lunedì 7 giugno 2010

Imperi perituri

Provo a compilare una lista, personale e incompleta, di alcuni eventi accaduti negli ultimi cento anni, dallo scoppio della Grande guerra alle vicende dell' altro ieri: la tragica estate del 1914, la rivoluzione bolscevica, il crollo di tre imperi (austriaco, ottomano, russo), il crack del 1929, la guerra fredda, la morte del comunismo e la disintegrazione dell' impero sovietico nel grande spazio euro-asiatico, le guerre jugoslave, la rivoluzione cinese. Il crack di Lehman Brothers nel 2008, lo scandalo dei preti pedofili, la crisi finanziaria greca del 2009. Alcuni di questi eventi possono considerarsi conclusi e si prestano a uno sguardo d' insieme. Altri si stanno svolgendo sotto i nostri occhi e sollecitano alcuni interrogativi. Potranno gli Stati Uniti riassorbire in tempi ragionevoli il disavanzo (un trilione e 4 miliardi nel 2009) e il debito pubblico (5 trilioni e 8 miliardi nel 2008) senza rinunciare alla loro condizione di superpotenza mondiale? Potrà la Chiesa cattolica sopravvivere a un' ondata di scandali che ha profondamente intaccato l' autorità del suo magistero? Potrà la piccola Grecia raddrizzare i suoi conti senza provocare il collasso dall' eurozona e trascinare con sé la pericolante costruzione della moneta unica? Supponiamo per un attimo che gli Stati Uniti siano costretti a ridurre drasticamente le loro spese militari, che la Chiesa esploda lasciando dietro di sé una miriade di sette religiose, gruppi millenaristi e Chiese nazionali, che la crisi greca provochi la morte dell' euro e il brusco fallimento del processo d' integrazione europea. Vi è qualcuno che possa ragionevolmente prevedere le conseguenze di questi disastri sugli equilibri internazionali? Le profezie saranno molte, ma fantasiose, se non addirittura cervellotiche, e poco utili alla ricostruzione dell' ordine internazionale e dell' ordine spirituale. Sappiamo con certezza, tuttavia, che sul luogo del disastro arriverà prima o dopo una frotta di formiche operose e di api operaie. Sono gli storici, con i loro computer, i loro archivi, le loro gigantesche bibliografie. Si metteranno al lavoro per spiegarci che cosa è accaduto e perché è accaduto. Il loro modus operandi (il latino si addice al mondo accademico) sarà quello con cui hanno spiegato, per esempio, lo scoppio della Grande guerra e la rivoluzione d' Ottobre. Nel caso di queste due grandi tragedie hanno allineato l' uno accanto all' altro, con qualche differenza d' accento dovuta alle diverse scuole storiografiche, alcuni fattori: la rivoluzione industriale, l' applicazione di nuove tecnologie al campo di battaglia, le ideologie rivoluzionarie, il nazionalismo, il militarismo, la nascita della classe operaia, la crisi delle democrazie parlamentari, la rivalità anglo-tedesca negli oceani, la rivalità franco-tedesca nel continente europeo, la rivalità italo-austriaca nell' Adriatico, le smodate ambizioni austriache nella penisola balcanica, il lungo declino degli Stati dinastici, dell' autocrazia russa, del sultanato ottomano. E dopo avere piazzato in buon ordine, sulla scacchiera delle loro ricostruzioni, le cause remote del grande evento, gli storici sono passati a individuare i passaggi critici, gli snodi cruciali in cui la scintilla ha dato fuoco alle polveri. Negli studi sulla Grande guerra questi snodi furono il colpo di pistola a Sarajevo, l' ultimatum austriaco alla Serbia, le mobilitazioni generali. Nel caso della rivoluzione bolscevica furono il fallimento della Repubblica di Kerenskij, il ritorno di Lenin a Pietrogrado il 16 aprile 1917, il presunto golpe del generale Lavr Kornilov, l' assalto al Palazzo d' Inverno, la brusca chiusura dell' Assemblea Costituente nel gennaio del 1918. Quando dovranno spiegare la crisi dell' impero americano e quella dell' impero cattolico, gli storici adotteranno lo stesso metodo. Nel primo caso spiegheranno che gli Stati Uniti hanno dominato il mondo grazie a una forza militare finanziata dai loro clienti, amici e potenziali avversari grazie all' acquisto di titoli di credito emessi dal Tesoro americano e denominati in dollari. Gli storici economici