domenica 8 novembre 2009

De finibus

Gentile presidente Fini, ora tocca a lei.
Se ho capito bene, la sua cavalcata in solitario, con un seguito di truppe agili e disimpegnate, ha scopi politici limpidi.
Dai suoi buoni discorsi, e interessanti, pronunciati quando si sciolse il suo ex partito e quando fu fondato quello strano animale che è il Popolo delle libertà, avevo capito questo: che Fini non vuole trasformare la presidenza della Camera, e il suo stesso ruolo personale, in centro di organizzazione di quei fuochi di guerriglia politicante ai quali ci hanno abituato le logiche di coalizione del nostro sistema politico, a sinistra e anche a destra.
Mi ero permesso di dire che il suo percorso politico era diventato interessante proprio perché intendeva risparmiarci il solito esercizio di un rissoso, logorante e nichilista potere di coalizione piegato alla sola e diretta e immediata esigenza di aumentare lo spazio di movimento di una leadership rispetto a tutte le altre.
Insomma la solita logica dei ricattucci e dei condizionamenti di vista corta, per costruirsi rendite ai danni di “quello grosso”.

Da mesi cerco di spiegare ad amici e lettori, che poi è la stessa cosa, quel che mi sembra di avere capito: che lei non fa il furbo, anche perché il piccolo cabotaggio non le conviene, e che le sue ovvie e legittime ambizioni passano bensì per una distinzione di ruolo, di cultura istituzionale, di programma riformista rispetto all’inventiva e mobilità di un sempre vivace e qualche volta frenetico Silvio Berlusconi, ma non per la demolizione o consunzione di coalizione, partito, ruolo di governo e credibilità del campo di forze, di centro e di destra moderata europea, in cui milita in alleanza con berlusconiani e leghisti ormai da oltre quindici anni.

Se ho capito bene, ora mi piacerebbe essere rassicurato.
Lei sa perfettamente, infatti, che dietro le tensioni di questi giorni c’è un solo vero dilemma in azione: della guida di questo paese decide il popolo o decide l’ordine giudiziario?
Sappiamo bene che in un sistema di poteri equilibratamente divisi, la legalità ha un suo percorso, parallelo o anche incrociato a quello del potere, e che alla fine i conti con la legge deve farli chiunque, anche il potente.
Ma sappiamo anche bene, assai bene e per esperienza diretta, quell’esperienza che ha fatto civilmente di noi ciò che siamo, compresi gli ultimi quindici anni delle nostre vite, che la divisione equilibrata dei poteri in Italia è entrata in crisi, che il filtro parlamentare voluto dai Padri costituenti (art. 68 Cost.) è stato travolto da un’ondata di demagogia, e che oggi – prima di un’organica e seria riforma della giustizia che regoli innanzitutto il suo rapporto con la sovranità popolare e coloro che sono delegati a esercitarla – non è possibile scantonare da quel dilemma.
Prodi è a casa perché hanno arrestato la moglie di Mastella e tutta la sua famiglia politica; D’Alema è in riserva della Repubblica invece che in campo perché ha dovuto sottrarsi con l’immunità europea alle attenzioni della magistratura; Di Pietro ha il dieci per cento perché ha fatto delle vecchie inchieste di Milano il trampolino di lancio per una carriera politica qualunquista; e Berlusconi, che ha resistito alle inchieste sbocciate subito dopo la sua discesa in campo, battendosi con ogni mezzo e con assoluto sprezzo del pericolo, viene rimesso in discussione nella sua legittimità e nella sua leadership con le solite modalità e il solito accanimento politico che gli elettori hanno censurato per ben tre volte, dandogli il consenso per governare e per eleggere i presidenti di Camera e Senato.

Gentile Fini, delle due l’una: o lei accetta solidalmente gli escamotage che il circolo del presidente del Consiglio troverà per evitare una condanna a oggi sicura nel solito processo milanese antiCav oppure deve prendere l’iniziativa e trovare lei una soluzione accettabile, mediando e rifinendo gli strumenti legislativi opportuni.
Anche i suoi collaboratori della Fondazione e del buon giornale rinato, il Secolo, dovranno smetterla di comportarsi da osservatori ed esperti un po’ viziati, e darci dentro con le esigenze, le pressioni, le energie e le spinte della politica.

Io penso che a lei non convenga ergersi, posto che lo si possa fare, su un campo di macerie.
Penso che l’elettorato di destra e di centro non capirebbe mai un defilamento dalla linea di resistenza democratica all’assalto militante di certa magistratura.
Penso che la legislatura debba fare il suo corso, senza ribaltoni, e che sarebbe sbagliato sia ridurre la complessità felice della nuova forma assunta dal centrodestra, il suo ruolo autonomo compreso sia far finta che la questione della giustizia sia un problema personale di Berlusconi.
Quindici anni di storia italiana dimostrano che non lo è.
Con osservanza

Giuliano Ferrara

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