martedì 29 giugno 2010

Sono sempre i migliori

Il ricordo di Christian Rocca esprime quello che avevo provato anch'io: da quella volta mi son detto "attento a giudicare a prima vista, aspetta una decina di secondi". L'intervista di Maltese e' del 23 dicembre 2000, alla fine del primo Grande Fratello ma prima di tutte le sue parodie successive, di tutti i surrogati e succedanei, e prima della Svolta mondiale dell'11/09.

Dopo di lui non c'e' piu' stato chi ha risposto cosi' a domande simili, a finti tariconi simili.
Lo cercano proprio quelli che ci avevano spiegato quanto fosse poco intelligente. Da Repubblica lo chiamano dicendogli che in redazione sono tutti suoi fan (meraviglioso esempio di giornalismo anglosassone: i lettori non se ne erano accorti) e Curzio Maltese in un’intervista lo paragona a Norberto Bobbio. Fabio Fazio fa già proposte per Quelli che il calcio. Francesco Rutelli lo chiama e gli dice "A paraculo", e ci tiene a farlo sapere in giro. Anche Michele Santoro l’ha cercato al telefono. Lui continua a spiazzarli: ringrazia, dice di no e si emoziona per gli appuntamenti già fissati con i produttori cinematografici. Poi va all’uno contro tutti sul palco del Costanzo show. I suoi "avversari" sono giornalisti, docenti universitari, psicologi, attrici, cantanti. Gente che filosofeggia. Le domande sono del tipo: "Ma tu eri più Taricone prima o più Taricone adesso?". Lui giganteggia e li sfotte. Anche perché li conosce e glielo dice. L’immagine finale è devastante per i filosofi. Loro tariconeggiano e sembrano Indipendenti di sinistra di fronte all’operaio Fiat. Fanno i Tariconi di fronte a Pietro che rispetto a loro non soltanto è un Taricone vero ma anche di talento.

Taric ci spiega perché non canterà con Tony Dallara 22 gennaio
Milano. Ieri Pietro Taricone da Caserta era al teatro Parioli di Roma per registrare una puntata speciale del Maurizio Costanzo show che andrà in onda domani in prima serata su Canale 5. Il ragazzo del Grande Fratello, terzo classificato alla trasmissione evento dell’anno scorso, aveva deciso di non presenziare a nessuno dei programmi televisivi cui hanno partecipato con successo i suoi ex compagni. Ieri, sul palco, ha spiegato che non vuole fare la fine del Marziano di Ennio Flaiano, così come aveva scritto il Foglio. Da quando è uscito dalla casa non ha più parlato con i giornalisti, con qualche eccezione. Maurizio Costanzo lo avrebbe voluto a Buona Domenica e alla festa di fine anno, ma Pietro ha detto di no. Poi i due geni della comunicazione hanno preparato questa puntata speciale del talk show. Sul palco, seduti su una tribunetta, c’erano i giornalisti. Ecco che cosa ha raccontato Pietro al Foglio poco prima di entrare in teatro.

Perché sei sparito?: "Uscito dalla casa del Grande Fratello avevo bisogno di capire che cosa stava succedendo. E anche di riposare. Mi sono ritrovato intorno un sacco di persone che non conosco, che mi danno consigli, che mi propongono cose da fare, contratti e altro. Io li voglio osservare. Così come ho fatto all’inizio nella casa: Roberta, Rocco, Marina mi sembravano tutti pazzi e per tre giorni non ho parlato con nessuno. Ma quello era un gioco, e in un gioco può valere il principio dell’homo homini lupus. Nella vita reale no, perché saremmo barbari a comportarci in questo modo. Così mi sono preso il tempo necessario per conoscere i meccanismi, per capire bene i rapporti tra Mediaset e Aran, la società che produce il Grande Fratello".

E ora che cosa vuoi fare?: "Ho capito che la televisione non mi piace. Non vado dalla De Filippi, non faccio più niente. Ho fatto il Costanzo show, e poi basta. Non mi interessa. Mi chiedono di me, dei miei sentimenti, dei miei rapporti, delle mie emozioni. Io non le voglio raccontare a nessuno. L’atteggiamento bullesco serve proprio a questo, a tutelare la mia intelligenza. Il punto è che io non ho niente da dire. Non sono un intellettuale. Ho parlato per 100 giorni, che cosa posso dire di più? Potrei parlare con il corpo, ma mi avete già visto nudo per tre mesi. Che cosa volete? Che canti e balli in tv con Tony Dallara? Non lo farò mai. Mi piace il cinema, invece. La fiction. Reciti e vieni giudicato se hai interpretato bene o male un personaggio. E non se hai scopato bene o male. Mi metterò a studiare recitazione per un anno e poi vediamo".

