E la stampa tace. Tutti impegnati con altri conflitti. Di interessi.
Giovedì scorso è morto all’improvviso Victor Zaslavsky, un grande studioso, forse poco conosciuto al grande pubblico, in compenso notissimo a chiunque sia appassionato di storia, in particolare quella del Partito comunista italiano. Zaslavsky, con sua moglie Elena Aga-Rossi, ha demolito con documenti inoppugnabili il mito dell’indipendenza di Togliatti dall’Unione Sovietica. Anche la svolta di Salerno, solitamente portata come prova regina dell’autonomia dal Pcus, fu voluta, o meglio ordinata, dal baffuto dittatore georgiano. Le carte raccolte dalla coppia non ammettono replica. Zaslavsky poi ha scritto un saggio bellissimo sul massacro di Katyn, una delle vergogne del regime sovietico: nel 1940, nella foresta nei pressi di Smolensk, vennero trucidati circa 22mila polacchi, quasi tutti militari, quasi tutti laureati: l’élite della nazione. Stalin in questo modo eliminava ogni possibile forma di opposizione «borghese». L’eccidio fu addossato per anni ai nazisti, e insabbiato dai russi fino al 1990. Ci volle la caduta del comunismo per sapere la verità. Zaslavsky, in un libro edito dal Mulino, diede una lettura coraggiosa dei fatti fin dal titolo: Pulizia di classe: il massacro di Katyn. Il nazismo eliminava il nemico di razza. Il comunismo quello di classe. L’atteggiamento simile dei due totalitarismi non poteva non colpire. Nel volume di Zaslavsky c’era anche la storia della clamorosa distorsione dei fatti da parte di Mosca e dei suoi alleati fedeli alla linea. In Italia, chiunque si sia azzardato nel corso degli anni a smontare la propaganda sovietica, addossando la strage alla Armata Rossa, è stato zittito dal Pci di Togliatti. La vicenda desta ancora qualche malumore tanto che il film Katyn di Andrzej Wajda, nonostante i molti premi ricevuti, è stato distribuito in pochissime sale diventando il film «fantasma» del 2007.
La pupa e il secchione
2 mesi fa
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