spiegheranno che questa è stata la più colossale operazione di signoraggio mai realizzata nella storia dell' umanità. L' America ha stampato dollari per le proprie necessità, ma ne ha venduti una buona parte al resto del mondo; e ha finanziato in tal modo il suo debito. Qualcuno ricorderà che uno storico dell' università di Yale, Paul Kennedy, aveva pubblicato nel 1987 un libro (Rise and Fall of the Great Powers, nell' edizione italiana, Ascesa e declino delle grandi potenze) in cui si era proposto di dimostrare che i grandi imperi muoiono di overstretching, vale a dire delle troppe spese militari provocate dell' eccessiva estensione delle proprie ambizioni e responsabilità. E qualcun altro aggiungerà che il disastro è stato accelerato dall' applicazione spericolata delle regole del capitalismo finanziario in una fase in cui gli Stati Uniti erano impegnati su due grandi scacchieri militari (Iraq e Afghanistan) e dovevano tenere a bada una mezza dozzina di Stati «canaglia», dal Venezuela alla Corea del Nord passando per l' Iran. Se queste sono le cause remote, gli snodi cruciali sono gli attentati dell' 11 settembre e la pretestuosa occupazione militare di un Paese che fu accusato a torto di avere armi di distruzione di massa. Gli storici che si dedicheranno al declino e alla caduta della Chiesa romana ricostruiranno invece i difficili rapporti della Santa Sede con la modernità, dal dogma sull' infallibilità papale di Pio IX al Concilio Vaticano II di Giovanni XXIII. Spiegheranno che il Vaticano, soprattutto negli ultimi cent' anni, ha dovuto combattere su due fronti. Sul primo fronte si è scontrato con fenomeni politici e sociali che mettevano in discussione la sua autorità: la democrazia laica, il comunismo, il paganesimo nazista, l' edonismo della società dei consumi, l' impatto delle nuove scienze e delle nuove tecnologie sulle grandi funzioni naturali, dalla nascita alla procreazione. Sul secondo fronte ha dovuto sostenere l' offensiva di tendenze e movimenti sorti all' interno della sua stessa casa: il modernismo, il riformismo del Concilio Vaticano II, il femminismo cattolico. Le due battaglie hanno avuto fasi alterne e si sono concluse talora con un compromesso, ma hanno complessivamente indebolito, con qualche differenza da un Paese all' altro, la Chiesa romana nel mondo. Lo snodo cruciale, nell' analisi degli storici, sarà probabilmente lo scandalo dei preti pedofili. È uno scandalo in due atti che rimbalza, a quasi dieci anni di distanza, dagli Stati Uniti all' Europa. Ma in America la partita si chiude con il denaro degli indennizzi, mentre in Europa, apparentemente, il denaro non basta. Queste storie di «ascesa e declino» sono affascinanti e ricalcano in generale il taglio di grandi opere storico-letterarie del passato: il Declino e caduta dell' impero romano di Edward Gibbon, Il tramonto dell' Occidente di Oswald Spengler, il «grand' angolo» storiografico di Arnold Toynbee, gli studi sul declino dell' impero spagnolo di Fernand Braudel (un altro caso di overstretching finanziario). Ma presentano un problema che potrebbe essere sommariamente definito così: rendono razionale ciò che razionale non era. Lo storico spiega e giustifica, oppure spiega e condanna, ma ottiene in ambedue i casi il risultato di mettere ordine in una realtà disordinata. Quando deve spiegare il declino di un grande impero, dice ai suoi lettori quali errori furono commessi. Li avrebbe evitati se fosse stato contemporaneo dei suoi personaggi? Avrebbe individuato le soluzioni giuste e le strade pericolose? È possibile che i posteri abbiano sempre ragione e i contemporanei abbiano spesso torto? Non basta. I teoremi, concepiti a posteriori, possono contenere implicitamente una ricetta per il futuro. Ma se la ricetta è il risultato di una diagnosi fatta quando il paziente è già nella tomba, la terapia potrebbe rivelarsi inutile, se non addirittura pericolosa. Cominciai a pormi questi problemi dopo la caduta dell' impero sovietico nel 1989 e la disgregazione dell' Urss nel 1991. Gli storici hanno trattato quegli avvenimenti nello stesso modo in cui hanno studiato la Grande guerra, la rivoluzione