Il successo: "Cumpa’, che ti devo dire Abbiamo cambiato i numeri di telefono, davanti casa ci sono un sacco di ragazzine e a me non mi va di andare in giro perché tutti mi chiedono di Cristina, di Marina non ne posso più. L’uomo è un animale sociale, ma se incontri settecento persone al giorno diventi disumano. Al massimo uno può coltivare quattro o cinque rapporti. Insomma se vuoi continuare a essere un umano non devi fare televisione. Il rischio è di perdere questa occasione che mi ha dato il Grande Fratello, ma io ho la forza del Samurai, guaglio’. Il samurai l’ho appena letto in un libro di Yukio Mishima parla con la morte, la preferisce alla vita. E così non ha paura".

Devi tutto al Grande Fratello?: "Guaglio’, stiamo zero a zero. Io non ero nessuno, e posso tornare a essere nessuno. Loro sono Golia e grazie ai ragazzi del GF fanno un sacco di soldi. Io, Davide, torno a Caserta a fa’ palestra e ad amministrare condomini".

domenica 27 giugno 2010

Silvio, mica Ronald

Ottimo Pera: la rivoluzione liberale persa per strada, la classe dirigente (compresa la Chiesa) sempre socialista e statalista, il popolo naturalmente di sinistra.

giovedì 24 giugno 2010

Di chi è la colpa

Il pallone che va dove gli pare, l'Africa che e' povera, Bruno Pizzul che ancora campa. L'arroganza di Lippi, il fastidio delle vuvuzelas, il sole contro, la Lega cinica. L'ernia di Buffon, le gaffe di Cannavaro, l'Inter che vince tutto ed e' tutta straniera, i più bravi non convocati. Tanto cuore che fa rima con terrore e orrore.

mercoledì 23 giugno 2010

venerdì 18 giugno 2010

DE INUTILITATE NASCONDIMENTI BARATTOLORUM NUTELLÆ AB ILLUSIBUS MAMMIBUS

Nutella omnia divisa est in partes tres: Unum: Nutella in vaschetta plasticae. Duum: Nutella in vitreis bicchieribus custodita. Treum: Nutella sita in magno barattolo (magno barattolo sì, sed melium est si magno Nutella IN barattolo).
Nutella placet omnibus pueris atque puellis sed, si troppa Nutella fagocitare, cicciones divenire, cutaneis eruetionibus sottostare et brufolos peticellosque supra facie tua stratos formare atque, ipso facto, diarream cacarellamque subitaneam venire. Propterca quod familiares, et mamma in particolare, semper Nutella occultat in impensabilis locis ut eviteant filiis sbafare, come soliti sunt. Sed domanda spontanea nascet: si mamma contraria est filiales sbafationes, perché Nutella comprat et postea celat? Intelligentiore fuisse non comprare manco per nihil ... sed forse mammae etiam Nutella sbafant: celatio altrum non est vendetta trasversalis materna propter ea quod ea stessa victima fuit, sua volta, matris suae. "Sic heri tua mamma Nutella celavit, sic hodie celis filiis tuis". Sed populus totus cognoscit ingenium puerorum si in ballo Nutella est: vista felinos similante habent ut scruteant in tenebris credentiarum; manes prensiles aracnidarum modo ut arrampiceant super scaffalos sgabuzzinarum; olfactum caninum - canibus superior - per Nutèllam sèovare inter mucchios anonimarum marmellatarum fructarum. Memento semper: filius, inevitabile, Nutella s covat sed non semper magnat. Infactum, fruxtratione maxima filii si habet quando filius scovat barattolum sed hoc barattolo novus atque sigillatus est, propterca quod si filius aprit et intaccat barattolum intonsum, sputtanatus fuisse! (Eh! Erat novus ... ). Hoe res demonstrat omnibus mammis nascondimentos novorum barattolorum Nutellae fatica sprecata esse. Non fruxtratione maxima, sed notevolis incavolatio si habet si filius ritrovat barattolum quasi vacuum, giusto minima cum Nutella et alcunam partem manducare non potest quod barattolum vacuum buttatum fuisse ab mamma, non conservatum, inde semper minimum fondum Nutellae rimanendum est. Hoc res demonstrat omnibus mammis nascondimentos quasi vacuorum barattolorum Nutellae ulteriore fatica sprecata al quadratum esse. Unica possibilitas felicitatis filii est rinvenire barattolum medio vacuum et medio plenum, in hoc modo dues o tres cucchiailli Nutellae videantur sbafandi sunt. Sed, post sbafationem, ad editandum sgamati esse memorandae sunt smucinatio atque mischiatio Nutellae rimastae ut si fingeat nemo toccavit nemo magnavit. Etiam, primariae importantiae res, cucchiaillus lavare asciugareque ne tracciam ullam lasciare. Hac tertia ipotesis unica ragione est pro fatica mammarum, sed ulteriores domandae spontanae nascunt. Ne valet la penam? Hoc casinus toto per tres cucchiaillos fetientos Nutellae? Qui ve lo facit fare? Et postea, postea, non vi lamentatis si filli, provati astinentiarum Nutellarum, drogaturi sunt! Ullae laerimae coccodrillarum accettatae sunt: non dicite non avvertendo non fuissimus
Salutis baciisque
Caius Julius Ferrerus

