domenica 30 settembre 2012

Ridicolo

Sono un uomo ridicolo. Adesso poi loro dicono che sono pazzo. Sarebbe un avanzamento di grado, se per loro non rimanessi pur sempre ridicolo come prima. Ma adesso ormai non mi arrabbio più, adesso li trovo tutti cari, anche quando ridono di me, allora, anzi, li trovo persino per qualche motivo particolarmente cari. Mi metterei addirittura a ridere anch'io assieme a loro,non di me stesso, ma per amor loro, se non provassi tanta tristezza a guardarli. Provo tristezza perché essi non conoscono la verità, mentre io la conosco. Oh, che pesante fardello è essere i soli a conoscere la verità! Ma loro questo non lo capirebbero. No, non lo capirebbero.Prima, invece, mi amareggiava molto il fatto di apparire ridicolo. Non di apparire, di essere ridicolo. Sono sempre stato ridicolo, e lo so, forse, fin da quando sono nato. Forse sapevo di essere ridicolo già fin da quando avevosette anni. Poi ho studiato, prima a scuola, poi all'università, e quanto più studiavo, tanto più imparavo che ero ridicolo. Così che per me tutta la mia scienza universitaria, in fin dei conti, pareva esistere soltanto per dimostrarmi e spiegarmi, mano a mano che mi addentravo in essa, che ero ridicolo. Come nella scienza, così mi accadeva nella vita. Anno dopo anno cresceva e si rafforzava in me quella medesima consapevolezza del mio essere ridico losotto tutti gli aspetti. Di me ridevano tutti e sempre. Ma nessuno di loro sapeva né sospettava che se c'era al mondo una persona che meglio di tutti gli altri era consapevole di essere ridicola, quella ero io, e proprio questa era la cosa che mi faceva più rabbia, il fatto che essi non lo sapessero, benché di ciò fossi io il colpevole, infatti io sono sempre stato così orgoglioso che mai e per nulla al mondo ho voluto confessarlo a nessuno. Questo orgoglio è cresciutoin me con gli anni e se fosse avvenuto che davanti a chicchessia mi fossi lasciato andare a riconoscere che ero ridicolo, quella sera stessa, sui due piedi,mi sarei fracassato il cranio con una rivoltella...

venerdì 27 aprile 2012

Cosa non deve esserci nella casa di un uomo

Nell'appartamento niente mutande Spanx, foto della mamma ovunque, una donna

Lo stenditoio con i calzini rinsecchiti al centro del salotto. Un unico piatto sporchissimo, stratificato, nel lavello. Un cassetto pieno di pigiami di flanella e di camicie di Paperino. Le foto della mamma anche in bagno. La crema che sgonfia le borse sotto gli occhi. La lista delle cose che si spera di non trovare quando si entra, di solito di notte, nell’appartamento di un uomo (oltre a una donna sotto la doccia, o a dei coinquilini in mutande che guardano un film porno) è lunga, ma ci sono cose che è meglio scoprire subito, ad esempio se si fa la piastra ai capelli e se ha lenzuola con i gattini. Dopo aver cercato per la seconda parte della notte prove dell’esistenza di un’altra donna, si accoglierà l’alba rovistando ovunque, mentre lui russa, senza tralasciare la scatola ricordo con i dentini da latte (non un bel segno) e il cassetto della verdura in frigorifero, che per escludere nevrosi dovrebbe essere mediamente ammuffito, con al massimo una busta d’insalata scaduta, a meno che non vogliate essere messe a dieta anche da un maschio eterosessuale.
L’Huffington Post ha lanciato una specie di sondaggio su cosa dovrebbe necessariamente esserci nella casa di un uomo (apparentemente single, divorziato, spretato, insomma sul mercato) affinché una donna esca da lì, la mattina dopo, soddisfatta, immaginando già una serie di piccoli lavori di ristrutturazione che seguirà personalmente nei mesi precedenti il matrimonio. In cima alla classifica dei desideri, oltre agli asciugamani puliti e a una libreria non piena soltanto di modellini di automobili e foto di ex fidanzate in bikini, c’è una pila di “New Yorker” accanto al divano, meglio se con etichetta con nome che provi l’esistenza di un abbonamento (molte hanno replicato che non sono affatto snob, si accontenterebbero di un bagno vagamente igienizzato e di un vero letto con lenzuola e cuscini, e subito un uomo ha scritto: perché voi donne siete così dannatamente materialiste? un altro: il bagno pulito? la cartigienica a tre strati? è roba così gay). In effetti certe pretese, come quella di piante ancora in vita, lavandino senza resti di barba, un frigorifero con dentro cibo sano e almeno un mobile non Ikea, sembrano eccessive. State cercando un uomo o Bree Van de Kamp? L’appartamento di un uomo, nella storiografia classica, doveva suscitare il desiderio crocerossino di cura: io ti salverò, io ti cucinerò, io ti arrederò, io ti libererò dai cartoni della pizza. Invece adesso alla casa di un uomo si chiede: rassicurami, fammi vedere dov’è l’iPad, dammi la connessione wireless, lasciami guardare che marca di birra tieni in frigo, posso usare il tuo bagnoschiuma ai fiori di loto?

