Le passioni possono ucciderti e sopravviverti. Ciò che ami corrisponde a ciò che potrà ferirti e finirti, e l’oggetto d’amore è detentore di un potere che potrà darti la morte. Tutto questo è accademia.
Georges Bizet nacque a Parigi nel 1828 e si rivelò musicalmente dotatissimo, aveva un orecchio innato e prima ancora dell’alfabeto imparò le notazioni musicali. Non bastò. La sua prima opera andò malissimo ed entrò in un cono d’ombra. Tentò una vita ordinaria, si sposò, compose qualche abbozzo d’opera, ci provò. Ma non ne fece nulla. Sbarcò il lunario, fece il maestro di pianoforte, declamò poesie. Nel 1858 scrisse al fratello: “Ci sono due tipi di genio: il genio della natura e il genio della ragione. Anche ammirando immensamente il secondo, non ti nasconderò che il primo ha tutte le mie simpatie. Sì, ho il coraggio di preferire Raffaello a Michelangelo, Mozart a Beethoven. Quando sento le Nozze di Figaro o il secondo atto del Gugliemo Tell sono completamente felice, sento un benessere, una soddisfazione completa, dimentico tutto”.
Nella sua vita, poi, entrò una donna. Anzi: entrò la donna; i suoi fantasmi e le sue proiezioni del rimosso, la donna, la sua fondamentale ambivalenza del sentimento, quel doloroso intreccio di slancio e di rinuncia, di oblazione e di sadismo, di adorazione e di odio, la donna portatrice di infinite promesse di appagamento e di risarcimento, promesse non mantenibili che un giorno diverranno tormento e disillusione. Sono opposti psichici che solo la passione può riunire. Per Georges Bizet tutto questo prese il nome di Carmen, donna che pure non esisteva.
Carmen era solo una creatura letteraria di Prosper Mérimée, un poeta che in Spagna aveva frequentato nobili e principesse e così pure toreri e gitani e mendicanti; a Siviglia aveva visitato delle manifatture di tabacco, là dove nella sua immaginazione era nata Carmen.
Georges Bizet lesse Mérimée e ne rimase folgorato. Fu amore a prima vista, non pensò più ad altro: lo consumò il medesimo fuoco d’amore che pure avrebbe consumato i protagonisti della sua opera ventura. Carmen divenne la femmina che preferisce morire piuttosto che costringere il suo cuore alla menzogna, la femmina che ama e che ama, capace di darsi con tutta se stessa come l’uomo mai potrebbe, fisicamente ed emotivamente, Carmen, animale selvaggio e immorale, schiavo dell’istinto, donna di terra e perciò priva di quella stronzetteria di buon ceto d’origine che sovente accompagna la noia di vivere di certe nate fortunate, signore e signorine che tuttavia ti raccontano abbiano avuto vite tormentate e difficilissime.
Bizet fu preso da ossessione, pensò solo alla sua nuova opera, cambiò e ricambiò di continuo il testo, presenziò a ogni prova, si disfece di ogni cliché, seguì strade nuove, scelse una cantante sanguigna che conosceva la danza e che potesse trascinare nel proprio vortice. Durante le prove accadde di tutto, la cantante si ferì con un coltello, il direttore dell’Opéra Comique si lagnò per un’opera sicuramente mai vista – ambientata in una fabbrica di tabacco – e si rivolse al ministro dell’Interno perchè assistesse alla prova generale prima di presenziare alla Prima. I giornali s’impossessarono della notizia e crebbe l’attesa.
Ma il 13 marzo 1875 fu ressa e delusione: il pubblico non vide una cangiante Grande Opéra, macchè, c’era un’accozzaglia di cenciosi, non piacque soprattutto quell’operaia insolente e dai fianchi ondeggianti, quella dissoluta impunita che sfrontatamente cantava “voglio essere libera anche nella morte”. Non era tempo.
Bizet fu consumato dal medesimo fuoco d’amore che per un attimo l’aveva elevato al rango di creatore. Non sopravvisse a Carmen. Si ammalò definitivamente proprio nei giorni della Prima, nel marzo 1875. Contrasse ogni tipo di malattia psicosomatica e si fece ansioso e bulimico. Il cuore gli dava dei problemi. Cercò di rimettersi a lavorare non vi riuscì più. Diede alle fiamme ogni suo progetto residuo e cìò accadeva mentre andava a fuoco anche l’Opéra Comique, di cui non rimase che cenere. Il rogo acceso da Carmen stava divorando tutto. Morì quattro mesi dopo la Prima, all’inizio di giugno, proprio nell’ora in cui a calava il sipario del suo ultimo spettacolo. Georges Bizet aveva 37 anni. Fece giusto in tempo ad apprendere che la Corte di Vienna aveva acconsentito a rappresentare la sua Carmen, ma non seppe mai che ne sarebbe cominciata la marcia trionfale in tutta Europa. L’opera tornerà a Parigi solo otto anni più tardi, e gli applausi stavolta saranno indescrivibili. Nietzsche dirà: è musica perfetta. Brahms, Stravinskij, Mahler e Ciaikovskij grideranno alla perfezione. Carmen.
Bizet non le sopravvisse. Le sue ultime parole, poco prima di morire, furono: “Carmen, perché?”.
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