domenica 13 giugno 2010

I meglio libri / 10

Prossima lista della spesa:

Della plebe, T.Campanella

1 Il popolo è una bestia varia e grossa,
2 ch'ignora le sue forze; e però stassi   
3 a pesi e botte di legni e di sassi,   
4 guidato da un fanciul che non ha possa,   
5 ch'egli potria disfar con una scossa:   
6 ma lo teme e lo serve a tutti spassi.   
7 Né sa quanta è temuto, ché i bombassi   
8 fanno un incanto, che i sensi gli ingrossa.   
9 Cosa stupenda! e' s'appicca e imprigiona  
10 con le man proprie, e si dà morte e guerra  
11 per un carlin quanti egli al re dona.  
12 Tutto è suo quanto sta fra cielo e terra,  
13 ma nol conosce; e, se qualche persona  
14 di ciò l'avvisa, e' l'uccide ed atterra.

Pagine (e strisce) bianche

Molti romanzi italiani hanno una nuova protagonista: la cocaina. Solo per restare ai titoli dei libri entrati quest’anno nella rosa dello Strega, abbiamo «Acciaio» (Rizzoli) di Silvia Avallone, «Hanno tutti ragione» (Feltrinelli) di Paolo Sorrentino, «Un anno fa domani» (Instar) di Sebastiano Mondadori. Tonnellate di cocaina vengono consumate in molti libri di Walter Siti, tra gli ultimi «Troppi paradisi» (Einaudi) e «Il contagio» (Mondadori). Cocaina al centro della scena anche nel recentissimo «Il re dell’ultima spiaggia» (Bompiani) di Alessandro Fabbri. Studenti e di «Unhappy Hour» (Leone editore) di Andrea Intini. Borgatari, operai, cubiste, figli di papà, cantanti semifalliti, star della musica, rispettati professionisti: a quanto pare avrebbero una cosa in comune, la passione per la sniffata. A volte espediente narrativo, altre tratto sociologico, comunque sempre in prima linea (bianca).

giovedì 10 giugno 2010

Sperma: come stronzo

Ecco cosa esce dalle seghe mentali di un premio Strega.
Sperma e' parola sgradevole e zozza. Guarda come e' fatta: si carica con la esse: come se qualcuno accumulasse energia sss-: si accumula perche' deve superare un ostacolo, l'ostacolo della pi: la pi e' una barriera che fa resistenza dentro la parola sperma: ma poi la barriera cede e l'energia si scarica nella sillaba con l'accento: ssss-p-érm! E lo schizzo atterra e slitta nella erre e frena e si ferma nella emme: sperma!
Tiziano Scarpa, Le cose fondamentali (citazione da sito internet, fonte non autenticata).

