lunedì 23 novembre 2009

Augusto Del Noce

Augusto del Noce quasi si vergognava della sua intelligenza, aveva pudore della sua profondità e la nascondeva sotto il velo affabile della sua cortesia. Quando parlava in pubblico non aveva un eloquio fluente, ma tormentato: partecipavi al travaglio di un parto, ma eri ammesso a vedere il lavorìo della sua intelligenza mentre forgiava i suoi pensieri e li sfornava davanti a te, caldi e ancora contorti. La sua scrittura era invece limpida ed efficace, nonostante non concedesse nulla ai tempi e alle vanità del filosofo. Del Noce morì alla fine dell’89, giusto vent’anni fa, e vide appena la caduta del Muro ma previde più di ogni altro l’esito mondiale e italiano del comunismo. Il passaggio dal comunismo al consumismo, e dal Pci al partito radicale di massa, fu descritto perfettamente da uno che poi non lo vide. Se n’è parlato nel fine settimana tra Roma e Cassino in un bel convegno a lui dedicato dal Cnr, con molte voci, da suo figlio Fabrizio a Buttiglione, dai delnociani della Fondazione a lui dedicata a Perfetti, de Mattei e altri, me compreso. Tutto nel silenzio assordante dei media. Eppure Del Noce l’inattuale ha compreso la nostra attualità più del suo amico e antagonista Bobbio o delle vulgate radicali, marxiste e neoazioniste. Provo a dire in quattro parole le ragioni della sua solitudine e della sua attualità. Mentre la cultura italiana definiva provinciale tutto ciò che nasceva in Italia e considerava, già prima dell’avvento di Berlusconi, il caso italiano come l’anomalia di un Paese che non era entrato nella modernità perché aveva avuto la Controriforma senza aver avuto la Riforma protestante, e perciò aveva avuto il fascismo, Del Noce considerava al contrario il nostro Paese come il paradigma dell’Occidente, il laboratorio in cui si sperimentò il difficile rapporto con la modernità, il marxismo, il fascismo. E, sul piano politico, mentre la cultura ufficiale del nostro Paese considerava il fascismo, con più indulgenza il comunismo e infine la Democrazia cristiana come tre cause di ritardo della modernità, tre resistenze al progresso, Del Noce, al contrario, ravvisava nel fascismo, nel comunismo e nella stessa Dc tre processi, assai differenti, di scristianizzazione del nostro Paese. Il fascismo combatteva molti degli avversari della cristianità ma restava prigioniero del suo attivismo irrazionale, della sua volontà di potenza e del culto della guerra e della violenza. L’italocomunismo, nella sua versione gramsciana, portava l’ateismo alle masse e concorreva allo sradicamento civile e religioso. Del Noce individuava nell’intreccio tra sinistra e poteri economici e ne la Repubblica di Scalfari i luoghi di passaggio dal comunismo, con il suo afflato religioso e la sua impronta popolare, ad un laicismo radical, cinico e neo borghese, di tipo liberal o giacobino. E la Dc, a cui pure Del Noce era vicino, lasciava che il comune sentire degli italiani, la cultura e il senso religioso, scivolassero dolcemente verso la scristianizzazione della società opulenta.

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