L’istinto di cura ha lasciato il posto a un più sano senso dell’autoconservazione e dello sfruttamento, per cui è probabile che non si entrerà una seconda volta in un appartamento con teste di animali impagliati alle pareti, troppe pillole blu sul comodino, pesci tropicali agonizzanti e molti cadaveri negli angoli a forma di mucchietti di biancheria sporca. Si consiglia di diffidare anche delle cravatte hawaiane in bell’ordine, della dispensa colma di preparati proteici per una dieta perenne, dei cassetti pieni di mutande Spanx e in genere delle case abitate a loro insaputa.
Annalena

sabato 3 marzo 2012

Quasi amici

Sembra un film facile, invece è complicatissimo non cadere nel ridicolo, nel grottesco, nella lacrima facile, nella denuncia sociale puramente retorica, nei cliché di razza, nel melodramma. Il film si mantiene in un equilibrio delicatissimo grazie ad un'ironia perfetta.

domenica 8 gennaio 2012

Patrioti della nostra dolce incuria

Che il 2011 sia stato l’anno del nostro risveglio patriottico, come hanno detto Giorgio Napolitano, Giuliano Amato e chissà quanti altri, credo che sia un’iperbole retorica di circostanza più che un dato di fatto. Una cosa seria e profonda come il risveglio del sentimento di appartenenza nazionale non arriva così puntualmente agli appuntamenti con il calendario. Improvvisamente, tutti a cantare l’inno di Mameli facendo finta di sapere che cosa è stato il Risorgimento: ma la maggioranza di chi l’altro giorno ha visto in tv il film di Mario Martone sul nostro Ottocento rivoluzionario riusciva a malapena a distinguere chi era Mazzini.
Le cerimonie per l’anniversario e le emozioni che le accompagnano vanno anche rispettate, ma sono forma, non sostanza, e parlando in termini di psicologia per principianti c’è una differenza fra emozione e volontà, fra un brivido e un proposito, fra un proposito e la sua attuazione. Quella bella frase del principe di Salina nel “Gattopardo”, secondo cui “i siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti”, potrebbe essere estesa a tutti gli italiani: perfezione a parte, siamo immodificabili, i nostri peccati e difetti sono ciò che nella penisola rende la vita moralmente esasperante e inaccettabile, ma esteticamente dolce, cosa che qualunque protestante del nord d’Europa nota subito.

Siamo il paese della bellezza e dell’incuria: sogniamo che la bellezza non venga distrutta, come avviene, dall’incuria: cioè siamo cattolicamente pagani, come se qualcosa di divino o di provvidenziale dovesse salvarci. Nella nostra proverbiale incredulità, noi italiani siamo uomini di fede a cui le opere non piacciono e sembrano irrilevanti. Il nostro è il paese e il popolo dell’espressione, non dell’azione. Anche la politica, che dovrebbe essere azione per eccellenza, la viviamo e ci seduce come modo di esprimerci, come autorappresentazione, teatro e spettacolo ininterrotto. Questa vocazione collettiva ha raggiunto il punto più basso della tollerabilità, via tv, con il berlusconismo e l’antiberlusconismo, fenomeni stilistici inscindibili più che complementari.

Berlusconi per quasi vent’anni è riuscito a modellare la sinistra a propria immagine: l’ha ipnotizzata costringendola a pronunciare ossessivamente il suo nome (la parola più usata dagli italiani) facendosi odiare in modo paranoico al di là del dovuto. E la paranoia distrugge e divora le idee politiche, le trasforma in armi improprie, sassi e bastoni, “vaffanculo!” e “arrestatelo!”, come può avvenire soltanto nel paese della Commedia dell’Arte, in cui non ci sono personaggi ma maschere e teste di legno su cui picchiare. Certo, dando un’occhiata alle nostre quotazioni sui mercati internazionali ci siamo allarmati tutti. Il nostro narcisismo è stato scosso. E, come sempre è avvenuto, quando qualcuno o qualcosa ci offende, ci inalberiamo seriamente, ma la cosa dura poco, come ogni manifestazione reattiva. Che si mostri patriottica quell’ottima e preparata persona che è il presidente Napolitano, è più che comprensibile, anzi doveroso per un’alta carica dello Stato. Solo che lo Stato non è affidabile come fonte di pensiero e di conoscenza: deve fingere che il bicchiere della propria autorevolezza sia sempre pieno e perciò compensare con la retorica, onesta o disonesta, il vuoto creato dalla mancanza di buon governo.

Lo Stato: il nostro problema è lo Stato. Ci sarebbe necessario, in linea di principio, come correzione al Mercato, ma il nostro Stato è poco credibile, è debole, corrotto, parassitario, vampiresco e occupato, in ogni fase della nostra storia e nei modi più creativamente diversi, dalla voracità animale dei partiti.
I partiti: il nostro problema sono i partiti, la loro litigiosità, la loro miope “coerenza” con se stessi, il loro paralizzante spirito di parte. Ma lo spirito di parte da noi distrugge il senso dello Stato e il senso patriottico di appartenenza. Lo Stato dovrebbe gestire, governare, mediare, moderare le divisioni e le diversità sociali e territoriali. Anche la Spagna, il Regno Unito, gli Stati Uniti, la Russia hanno questi problemi. Ma loro hanno, sono una patria. Noi no. La nostra storia è troppo lunga e complessa, una storia di divisioni e di asservimenti secolari, e perciò la subiamo ignorandola. Siamo bambini decrepiti, smemorati e istintivi anche nella capziosità e sofisticheria.

Ecco, la nostra storia: il problema è la nostra storia. Le accelerazioni storiche, le rivoluzioni identitarie, indipendentiste o di classe, hanno bisogno di droghe ideologiche e di uomini risoluti. Il Risorgimento è stato l’invenzione, la costruzione di un’identità culturale italiana più volenterosa che effettiva, un’identità fondata sul bisogno di liberarci dal dominio straniero e alimentata da una prassi insurrezionale, estremistica, cospirativa, terroristica, che aveva bisogno di creare i suoi eroi e i suoi martiri, di diffondere un orgoglio nazionale ispirato dalle tombe e dalle glorie di un passato ormai remoto, reso inoperante dalla modernità borghese. Foscolo e Mazzini, Garibaldi e De Sanctis hanno fatto questo.
A.Berardinelli