Roma, le pietre

Sono stato a Roma, ho chiesto consiglio a dei romani, mi han detto che in macchina, Roma è impossibile, in bici ti arrotano, a piedi è troppo lungo, e i mezzi pubblici non funzionano. Son andato a Roma e son stato fermo tutto il tempo. È un po’ un peccato, perché mi han detto che c’erano da vedere delle pietre.

martedì 8 giugno 2010

Zodiac, Inferni

Singolare che entrambi i romanzi di Errico Passaro usciti quasi insieme, ma scritti a distanza di tempo uno dall’altro, si aprano con una scena di fuga: fugge tra le vie di una città Florian G. inseguito dalla polizia politica in Zodiac (apparso sulla famosa collana «Urania» ad aprile), e fugge Corrado Marziali tra le vie di un’altra città inseguito da misteriose presenze che vogliono catturarlo in Inferni (appena uscito per Bietti). Con la differenza che il primo è vivo e si muove in un lontanissimo futuro governato dal Consiglio dello Zodiaco, una dittatura che si basa sugli assiomi deterministici dell’astrologia, mentre il secondo è morto (sì, proprio morto) e si muove in un complesso aldilà formato non da un solo Inferno, quello di Dio, ma da molti altri Inferni, tanti quanti sono le religioni e le eresie note, ognuno dei quali vuole farlo suo. Come si vede, due trame già di per se stesse estremamente originali che mettono in evidenza uno scrittore che con questa (casuale) doppietta di pubblicazioni prestigiose, anche se su due piani diversi (la collezione da edicola, il volume da libreria) raccoglie i frutti di un lavoro venticinquennale sia come narratore che come critico.
Perché fuggono i due protagonisti? Non tanto per paura, quanto per sottrarsi a un potere cui non vogliono più essere soggetti e, anche se forse inizialmente non ci pensavano, per abbatterlo, a costo della loro stessa vita (nel primo caso, ovviamente). Hanno anche un’altra caratteristica comune di cui si rendono conto in un secondo tempo: sono entrambi eterodiretti. Il primo, ribellandosi al potere dello Zodiaco si unisce ai «dissidenti», ma questi sono a loro volta senza saperlo controllati dal megacomputer centrale che è il cuore del potere astrologico che governa l’umanità; il secondo da una entità superiore (e più superiore dell’Onnipotente?) che lo usa come uno strumento per scalzare satana dall’Inferno cristiano. Tutti e due, a un certo punto si rendono conto di come stanno effettivamente le cose e agiscono di conseguenza: Florian riuscendo a introdursi nel cuore del cervellone e a distruggerlo aprendo così una via di libertà agli uomini; Corrado Marziali, dopo aver attraverso tutti i luoghi fisici della punizione (un contraltare di quelli terreni: il Grattacielo, l’Ospedale, la Megacasa, la Discoteca ecc...), affronta direttamente il Menzognero e lo sconfiggerà adempiendo, pur avendolo compreso, alla macchinazione di Dio, e raggiungendo così la sua vera punizione: lui superbo va pavido in vita, lui agnostico e incredulo, sarà costretto a reggere l'Inferno tutto.
Errico Passaro dà prova di una immaginazione esuberante e originalissima sia in ambito fantascientifico che in quello fantastico, ma in parte deve scontare le esigenze editoriali: Zodiac dà l’impressione di essere stato tagliato per poter entrare nelle dimensioni di un volumetto di «Urania», mentre Inferni, avrebbe meritato un ampliamento e un approfondimento. Entrambi i romanzi sono infatti romanzi di idee, quasi filosofici potremmo dire, affrontando temi come il libero arbitrio, il determinismo, la sorte umana nel dopo-vita, più che romanzi di pura azione, mentre rischiano di apparire semplicemente tali. Su tutto emergono i protagonisti: entrambi disinteressati, coraggiosi, determinati a farsi valere costi quel che costi nei confronti di entità leviataniche, sia in vita che in morte, sia sulla Terra che nell’Aldilà.
G. De Turris

Flaiano e Del Buono

Un giorno riscriveranno le antologie scolastiche di letteratura e... sorpresa! Al neorealismo sarà riservato un pugno di pagine. Finalmente troveranno spazio anche autori che si collocano fuori dalla sacra triade Pavese-Vittorini-Calvino nella quale troppo spesso si esaurisce lo studio del Novecento. Perché ciò accada è necessario che critica ed editoria allarghino un po’ i propri interessi.
Diamo quindi il benvenuto a questi due pachidermi: il primo volume dell’Antimeridiano con romanzi e racconti di Oreste del Buono (Isbn, pagg. 1644, euro 69) e le Opere scelte di Ennio Flaiano (Adelphi, pagg. 1516, euro 70). Del Buono e Flaiano: due scrittori diversissimi fra loro, quasi agli antipodi, eppure accomunati da una sorte simile, ritenuto difetto: il "multiforme ingegno".

