Piero Bocchiaro, psicologo e autore del libro «Psicologia del male», come ha reagito vedendo le immagini di Napoli, con l’uomo agonizzante nell’indifferenza generale?
«Amarezza ma nessuna sorpresa. Sono immagini assolutamente simili se non sovrapponibili a tutti gli episodi con una situazione di emergenza e un gruppo di persone che si allontana senza far nulla».
Come cataloga queste situazioni nel suo libro?
«Inerzia dello spettatore. Il libro cerca di spiegare i motivi per cui la gente comune agisce in modo malvagio. La spiegazione classica è: chi non agisce è indifferente, cinico e sadico. In realtà quasi mai la malvagità dipende dalla personalità del soggetto ma dal contesto immediato in cui si trova».
Quindi chiunque di noi può compiere il male, anche il più buono?
«Chiunque, se si mettono insieme una serie di ingredienti situazionali. Perché ci sono forze molto subdole ma molto potenti che costringono la gente ad agire fuori dagli schemi».
Non è una tesi giustificazionista?
«Qualcuno potrebbe pensarlo. In realtà nel libro scrivo che chi produce male è sempre responsabile. Sia nell’azione che nell’inazione».Le differenze culturali, gli studi, l’estrazione sociale influiscono?«Non ci sono dati precisi, ma studi analoghi inducono a dire di no».
... studi dimostrano che il fattore principale è la diffusione della responsabilità. Davanti all’emergenza, se sono solo penso: mi tocca. Se c’è altra gente mi chiedo: perché proprio io? Anche il biasimo che deriverà dalle conseguenze dell’inazione si distribuisce tra gli astanti».
C’è altro, oltre alla responsabilità diffusa?
«Altre forze rendono l’inazione il comportamento più frequente. Il fattore tempo: ha senso reagire all’emergenza con un soccorso immediato, ha meno senso se passa tempo: uno, due, tre minuti. Ciascuno di noi ama sentirsi coerente: se decidi di intervenire dopo un po’ di tempo, devi mettere in discussione quello che hai fatto prima. Devi trovare una spiegazione: perché solo ora? Poi c’è “la credenza in un mondo giusto”: gli astanti tendono a ipotizzare che la vittima possa essere responsabile di qualcosa, in qualche modo se l’è cercata. Le ricerche lo riscontrano per esempio per donne stuprate o picchiate dai mariti: nessuno lo ammette esplicitamente, ma agisce nel profondo».
Non c’entra anche la paura? Se spara la camorra si rischia la propria incolumità.
«C’è anche la sfera dei rischi fisici. Ma prevalgono quelli psicologici: eventuale coinvolgimento in interrogatori successivi. La responsabilità del soccorritore è un altro fattore inibitorio: c’è la convinzione per cui se io intervengo, la gente penserà che ho qualcosa a che fare con quanto è successo».
Come definirebbe «l’eroe»?«L’eroismo è l’altra faccia del male. L’eroe non è un superumano, uno dalle doti straordinarie o con una particolare propensione altruistica. Diceva Perlasca: l’occasione fa l’uomo ladro, di me ha fatto una cosa diversa».
La pupa e il secchione
2 mesi fa
3 commenti:
Davvero interessante. Spiegazioni finalmente nuove (e soprattutto scientifiche) sul male. Mi piacerebbe saperne di più sul tema.
"La malvagità non è appannaggio esclusivo di individui deviati o pazzi; chiunque può infierire contro un altro essere umano, perché questi erano gli ordini o semplicemente perché ne ha avuto l'occasione. La tradizionale (e semplicistica) dicotomia tra Bene e Male è sicuramente più comoda, poiché permette un orientamento facile negli intrecci della morale e una identificazione immediata dei cattivi: "loro" sono i responsabili di crimini e violenze, i personaggi da tenere a distanza; "noi", incorruttibili, abitiamo dalle parti della moralità. Le evidenze della psicologia sociale raccontano però un'altra storia, basata su dati, numeri, evidenze sperimentali che rendono lo scarto tra "loro-cattivi" e "noi-buoni" sempre più sottile, fino ad annullarlo del tutto. Non esistono individui totalmente virtuosi, altruisti, sensibili e altri interamente disonesti, egoisti, distaccati. In quanto esseri umani siamo un po' tutto questo, anche se la ripetitività della vita ci impedisce di prenderne atto: osserviamo noi stessi e gli altri nei soliti contesti, lasciamo che siano i ruoli sociali ad interagire; l'esito comportamentale non può che essere prevedibile e coerente alle aspettative. Diventa invece impossibile pronosticare ciò che sarà di noi e degli altri quando le dinamiche situazionali si rimescolano in modo da creare condizioni nuove e impreviste." Questa la descrizione del libro di Bocchiaro. Non conosco bibliografia recente sull'argomento, ma appena la trovo la posto volentieri. Di natura preferisco le spiegazioni filosofiche a quelle scientifiche sul male. Devo aggiornarmi.
Ah, il 29 novembre 2007 scrivevo questo:
http://stefanocicetti.blogspot.com/2007/11/crimini-di-successo.html
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