lunedì 27 luglio 2009

Noi siamo l'Eurabia

Per gentile concessione mia, visto che l'articolo e' a pagamento.

L’eurabia è dentro di noi

Per Newsweek non esiste. Ne parliamo con Bat Ye’or la studiosa che ha coniato il termine Al di là dei numeri, è il destino di “un continente in balia della paura e del silenzio”

William Underhill di Newsweek avrebbe potuto leggersi le statistiche dei delitti d’onore in Germania e discuterne con Seyran Ates, l’avvocatessa di Berlino che ha chiuso lo studio legale dopo l’ultima aggressione subita a una fermata del metrò. Seyran era con una cliente musulmana che voleva divorziare dal marito. Lui le pesta entrambe, gridando “hure!”, puttana. A pochi chilometri da lì avrebbe potuto visitare la Deutsche Oper, che ha cancellato dalla stagione lirica l’Idomeneo di Mozart per timore di rappresaglie islamiste. Sempre a Berlino avrebbe potuto parlare con il direttore del quotidiano tedesco Die Welt, Roger Köppel, che stava per essere pugnalato a morte da un giovane ingegnere di origine pakistana entrato nel suo ufficio armato di coltello. Avrebbe potuto studiarsi i numeri delle “ragazze scomparse” in Inghilterra, vittime dimenticate delle centinaia di matrimoni forzati che Benjamin Whitaker, in un rapporto per le Nazioni Unite, ha inserito tra le nuove schiavitù.
Avrebbe potuto andare a Stoccolma e prendere tra le mani una t-shirt di gran moda fra i giovani musulmani: “2030 – Poi prendiamo il controllo”. Avrebbe potuto vedere come nella penisola scandinava, austera e lontana, dove durante la guerra si ebbero straordinari gesti di protezione degli ebrei, a Stoccolma, Göteborg e Malmö, prima città europea a maggioranza islamica, le comunità ebraiche sono costrette a spendere un quarto del budget in misure di sicurezza. Lì avrebbe scoperto anche il cadavere di Samira Munir, la politica norvegese di origine pakistana minacciata di morte dagli islamisti per la sua difesa dei diritti delle donne. Il suo corpo è stato trovato non lontano dal centro di Oslo.

A Copenaghen avrebbe potuto far visita a Kurt Westergaard, il vignettista che disegnò Maometto col turbante-bomba e che oggi deve vivere con un sistema di protezione che allerta la polizia in caso di pericolo. Avrebbe potuto recarsi a Bruxelles e apprendere che il primo nome dei nuovi nati non è più da molto tempo François, ma Mohammed.
Avrebbe potuto fare un salto in Italia, dove ci sono circa trentamila donne musulmane che hanno subìto la mutilazione genitale. Qui, in mezzo a noi, ora. Avrebbe potuto vedere con i propri occhi come la croce rossa di San Giorgio sia scomparsa da aeroporti, taxi e pompieri in Gran Bretagna su pressione islamica. La stessa Gran Bretagna che oggi vede triplicare il numero delle corti islamiche. Avrebbe potuto andare nella moschea El Mouchidine di Osdorp, in Olanda, dove l’imam ha gridato “cani infedeli” ad alcuni studenti appena arrivati in gita scolastica davanti alla locale moschea. Da lì avrebbe potuto passare per Rotterdam, con i suoi quartieri segregati come monoliti e con i minareti dai quali si incita all’uccisione degli omosessuali. Già che c’era avrebbe potuto intervistare quell’insegnante di scuola elementare a Mozaiek che ha raccontato come i suoi studenti musulmani, in visita al museo Anna Frank di Amsterdam, le abbiano detto che “i nazisti avrebbero dovuto uccidere più ebrei”. Nella stessa città dove, oltre a Galileo, arrivarono gli ebrei spagnoli in fuga dall’Inquisizione e oggi invece regna la paura più glaciale. Avrebbe potuto sfogliare la fitta black list di scrittori, artisti, professori, giornalisti e politici minacciati di morte dal fondamentalismo. Pochi mesi fa, all’uscita da un supermercato, un islamista ha aggredito Robert Redeker, il filosofo francese costretto a nascondersi nel proprio paese per un articolo scritto tre anni fa: “Sei Redeker, hai insultato l’islam. Sei un mascalzone. Sei protetto, altrimenti finiresti male”.