Tira piu' un pelo

Studenti della facolta' di Ingegneria dell'universita' di Padova coordinati dal prof. Giovanni Perini, titolare della cattedra di tecnologie generali dei materiali, usando una macchina per il calcolo della resistenza alla trazione per il collaudo di corde nautiche, hanno misurato il peso che puo' essere trascinato da un pelo pubico di donna. Il risultato massimo ottenuto in piu' di 50 prove (i peli erano stati messi a disposizione da studentesse della stessa facolta') e' stato di 13.8 kg.

lunedì 7 giugno 2010

Imperi perituri

Provo a compilare una lista, personale e incompleta, di alcuni eventi accaduti negli ultimi cento anni, dallo scoppio della Grande guerra alle vicende dell' altro ieri: la tragica estate del 1914, la rivoluzione bolscevica, il crollo di tre imperi (austriaco, ottomano, russo), il crack del 1929, la guerra fredda, la morte del comunismo e la disintegrazione dell' impero sovietico nel grande spazio euro-asiatico, le guerre jugoslave, la rivoluzione cinese. Il crack di Lehman Brothers nel 2008, lo scandalo dei preti pedofili, la crisi finanziaria greca del 2009. Alcuni di questi eventi possono considerarsi conclusi e si prestano a uno sguardo d' insieme. Altri si stanno svolgendo sotto i nostri occhi e sollecitano alcuni interrogativi. Potranno gli Stati Uniti riassorbire in tempi ragionevoli il disavanzo (un trilione e 4 miliardi nel 2009) e il debito pubblico (5 trilioni e 8 miliardi nel 2008) senza rinunciare alla loro condizione di superpotenza mondiale? Potrà la Chiesa cattolica sopravvivere a un' ondata di scandali che ha profondamente intaccato l' autorità del suo magistero? Potrà la piccola Grecia raddrizzare i suoi conti senza provocare il collasso dall' eurozona e trascinare con sé la pericolante costruzione della moneta unica? Supponiamo per un attimo che gli Stati Uniti siano costretti a ridurre drasticamente le loro spese militari, che la Chiesa esploda lasciando dietro di sé una miriade di sette religiose, gruppi millenaristi e Chiese nazionali, che la crisi greca provochi la morte dell' euro e il brusco fallimento del processo d' integrazione europea. Vi è qualcuno che possa ragionevolmente prevedere le conseguenze di questi disastri sugli equilibri internazionali? Le profezie saranno molte, ma fantasiose, se non addirittura cervellotiche, e poco utili alla ricostruzione dell' ordine internazionale e dell' ordine spirituale. Sappiamo con certezza, tuttavia, che sul luogo del disastro arriverà prima o dopo una frotta di formiche operose e di api operaie. Sono gli storici, con i loro computer, i loro archivi, le loro gigantesche bibliografie. Si metteranno al lavoro per spiegarci che cosa è accaduto e perché è accaduto. Il loro modus operandi (il latino si addice al mondo accademico) sarà quello con cui hanno spiegato, per esempio, lo scoppio della Grande guerra e la rivoluzione d' Ottobre. Nel caso di queste due grandi tragedie hanno allineato l' uno accanto all' altro, con qualche differenza d' accento dovuta alle diverse scuole storiografiche, alcuni fattori: la rivoluzione industriale, l' applicazione di nuove tecnologie al campo di battaglia, le ideologie rivoluzionarie, il nazionalismo, il militarismo, la nascita della classe operaia, la crisi delle democrazie parlamentari, la rivalità anglo-tedesca negli oceani, la rivalità franco-tedesca nel continente europeo, la rivalità italo-austriaca nell' Adriatico, le smodate ambizioni austriache nella penisola balcanica, il lungo declino degli Stati dinastici, dell' autocrazia russa, del sultanato ottomano. E dopo avere piazzato in buon ordine, sulla scacchiera delle loro ricostruzioni, le cause remote del grande evento, gli storici sono passati a individuare i passaggi critici, gli snodi cruciali in cui la scintilla ha dato fuoco alle polveri. Negli studi sulla Grande guerra questi snodi furono il colpo di pistola a Sarajevo, l' ultimatum austriaco alla Serbia, le mobilitazioni generali. Nel caso della rivoluzione bolscevica furono il fallimento della Repubblica di Kerenskij, il ritorno di Lenin a Pietrogrado il 16 aprile 1917, il presunto golpe del generale Lavr Kornilov, l' assalto al Palazzo d' Inverno, la brusca chiusura dell' Assemblea Costituente nel gennaio del 1918. Quando dovranno spiegare la crisi dell' impero americano e quella