sabato 5 settembre 2009

Risus abundat

L’umorismo che per Kundera era “il fulmine divino che scopre il mondo nella sua ambiguità morale”, foriero di precarietà e tremende incertezze, oggi è stato sepolto dagli “amuseurs”, sotto la lapide della loro ilarità perpetua. Il riso dell’umorista sfidava la muta, quello degli addetti al continuo divertimento di massa invece la scatena: il primo era una forma di dubbio, che scuote le certezze dell’ideologia, mentre il secondo è un verdetto che taglia le teste di chi è in alto e punisce a colpi di caricatura tutti i retrogradi e i reazionari che col loro anacronismo contravvengono alla malizia dello spirito del tempo. Cos’è successo per essere arrivati a tanto? “Difficile da capire”, dice Finkielkraut. “E’ una delle incrinazioni teratologiche della passione egalitaria, che io certo condivido, pur riconoscendo che può assumere forme spaventose o oscene. L’attuale spirito di derisione testimonia il rifiuto di ogni forma di trascendenza. E’ come se la bellezza, l’esigenza, la grandezza fossero un insulto all’eguaglianza, ma in questo modo il riso chiude la parentesi dell’umorismo e torna alle sue origini barbariche. Il riso è, sì, proprio dell’uomo, ma il barbaro, come l’uomo contemporaneo, ride delle differenze, delle difformità, di tutto ciò che lo allontana dalle sue certezze. E’ come se desse la caccia alla grandezza e vendicasse la mediocrità dall’affronto che la superiorità le infligge”. ... Noi siamo soggetti a un regime di ilarità permanente, che si avvolge negli orpelli dell’umorismo, mentre lo sta uccidendo. L’impostura consiste nel presentare come resistenza al potere politico l’espressione di un potere ben più forte com’è quello dell’opinione, privo di limiti e contropotere. Tant’è che di tutto si può ridere tranne che di quelli che fanno ridere, i quali, se vengono criticati, gridano alla censura”.
M.Valensise

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