopo lunghi attimi di sospensione, ecco partire le grida di gioia per l’arrivo degli americani. «“Viva la repubblica stellata!” gridò l’avvocato Calafato, con una voce che non aveva perduto timbro e forza da quando, sei anni prima, alla stazione, era riuscito a salire sul predellino del treno per gridare “Duce, per te la vita!” sotto lo sguardo fiero e paterno di Mussolini».
IL DOPOGUERRA. In effetti molti rimangono vittime della tentazione di cambiare bandiera a seconda della convenienza e transitano senza problemi da uno schieramento all’altro, da una ideologia all’altra. Ne traggono giovamento tutti i partiti, anche quello comunista. Sciascia immagina l’effetto di un annuncio radio a sorpresa in un circolo dove si discute e gioca. L’Armata rossa è entrata in Italia! Ed ecco che fior di conservatori, lentamente, tra una battuta e l’altra, come se nulla fosse, si scoprono un po’ di sinistra, anzi proprio di sinistra, addirittura comunisti incorruttibili dal capitale.
mercoledì 19 maggio 2010
Viaggio al termine dell'Italia moderna
martedì 18 maggio 2010
Nomade
Sulla tirannide
Welfare austerity
Homo ridens
lunedì 17 maggio 2010
Silvio autocrate buono
Urca urca tirulero
mercoledì 12 maggio 2010
martedì 11 maggio 2010
lunedì 10 maggio 2010
Liberalismo illiberale
L’eredità della Destra storica
domenica 9 maggio 2010
La chiesa non è una repubblica
Ho ritrovato quest'articolo a pagamento che mi era piaciuto, questa settimana non lo pago e lo posto.
Continua lo stillicidio delle accuse al Papa per il trattamento disciplinare “lassista” dei casi di pedofilia tra i preti. Riferiamo in apertura dell’ultima scoperta documentale dell’Associated Press: una vecchia lettera firmata dal cardinale Joseph Ratzinger nei primi anni Ottanta in cui si suggerisce estrema prudenza alla diocesi di Oakland, in America, nel trattamento del caso di un giovane prete accusato di aver molestato sessualmente due ragazzi (il sacerdote fu infine ridotto allo stato laicale). La prudenza di Ratzinger fu da lui motivata, secondo il testo che l’agenzia di stampa ha cominciato a rendere noto ieri sera, dalla necessità di mettere al primo posto il “bene della chiesa universale”. Bisogna che molti dettagli importanti della storia emergano alla luce, per poter giudicare meglio. E informeremo i lettori di tutto, come sempre.
Va intanto annotato che la chiesa cattolica, come le altre denominazioni cristiane, non è una repubblica moderna, fondata sul diritto positivo, sull’azione penale, sul controllo e la repressione dei reati. La chiesa si occupa del peccato, che è una cosa più complessa del reato, che non si lascia classificare nello stesso modo, che ha un ambito di giudizio individuale, caso per caso, diverso dalle procedure eguali, omologate, standard, del diritto. Non è nemmeno una società aperta, i suoi abitanti sono anime, non cittadini. D’altra parte la distinzione tra peccato e reato nasce illuministicamente e laicamente nella koinè kantiana, quella filosofia che ha fondato il lungo ciclo di detemporalizzazione e di laicizzazione del rapporto della chiesa con la società e le istituzioni civili. Ha delle regole canoniche, la chiesa, non è certo un’assemblea anarchica, al contrario: i suoi meccanismi di sorveglianza agiscono nel profondo, scavano nella coscienza, si riferiscono a un ambito umano e divino. Ma la chiesa, specie quando si tratti di preti, maneggia un ministero sacramentale che trascende necessariamente le regole ordinarie con cui si trattano le fattispecie di reato nei tribunali civili, la cui autorità la chiesa riconosce. Se questo dato non viene compreso e riconosciuto, con spirito tollerante e laico, l’accusa alla chiesa diventa intolleranza ideologica.
Chi ha governato la chiesa cattolica nell’ultimo mezzo secolo, e tra questi il Papa regnante, ha certamente delle responsabilità nel trattamento cauteloso e pietoso, talvolta obiettivamente riduttivo, delle complesse psicopatologie legate alla sessualità omofila e pedofila nel clero. Non ci dovrebbe essere alcun problema a riconoscerlo serenamente, anche da parte dello stesso Papa. Ma al tempo stesso, come dimostrano atti decisivi del pontificato di Ratzinger, e la straordinaria lettera pastorale al clero irlandese, bisogna dare atto a Benedetto XVI di aver istruito una nuova sensibilità intorno a questo tema difficile, critico, e di aver fatto quanto era possibile per esercitare senza infingimenti una responsabilità pastorale, ma anche canonica e morale, molto rigorosa.
L’ex sindaco di Gerusalemme, Ed Koch, ha detto proprio ieri che la campagna internazionale di stampa sulla pedofilia dei preti, per il modo in cui è impostata, mostra non tanto la volontà di informare i cittadini quanto quella di punire la chiesa per le sue posizioni, che la società secolare considera una minaccia alla propria identità ideologica, sull’aborto, sull’eutanasia, sul matrimonio gay. Non poteva dire meglio.
sabato 8 maggio 2010
venerdì 7 maggio 2010
giovedì 6 maggio 2010
mercoledì 5 maggio 2010
La Lega per l'unità d'Italia
L'ultimo capoverso e' illuminante.