bolscevica, il crollo dei grandi imperi multinazionali. Le cause remote, nel caso dell' Urss, sarebbero sostanzialmente tre: le promesse non mantenute, la distruzione della società civile, l' overstretching di un regime che sfruttava male le sue risorse naturali e spendeva per la sua potenza militare ricchezza non guadagnata. Gli snodi cruciali, invece, sarebbero l' invasione dell' Afghanistan nel dicembre 1979, la vertiginosa caduta del prezzo del petrolio agli inizi del 1986, la nascita dei movimenti secessionisti, il golpe fallito dell' agosto 1991. Per chi aveva assistito alla fase della perestrojka (arrivai a Mosca nel settembre del 1985) nessuno di questi fattori tuttavia bastava a dare una spiegazione sufficiente della straordinaria rapidità con cui il sistema crollò fra l' agosto e il dicembre di quell' anno. Era accaduto qualcosa che sfuggiva alla nostra percezione e alla nostra analisi. Una possibile spiegazione è quella prospettata da Niall Ferguson in un saggio apparso su «Foreign Affairs», vol. 89, n. 2, e intitolato Complexity and collapse. Secondo Ferguson, le grandi potenze e gli imperi sono «sistemi complessi, costituiti da un larghissimo numero di componenti che interagiscono e che sono organizzate in modo asimmetrico: una costruzione che assomiglia a un monticello di formiche piuttosto che a una piramide egiziana. Operano al confine fra l' ordine e il disordine, sul ciglio del caos». Anche quando appaiono stabili sono in continuo movimento e costretti a ricomporre continuamente l' equilibrio perduto. Bastano un piccolo smottamento, una piccola crepa perché lo squilibrio temporaneo diventi crisi permanente. Secondo Ferguson, incidentalmente, un simile «incidente» potrebbe prodursi da un momento all' altro anche per gli Stati Uniti. L' analisi di Ferguson mi è apparsa attraente anche perché esisteva a Mosca, negli anni della perestrojka, l' uomo che avrebbe potuto illustrare a Gorbaciov la fragilità dei grandi sistemi. Era Jermen Gvishani, un intelligente e simpatico matematico georgiano che aveva sposato la figlia di Aleksej Kossighin, viaggiava frequentemente all' estero per partecipare a incontri internazionali, era buon amico di Aurelio Peccei, fondatore del Club di Roma, e apparteneva all' ala colta, europea e «cosmopolita» (esisteva anche quella) della dirigenza sovietica. Negli anni Ottanta aveva alte cariche pubbliche ed era direttore di uno degli istituti dell' Accademia delle scienze. Ma l' incarico che maggiormente gli piaceva era quello di vicepresidente di un «laboratorio» internazionale creato in Austria, a Laxenburg, nel 1972 e chiamato, con una denominazione piuttosto oscura, «Istituto per l' analisi dei sistemi applicati». Se il lettore vorrà consultare il suo sito (http://www.iiasa.ac.at) scoprirà tra l' altro che l' Istituto cerca di mettere a punto metodi che consentano di «gestire modelli complessi» e di calcolare il rischio di eventi che hanno potenziali conseguenze catastrofiche. Sinora si è occupato di clima, ambiente, risorse naturali, movimenti di popolazione. Domani - perché no? - potrebbe occuparsi dei grandi Stati. E potrebbe scoprire in tal modo che un evento minore e privo di qualsiasi significato politico può essere la causa scatenante di una catastrofe politica. Non sarei sorpreso ad esempio se l' istituto di Laxenburg scoprisse che lo smottamento dell' impero sovietico fu provocato da un evento naturale: il terremoto armeno del dicembre 1988. Mentre il «sistema complesso» dell' Urss cercava faticosamente di assorbire le riforme gorbacioviane e di ricomporre il proprio equilibrio, quell' evento ebbe l' effetto di suscitare la rabbia degli armeni contro le inefficienti strutture sovietiche e di contagiare tutti i latenti secessionismi sovietici, dal Baltico al Caucaso. I matematici dell' Iiasa potrebbero quindi sostituire gli storici? Solo in parte. Costretti a scegliere fra la verità e l' immaginazione, gli uomini continueranno a preferire le narrazioni seducenti e accattivanti, soprattutto quando escono da una buona penna. E la storiografia, dopotutto, è anche (forse soprattutto) letteratura.
Sergio Romano

Nessun commento: