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Pedagogia di Stato
Se si attribuisce alla scuola una funzione di educazione totale, certo che deve poi esserci una corporazione di specialisti dell’educazione, depositari della dottrina che prescrive come deve essere fatto un uomo giusto, buono e socialmente positivo: qualcuno dovrà pur scrivere i libri che stabiliscono le regole del vivere civile, dell’affettività, dei comportamenti relazionali corretti. Invece, la grandezza di una società liberale sta nel lasciare ciascuno «libero» di prendere la via che preferisce, dandogli lo strumento principe per tale scelta: la conoscenza. Perché la conoscenza, e soltanto la conoscenza, è libertà. Il resto lo si costruisce giorno per giorno: nella famiglia in primo luogo, con i maestri, con gli amici, nelle esperienze di relazione sociale. Ma se l’educazione è di Stato, allora occorrerà una corporazione di specialisti dell’educazione che si collochi al di sopra di tutti. Peraltro, la patente di detentori della verità educativa costoro non possono che conquistarsela attraverso un’affermazione di potere, e poche cose sono antidemocratiche come il potere dei «sapienti». È quel che stiamo sperimentando da un trentennio. Ed è una storia senza fine, perché il pedagogismo di Stato esce dalla porta e rientra dalla finestra, con l’aiuto di una burocrazia ministeriale ormai plasmata dalla sua ideologia «progressista».
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