Unità d’Italia non conformista
Provocazione: ecco perché le parole di Cavour, le lezioni di Gramsci e la lettura di un vecchio libro del Pci dimostrano che i leghisti rischiano di passare involontariamente alla storia come i salvatori dell’Unità nazionale
La polemica scoppiata sul “dovere” o meno di partecipare alla celebrazione dell’anniversario dell’Unità nazionale ha un carattere per certi versi ingannevole. Un festeggiamento “obbligatorio” e insincero, al contrario di quanto affermato due giorni fa anche da Giulio Andreotti in un’intervista su Repubblica, avrebbe il sapore di una manifestazione convocata con cartolina precetto. D’altra parte, la conversione al valore dell’Unità della nazione è stata abbastanza recente, se si considerano i tempi storici, anche in quegli ambienti che oggi, peraltro legittimamente, se ne fanno i più zelanti sostenitori. Dell’ostilità dei cattolici a una unificazione – che passò per l’abolizione del potere temporale dei Papi – non è neppure il caso parlarne.
Varrebbe forse la pena ricordare che il rientro dei cattolici nella politica, e quindi nello stato unitario, ancora contestato fino al concordato, ebbe un carattere fortemente legato alle autonomie locali, secondo l’interpretazione originale di Luigi Sturzo e quella, più legata alle esperienze del Zentrum tedesco, di Alcide De Gasperi. L’idea di una unità statale legittimata solo attraverso una catena di comunità che dalla famiglia, attraverso le autonomie locali, diventa comunità nazionale, non è un’invenzione dei federalisti della Lega. Anche la sinistra di origine marxista faticò molto a riconoscere il ruolo “progressivo” del Risorgimento, che veniva interpretato, nella migliore delle ipotesi, come una “rivoluzione mancata”, alla quale si era rapidamente sostituto un patto reazionario tra capitale industriale del nord e latifondo agricolo del sud, come si può leggere sia nei sommari testi di formazione interna al Pci sia nelle interpretazioni più sottili che da Antonio Gramsci arrivano a Emilio Sereni.
Più tardi, dopo la Liberazione, il Pci cercò di darsi una veste pienamente “nazionale”, ma tutti sanno la fatica che fecero i dirigenti a imporre alle sezioni, che quasi sempre disobbedivano, di affiancare alla bandiera con la falce e il martello quella tricolore. L’idea di essere “stranieri in patria” per molti anni fu condivisa, seppure per ragioni opposte, sia delle espressioni popolari di origine marxista sia da quelle di ispirazione cattolica, anche per il carattere elitario e centralistico della struttura dello stato. Gramsci, nell’unico intervento che poté pronunciare in Parlamento, sostenne che la massoneria era stata il vero partito unificante della borghesia liberale che aveva realizzato l’Unità nazionale. Della stessa opinione, peraltro esagerata, pur con argomenti opposti, era la rappresentanza cattolica democratica del Partito popolare. D’altra parte sui caratteri dell’Unità nazionale la polemica è stata sempre serrata anche tra i suoi principali protagonisti.
Se si legge il discorso pronunciato in Parlamento da Giuseppe Garibaldi contro la cessione di Nizza e della Savoia alla Francia, gli insulti di cui coprì Camillo di Cavour, che lo ripagò della stessa moneta, si vede come le interpretazioni del processo risorgimentale fossero già inconciliabili tra i padri della Patria.
La costruzione dello stato risentì fortemente del sostanziale isolamento della classe dirigente risorgimentale dagli strati poveri e contadini della popolazione. Le intenzioni federaliste di natura democratica di Carlo Cattaneo, come il federalismo illuminista di natura liberale di Cavour e di Marco Minghetti, furono travolte dalla preoccupazione per il mantenimento dell’ordine contro il brigantaggio, che portò a una serie di governi extraparlamentari guidati dal partito di corte e dai militari, cui pose fine solo la vergogna delle sconfitte sul campo patite nel 1866.
D’altra parte la sinistra, appena arrivata al governo con metodo trasformista, si convertì rapidamente allo “Stato dei prefetti”, che poi Francesco Crispi idealizzò addirittura in un tentativo malriuscito di imitazione bismarkiana. L’Unità nazionale liberale fu sancita da una serie di plebisciti monarchici, fu ricostituita su nuove basi democratiche dopo il fascismo con un plebiscito repubblicano. Oggi deve ricostruire il carattere unitario che il centralismo prima sabaudo, poi fascista, poi partitocratico ha messo a rischio. Si potrebbe dire paradossalmente che i federalisti della Lega siano i nuovi patrioti involontari, che si rifanno alle tradizioni più nobili del Risorgimento che dileggiano. Non è una novità, in un paese nel quale furono i mazziniani, da Garibaldi a Crispi, a diventare i più fermi sostenitori della monarchia, i liberali di Francesco Saverio Nitti ad avviare le nazionalizzazioni, i socialisti estremisti di Mussolini a guidare la reazione antioperaia, i cattolici allevati nel non expedit a gestire la rinascita nazionale e la secolarizzazione. Non ci sarà da stupirsi se Bossi passerà alla storia come il salvatore dell’unità nazionale, che non vuole festeggiare.