mercoledì 30 dicembre 2009

La scuola oggi / letteratura

La letteratura moderna si ferma a Svevo e D’Annunzio (Calvino come lettura estiva, baroni rampanti, visconti dimezzati e città invisibili da propinare sempre, fin dalla culla), e non esce quasi mai dai confini: Proust, Joyce, Flaubert, Kafka, Musil, Valéry sono nomi misteriosi, nella mente restano impressi solo I Promessi Sposi di Manzoni, in versione molto provvidenzialistica e linguisticamente formativa (grande enfasi alle «risciacquature in Arno» per dare una lingua al Paese, quasi che Alessandro fosse una lavandaia morale e come se Leopardi se ne sbattesse della lingua), e la Divina Commedia di Dante, come canone obbligatorio da accettare acriticamente e non rileggere mai più, infatti Benigni che legge Dante fa felice tutti: ci si sente più colti senza troppa fatica. Si privilegia il prodotto nazionale, perfino di Shakespeare, tra i massimi vertici della letteratura mondiale, resta un «essere o non essere» e, bene che vada, Romeo e Giulietta. Al massimo rimane in mente qualcosina di Pirandello, il Mattia, l’uomo dal fiore in bocca, uno nessuno centomila, rigorosamente in chiave freudiana spicciola, perché ci sarà scappata senz’altro una recita scolastica o un evasivo matinée al teatro comunale. Si rammemorano, per il resto, qualche uccellino di Pascoli, la gamba di Maroncelli di Pellico, i sepolcri di Foscolo, tutto letto in una dimensione frignona e lamentosa. Per cui ci si dilunga sul Didimo Chierico e sull’Ortis e si ignorano Sterne e Goethe, per il provincialismo di non rivelare quanto eravamo provinciali. (A Napoli stessa minestra, ma condita in versione meridionalistica: i più colti, come i miei zii napoletani, dalla Commedia dell’Arte arrivano a Eduardo come massima espressione artistica, i più giovani, come i miei cugini napoletani, partono da Nino D’Angelo e Arbore e arrivano a Gigi D’Alessio).Leopardi ridotto a poeta lunare del «pessimismo cosmico» (lo Zibaldone non esiste, la gente corre a Recanati per piazzarsi di fronte alla siepe e sperare di vedere l’infinito), per cui poverino, era brutto e gobbo e sfigato, fosse stato bello avrebbe pensato come Zequila o Belén Rodriguez. Non per altro la letteratura è «narrativa», non ha nessuna funzione conoscitiva, è il racconto di una storia («Hai letto il libro?», «No, ho visto il film»). Ecco perché quando dico che scrivo romanzi chiedono tutti «di che genere?», poiché la scuola italiana, anziché insegnarti che se un romanzo è di genere non è arte, ha inculcato il contrario: ogni romanzo appartiene a un genere (e in genere a un colore: giallo, rosa, noir...). Se siete abbastanza consapevoli e arroganti, come me, rispondete: «Lo stesso genere di Proust». Però se vi va male e l’interlocutore è un lettore del Corriere Magazine, potrebbe rispondere «Ah, ho capito... lo stesso di Piperno?».

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