dell' impero cattolico, gli storici adotteranno lo stesso metodo. Nel primo caso spiegheranno che gli Stati Uniti hanno dominato il mondo grazie a una forza militare finanziata dai loro clienti, amici e potenziali avversari grazie all' acquisto di titoli di credito emessi dal Tesoro americano e denominati in dollari. Gli storici economici spiegheranno che questa è stata la più colossale operazione di signoraggio mai realizzata nella storia dell' umanità. L' America ha stampato dollari per le proprie necessità, ma ne ha venduti una buona parte al resto del mondo; e ha finanziato in tal modo il suo debito. Qualcuno ricorderà che uno storico dell' università di Yale, Paul Kennedy, aveva pubblicato nel 1987 un libro (Rise and Fall of the Great Powers, nell' edizione italiana, Ascesa e declino delle grandi potenze) in cui si era proposto di dimostrare che i grandi imperi muoiono di overstretching, vale a dire delle troppe spese militari provocate dell' eccessiva estensione delle proprie ambizioni e responsabilità. E qualcun altro aggiungerà che il disastro è stato accelerato dall' applicazione spericolata delle regole del capitalismo finanziario in una fase in cui gli Stati Uniti erano impegnati su due grandi scacchieri militari (Iraq e Afghanistan) e dovevano tenere a bada una mezza dozzina di Stati «canaglia», dal Venezuela alla Corea del Nord passando per l' Iran. Se queste sono le cause remote, gli snodi cruciali sono gli attentati dell' 11 settembre e la pretestuosa occupazione militare di un Paese che fu accusato a torto di avere armi di distruzione di massa. Gli storici che si dedicheranno al declino e alla caduta della Chiesa romana ricostruiranno invece i difficili rapporti della Santa Sede con la modernità, dal dogma sull' infallibilità papale di Pio IX al Concilio Vaticano II di Giovanni XXIII. Spiegheranno che il Vaticano, soprattutto negli ultimi cent' anni, ha dovuto combattere su due fronti. Sul primo fronte si è scontrato con fenomeni politici e sociali che mettevano in discussione la sua autorità: la democrazia laica, il comunismo, il paganesimo nazista, l' edonismo della società dei consumi, l' impatto delle nuove scienze e delle nuove tecnologie sulle grandi funzioni naturali, dalla nascita alla procreazione. Sul secondo fronte ha dovuto sostenere l' offensiva di tendenze e movimenti sorti all' interno della sua stessa casa: il modernismo, il riformismo del Concilio Vaticano II, il femminismo cattolico. Le due battaglie hanno avuto fasi alterne e si sono concluse talora con un compromesso, ma hanno complessivamente indebolito, con qualche differenza da un Paese all' altro, la Chiesa romana nel mondo. Lo snodo cruciale, nell' analisi degli storici, sarà probabilmente lo scandalo dei preti pedofili. È uno scandalo in due atti che rimbalza, a quasi dieci anni di distanza, dagli Stati Uniti all' Europa. Ma in America la partita si chiude con il denaro degli indennizzi, mentre in Europa, apparentemente, il denaro non basta. Queste storie di «ascesa e declino» sono affascinanti e ricalcano in generale il taglio di grandi opere storico-letterarie del passato: il Declino e caduta dell' impero romano di Edward Gibbon, Il tramonto dell' Occidente di Oswald Spengler, il «grand' angolo» storiografico di Arnold Toynbee, gli studi sul declino dell' impero spagnolo di Fernand Braudel (un altro caso di overstretching finanziario). Ma presentano un problema che potrebbe essere sommariamente definito così: rendono razionale ciò che razionale non era. Lo storico spiega e giustifica, oppure spiega e condanna, ma ottiene in ambedue i casi il risultato di mettere ordine in una realtà disordinata. Quando deve spiegare il declino di un grande impero, dice ai suoi lettori quali errori furono commessi. Li avrebbe evitati se fosse stato contemporaneo dei suoi personaggi? Avrebbe individuato le soluzioni giuste e le strade pericolose? È possibile che i posteri abbiano sempre ragione e i contemporanei abbiano spesso torto? Non basta. I teoremi, concepiti a posteriori, possono contenere implicitamente una ricetta per il futuro. Ma se la ricetta è il risultato di una diagnosi fatta quando il paziente è già nella tomba, la terapia potrebbe rivelarsi inutile, se non addirittura pericolosa. Cominciai a pormi questi problemi dopo la caduta dell' impero