William Underhill di Newsweek non ha fatto nulla di tutto questo. Perché, in piena legittimità, ha preferito esercitare una potenza rassicurante e dissuasiva su milioni di lettori del grande settimanale americano. Il giornalista americano ha cercato di spiegare che “Eurabia” è un mito, uno spauracchio,“una speculazione basata sulla speculazione”, una finzione costruita ad arte, la proiezione allarmista di una manciata di studiosi e politici della “far right”. La destra nasty, cattivissima, sporca, intollerante e xenofoba in cui secondo il cronista di Newsweek tutto si equivale, dal filoisraeliano e atlantista Geert Wilders all’antisemita, negazionista dell’Olocausto e suprematista bianco Nick Griffin del British National Party.
Dell’Eurabia il Foglio è andato a parlarne con la grande studiosa che ha coniato quel termine, ripreso e reso incandescente da Oriana Fallaci qualche anno dopo. Si tratta di Bat Ye’or, resa famosa in tutto il mondo da “Eurabia” (Lindau), ormai un modo di dire per indicare il rischio che l’occidente corre. Nel dicembre del 2002 apparve su Internet un suo articolo, tradotto in diverse lingue, dal titolo “Le dialogue Euro-Arabe et la naissance d’Eurabia”. Oriana Fallaci ne rimase folgorata e rese celebre questa storica durissima. In molti altri ripresero la tesi di Bat Ye’or, a cominciare da Niall Ferguson e Bernard Lewis. Nata in Egitto, cittadina britannica, residente in Svizzera, Bat Ye’or l’Eurabia la chiama anche “dhimmitude”, da dhimmi, cioè sottomessi, come venivano definiti i cristiani e gli ebrei che dall’ottavo secolo sono stati obbligati alla tassa sulle minoranze.

