A volte ritornano.
Ieri ha conversato lungamente con Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, il giorno precedente aveva incontrato Gianfranco Fini, la settimana prima era stato intrattenuto da Pier Luigi Bersani ma soltanto dopo aver ricevuto Francesco Rutelli e aver confortato il governatore veneto Giancarlo Galan: un’ipotesi di accordo con tutti, una mezza promessa a ciascuno. Che la bocciatura del lodo Alfano avrebbe provocato qualche scossetta nel centrodestra era ovvio; che avrebbe finito col restituire una parvenza di centralità tattica a Pier Ferdinando Casini è una novità delle ultime ore.Il rentier post democristiano era stato condannato all’irrilevanza: “Tieniti il progetto io mi prendo i voti”, gli disse Berlusconi alla vigilia del divorzio. Da principe frondista alla corte del Cav. a santo bevitore della politica, l’ex allievo di Forlani dopo la presidenza della Camera sembrava precipitato nel sottoscala del Palazzo. Avrebbe potuto governare col centrosinistra ma non l’ha fatto, avrebbe voluto influenzare Berlusconi ma non c’è riuscito, poteva sublimarsi nel Pdl e invece si è ridotto a pochi deputati da far sopravvivere di stenti; una razza democristiana in estinzione, un gruppetto di marziani proporzionalisti all’interno di un circo bipolare e bipartitico. E invece no.
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