sovietico nel 1989 e la disgregazione dell' Urss nel 1991. Gli storici hanno trattato quegli avvenimenti nello stesso modo in cui hanno studiato la Grande guerra, la rivoluzione bolscevica, il crollo dei grandi imperi multinazionali. Le cause remote, nel caso dell' Urss, sarebbero sostanzialmente tre: le promesse non mantenute, la distruzione della società civile, l' overstretching di un regime che sfruttava male le sue risorse naturali e spendeva per la sua potenza militare ricchezza non guadagnata. Gli snodi cruciali, invece, sarebbero l' invasione dell' Afghanistan nel dicembre 1979, la vertiginosa caduta del prezzo del petrolio agli inizi del 1986, la nascita dei movimenti secessionisti, il golpe fallito dell' agosto 1991. Per chi aveva assistito alla fase della perestrojka (arrivai a Mosca nel settembre del 1985) nessuno di questi fattori tuttavia bastava a dare una spiegazione sufficiente della straordinaria rapidità con cui il sistema crollò fra l' agosto e il dicembre di quell' anno. Era accaduto qualcosa che sfuggiva alla nostra percezione e alla nostra analisi. Una possibile spiegazione è quella prospettata da Niall Ferguson in un saggio apparso su «Foreign Affairs», vol. 89, n. 2, e intitolato Complexity and collapse. Secondo Ferguson, le grandi potenze e gli imperi sono «sistemi complessi, costituiti da un larghissimo numero di componenti che interagiscono e che sono organizzate in modo asimmetrico: una costruzione che assomiglia a un monticello di formiche piuttosto che a una piramide egiziana. Operano al confine fra l' ordine e il disordine, sul ciglio del caos». Anche quando appaiono stabili sono in continuo movimento e costretti a ricomporre continuamente l' equilibrio perduto. Bastano un piccolo smottamento, una piccola crepa perché lo squilibrio temporaneo diventi crisi permanente. Secondo Ferguson, incidentalmente, un simile «incidente» potrebbe prodursi da un momento all' altro anche per gli Stati Uniti. L' analisi di Ferguson mi è apparsa attraente anche perché esisteva a Mosca, negli anni della perestrojka, l' uomo che avrebbe potuto illustrare a Gorbaciov la fragilità dei grandi sistemi. Era Jermen Gvishani, un intelligente e simpatico matematico georgiano che aveva sposato la figlia di Aleksej Kossighin, viaggiava frequentemente all' estero per partecipare a incontri internazionali, era buon amico di Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma, e apparteneva all' ala colta, europea e «cosmopolita» (esisteva anche quella) della dirigenza sovietica. Negli anni Ottanta aveva alte cariche pubbliche ed era direttore di uno degli istituti dell' Accademia delle scienze. Ma l' incarico che maggiormente gli piaceva era quello di vicepresidente di un «laboratorio» internazionale creato in Austria, a Laxenburg, nel 1972 e chiamato, con una denominazione piuttosto oscura, «Istituto per l' analisi dei sistemi applicati». Se il lettore vorrà consultare il suo sito (http://www.iiasa.ac.at) scoprirà tra l' altro che l' Istituto cerca di mettere a punto metodi che consentano di «gestire modelli complessi» e di calcolare il rischio di eventi che hanno potenziali conseguenze catastrofiche. Sinora si è occupato di clima, ambiente, risorse naturali, movimenti di popolazione. Domani - perché no? - potrebbe occuparsi dei grandi Stati. E potrebbe scoprire in tal modo che un evento minore e privo di qualsiasi significato politico può essere la causa scatenante di una catastrofe politica. Non sarei sorpreso ad esempio se l' istituto di Laxenburg scoprisse che lo smottamento dell' impero sovietico fu provocato da un evento naturale: il terremoto armeno del dicembre 1988. Mentre il «sistema complesso» dell' Urss cercava faticosamente di assorbire le riforme gorbacioviane e di ricomporre il proprio equilibrio, quell' evento ebbe l' effetto di suscitare la rabbia degli armeni contro le inefficienti strutture sovietiche e di contagiare tutti i latenti secessionismi sovietici, dal Baltico al Caucaso. I matematici dell' Iiasa potrebbero quindi sostituire gli storici? Solo in parte. Costretti a scegliere fra la verità e l' immaginazione, gli uomini continueranno a preferire le narrazioni seducenti e accattivanti, soprattutto quando escono da una buona penna. E la storiografia, dopotutto, è anche (forse soprattutto) letteratura.
Sergio Romano

