Nel linguaggio e nel sentire comune prevale la connotazione negativa delle crociate.
«Sarà qualche anticorpo illuminista che abbiamo ancora in circolo? Battuta a parte, allo storico spetta capire e non giudicare perché nel Medioevo si diffuse questa forma sui generis, anche violentissima, di pellegrinaggio in Terra Santa fatto da gente che ci credeva davvero. Erano uomini pronti a rischiare la vita, a stare lontani da casa per anni, con concrete probabilità di non tornarci, per rivivere la Passione di Cristo, per penitenza, perché pensavano che l’esistenza avesse un senso che andava al di là degli interessi materiali quotidiani».
Le crociate furono guerre creative?
«La guerra non è mai creativa in sé. È un fenomeno complesso, doloroso e devastante. Sovente, va detto, stimola la creatività degli uomini che la fanno».
Per questo la affascina?
«La storia è interessante perché rappresenta un’enorme casistica di comportamenti umani: ci dice molto di noi. Restando alla guerra, i documenti dimostrano che si è sempre fatta, che è stata sempre considerata importante nella società e che si sono tributati sempre onori ai combattenti. Se nemmeno il primo Cristianesimo ha potuto estirparla, dovremmo convincerci che si tratta di un aspetto del genere umano con cui faremo i conti in eterno».
Alessandro Barbero: ha appena pubblicato Benedette guerre. Crociate e jihad (edito da Laterza nella collana dei Libri del Festival della Mente, pagg. 95, euro 10), brillante riflessione storica sulle guerre di religione.
Da aggiungere a "i meglio libri".
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