...quando l’Elefante, il protagonista di Fratelli d’Italia, va a Napoli, leggiamo nell’edizione meridianizzata del 1963: «Io poi a Napoli vorrei starci sempre il meno possibile. Mai combinato niente e sempre litigato con tutti. Una depressione, sempre. Veramente è una città che non mi dice niente, perciò trovo inutile venirci. Non so cosa farmene del solo mediterraneo e dell’eredità classica e dell’architettura normanna e delle semplici gioie della vita contadina e della pizza alla pescatora. Commedia dell’arte, per me no, grazie». Nel 1976 il brano si allunga, l’opera è simile a una chiesa in cui compaiano nuove arcate, nuovi capitelli, più raffinate cesellature, bifore sulle trifore già installate, barocchi update autoironici, autostoricizzanti, autoscompattanti; l’ultima frase citata diventa quindi «Commedia dell’arte, no grazie, mi fa vomitare», mentre nella riscrittura del 1993: «Commedia dell’Arte, per me, no grazie (devo mettere un piccolo sticker sulla macchina?), mi fa eruttare sul golfo sfasciato: se si ricorda che era la Copacabana dei classici e dei romantici...».Ho citato a caso, non prendetelo per un antimeridionalista, lo è a tutti gli effetti, come però ne ha per Roma, per Milano, per Londra, Berlino o New York o Los Angeles, perfino per Parigi (o cara), perché tutto mondo è paese e ogni paese è un paese piccino picciò per signore mie, al cospetto dell’Elefante.
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