Britannia

Il polveroso discorso della Regina;

mercoledì 2 giugno 2010

In difesa di Israele

Da tempo era noto che una flottiglia di provocatori politici, messa su con la complicità dei nemici in armi di Israele, voleva forzare il blocco di Gaza.
La decisione di impedire questa forzatura era legittima, ci mancherebbe, ma doveva realizzarsi in condizioni di maggiore sicurezza, con un impiego intelligente della forza, in modo da evitare lutti, dolori ed equivoci umanitari pronti ad essere sfruttati con cattiveria dalla propaganda pacifista internazionale, da sempre alleata con la propaganda antisionista dei peggiori ceffi, ora anche turchi, che agitano la scena mediterranea.

Il blocco contro il quale muoveva la flottiglia delle anime belle, accompagnata da parecchie brutte facce, è una decisione sovrana che Gerusalemme ha preso, giusta o sbagliata che la vogliate giudicare, per tutelarsi da una comunità di impianto terrorista costruita con la violenza da Hamas, movimento islamista che vuole annientare Israele, dopo il ritiro di Tsahal dalla Striscia.
Era stato così anche nel Libano meridionale. Il ritiro, l’insediamento successivo sempre più radicato di Hezbollah, le trame iraniane e di altri stati nemici dell’entità sionista, e poi il sistematico bombardamento missilistico delle città di confine, fino ad Haifa: infine la dura reazione delle Israel Defence Forces.
Ma qui nasce il vero problema.

Israele è da sempre in una specialissima situazione etico-politica.
Ha il diritto di difendersi, ma purtroppo non ha il diritto di sbagliare. Non si fa guerra in Libano senza aver chiaro nei limiti del possibile e dell’impossibile quale sarà il contrattacco di Hezbollah, quanto saranno capaci di nascondere e far funzionare le loro batterie missilistiche nel corso dell’offensiva, quali vie per il traffico delle armi resteranno aperte per giorni e settimane.
Così non si abborda una flottiglia di pacifisti ben intenzionati a menare le mani, a usare i coltelli e i bastoni, e magari a disarmare i soldati piovuti dagli elicotteri, senza calcolare tra le possibili conseguenze una carneficina.
Un disastro tecnico diventa subito una catastrofe umana e politica, quando si parla di uno stato che vive sotto il ricatto prenucleare di Teheran, di un governo che oggi si sente isolato perfino dall’Amministrazione americana o da sue decisive componenti, di una classe dirigente che deve condurre difficili campagne di verità a proposito di un nemico potente travestito da soggetto debole, diseredato, in perenne penuria per la cattiveria degli “ebrei insediatisi in Palestina”.

E’ doloroso e folle quel che è accaduto a bordo di quelle navi.
E’ inaudito anche solo ipotizzare che Israele non abbia il diritto e il dovere di reagire a simili provocazioni politiche, alla violenza degli umanitari e dei pacifisti alleati di Teheran e di folle tumultuanti allertate dalla nuova propaganda di Erdogan. Ma non così.

Giuliano Ferrara