La dottoressa Rachel Ehrenfeld, una delle autorità mondiali in materia di finanziamento occulto al terrorismo e direttrice dell’American Center for Democracy di New York, nel suo libro “Funding Evil” ha seguito le tracce lasciate dalle varie organizzazioni non governative che servono da facciata per l’incanalamento dei fondi occulti verso l’islamismo in Europa. Il suo libro venne pubblicato negli Stati Uniti dalla casa editrice Bonus Books. Dopodiché Ehrenfeld riceve una email spedita dagli avvocati inglesi di un milionario saudita da lei citato, in cui le intimano, fra l’altro, di togliere dalla circolazione e distruggere tutte le copie invendute del libro, scrivere un pubblica lettera di scuse e fare una donazione a un ente di carità indicato dai sauditi. Per intentare la causa di diffamazione contro Rachel Ehrenfeld, ai sauditi basta acquistare una ventina di copie del libro “Funding Evil” su Internet e farsele recapitare in territorio inglese. La battaglia legale, durata due anni, è terminata il 20 dicembre 2007 alla Corte d’Appello dello stato di New York. Ehrenfeld è stata condannata.
Il caso Ehrenfeld è pura Eurabia. “Se William Underhill cervava di contestare la crescente influenza islamica in Europa e la sua ostilità ai valori occidentali, ha fallito”, dice al Foglio Rachel. “Sostiene che le proiezioni demografiche sui musulmani come maggioranza in Europa nel 2025 sono false. Ma quali studi porta a suo favore?”. E comunque “il vero problema non è la demografia, ma l’imposizione di norme basate sulla sharia e che contraddicono la società libera, democratica e capitalista”. Come nel suo caso. “Il reporter di Newsweek ignora l’influenza politica, finanziaria, sociale e culturale, la rapida espansione della sharia basata su istituzioni finanziarie in Europa. I leader islamici in Europa non propongono integrazione, ma cinque volte al giorno incitano alla distruzione degli ‘infedeli’ che hanno aperto loro la porta. E distruzione non significa necessariamente violenza, ci sono molti modi per indebolire ed eliminare la cultura e i valori occidentali. Fondi sauditi o provenienti da Golfo, filantropia islamica e fondi finanziari di Hezbollah e Hamas, Hizb ut-Tahrir e Al Muhajiroun, per citare soltanto alcune organizzazioni terroristiche internazionali, stanno esportando la sharia nella vita di tutti i giorni in Europa. La politica stessa degli europei riflette l’influenza islamica. I discorsi dell’odio contro gli ebrei sono in crescita, così come ogni critica dell’islam e dei musulmani è proibita. Questa non è l’Europa liberale di dieci anni fa”.
Ciò che non emerge dall’analisi di Newsweek è la sottomissione delle donne musulmane europee. Psicologa alla City University di New York, Phyllis Chesler è una madrina del movimento femminista (il suo “Le donne e la pazzia”, è stato un libro di culto alla fine degli anni Settanta). “Bat Ye’or ha ragione quando descrive Eurabia”, dice Chesler al Foglio. “Perché mentre molti immigrati musulmani amano l’occidente, ce ne sono altrettanti ostili alla modernità, alla democrazia, agli ‘infedeli’. Non vogliono assimilarsi o integrarsi. Hanno il compito di convertire i dhimmi e governare lo stato secondo la sharia. Vivono in Europa, ma è come se non avessero mai lasciato il Pakistan, la Turchia, l’Afghanistan, l’Algeria. Hanno creato un universo parallelo, pericoloso per l’Europa. In questo senso l’islam è il più grande esecutore al mondo di un apartheid di genere e religioso. Donne in burqa, niqab, hijab, sono ovunque nelle strade europee. I delitti d’onore infestano l’Europa e, come ho sempre cercato di dimostrare, sono omicidi ben diversi dalla violenza domestica dell’occidente. L’Europa ha accolto il flusso di immigrati ostili per dimostrare che non era ‘razzista’, che non erano stati gli europei a uccidere sei milioni di ebrei. Oggi si ritrovano così a giustificare l’olocausto di Israele predicato dai musulmani”.

Arriviamo a lei, la teorica di Eurabia, Bat Ye’or. “La copertina di Newsweek e l’articolo di William Underhill pretendono di spiegare che l’emergenza dell’Eurabia è una speculazione. Ma Eurabia esiste, viviamo nell’Eurabia, non è il domani, ma oggi, qui. Eurabia rappresenta un’ideologia che, per raggiungere i suoi obiettivi, fa leva su numerosi strumenti strategici, politici e culturali. E’ un nuovo ‘spazio della dhimmitudine’ creato dai politici, dagli intellettuali e dai media europei, Eurabia è un’entità culturalmente ibrida, fondata sull’antioccidentalismo e sulla giudeofobia. Quando le sinagoghe e i cimiteri ebraici devono essere sorvegliati come nei paesi islamici dove i mausolei cristiani ed ebraici sono distrutti perché la libertà di espressione e di fede non è un diritto costituzionale, questa è Eurabia. Il dialogo euro-arabo ha importato in Europa la tradizione anticristiana e antiebraica dell’islam inscritta nell’ideologia jihadista da tredici secoli. Quando in Europa critici dell’islam, musulmani e non musulmani, devono nascondersi o vivere sotto la protezione delle guardie del corpo, come Geert Wilders e molti altri, questa è Eurabia. Le celebri caricature di Flemming Rose, riprese anche da altri giornali, a cui hanno fatto seguito le minacce di morte al filosofo francese Robert Redeker, autore di un articolo, ritenuto blasfemo, apparso su Le Figaro il 19 settembre 2006, hanno esasperato l’opinione pubblica. Quando l’insegnamento nelle università, nella cultura, nell’editoria viene controllato in gran parte dalla Anna Lindh Foundation o dalla Alleanza delle civilizzazioni (strumento dell’Organizzazione della conferenza islamica, ndr), questa è Eurabia. Quando i bambini ebrei non possono frequentare una scuola pubblica senza essere aggrediti e i ragazzi ebrei sono minacciati per strada, o rapiti e uccisi come il francese Ilan Halimi, questa è Eurabia. Quando dimostrazioni islamiche di massa nelle città europee invocano la distruzione di Israele, questa è Eurabia. I nostri multiculturalisti non ci danno le chiavi per conciliare i valori della sharia con quelli della laicità europea, i contenuti della Carta islamica dei diritti umani con quelli della Dichiarazione universale, l’espandersi dell’imperialismo islamico e i principi di libertà e uguaglianza tra i popoli e tra i sessi”.

Nell’analisi di Bat Ye’or, Eurabia è un continente in balia della paura, del silenzio, della dissimulazione e della diffamazione, che non ha ormai più niente a che vedere con l’Europa che conoscevamo. “Eurabia è un coacervo di società lacerate tra la xenofobia, il desiderio di riscatto, l’autodifesa e la disperazione, nel graduale sfaldarsi dei loro leader politici, disperatamente aggrappati ai cliché che hanno costruito in trent’anni. Eurabia esiste laddove ci sono donne velate e le leggi della sharia sono applicate, quando l’ideologia islamica e antisionista fiorisce, dove le istituzioni democratiche non sono che il ricordo scarnificato del proprio passato”.
Da alcuni anni la morsa dell’apartheid politico, economico, culturale, artistico e scientifico di Eurabia si è stretta intorno a Israele. Di questo Newsweek non parla affatto. “E’ stata la questione palestinese lo strumento utilizzato dal jihad per disgregare l’Europa: essa ha costituito infatti il fondamento e l’impianto organico su cui è sorta Eurabia, il cuore dell’alleanza e della fusione euroarabe, germogliate sul terreno dell’antisionismo. Ora, i rapporti tra Europa e Israele, cristianesimo ed ebraismo, non investono soltanto l’ambito geostrategico, ma rappresentano il vincolo ontologico e la linfa vitale di tutta la spiritualità dell’Europa cristiana. Israele, infatti, si è costruito sulla liberazione dell’uomo, mentre la dhimmitudine lo imprigiona nella schiavitù. Eurabia è figlia del ‘palestinismo’ e non mi meraviglierei se un giorno, sotto la bandiera dell’Eurabia palestinizzata, i soldati eurabici corressero a sterminare in Israele i discendenti della Shoah. Il secondo Olocausto sarà chiamato: ‘Pace, amore e giustizia per la Palestina’ e ‘Liberazione dall’apartheid’”.
Leggendo Newsweek e gli altri campioni del giornalismo liberal si capisce quanto l’America sia ben lontana per capire Eurabia, che è un’idea e un destino più che una geografia o un flusso migratorio. L’oceano separa le certezze ireniche di William Underhill dalla paura che striscia nelle nostre città. Sebbene proprio in Eurabia sia nato l’11 settembre 2001. In un quartiere di vecchie case d’anteguerra in mattoni rossi, in una larga e squallida strada che fronteggia una ringhiera di sbarre. E’ a Wilhelmsburg, il quartiere industriale di Amburgo, in tre locali al terzo piano, che abitava e pregava Mohammed Atta, il capo degli attentatori delle Twin Towers. Furono pianificate in Eurabia quel milione di tonnellate di detriti e tremila esseri umani trasformati in un mucchio di rovine fumanti.

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