Giorgio Napolitano non aveva detto fino a ieri una sola parola, nemmeno indiretta, sul grande scandalo a sfondo sessuale di cui si nutre la vita pubblica italiana, con ampi riflessi internazionali, ormai da due mesi. E’ un uomo della politica, e della sua variante istituzionale, il capo dello stato; e non gli verrebbe mai in mente di mescolarsi con roba simile, con inchieste e domande pruriginose, con temi pubblici che nascono da una separazione, da fatti privati, da propalazioni incontrollabili o, di volta in volta, fin troppo realistiche e non poco sboccate. Insomma, la Repubblica che finisce a puttane, come si direbbe nel trivio. Ieri però, a sorpresa, Napolitano ha solennemente affermato che, con tutto il rispetto per i politici dichiaratori e i giornali impiccioni, prudenza vorrebbe che intervenisse una tregua, almeno in vista del G8, il meeting dei grandi presieduto dal nostro presidente del Consiglio (per la terza volta).
Oggi dovremmo leggere un cubitale e sonante “no” di Repubblica e Corriere al capo dello stato, naturalmente in nome della libera informazione, del diritto del pubblico a sapere tutto, diritti che non sono disponibili nemmeno per la ragion di stato. Non succederà, molto probabilmente, e la risposta sarà imbarazzata, elusiva, attenuata. Quando un’inchiesta esce dai binari del possibile professionale, e si trasforma in un’orgia di rivelazioni “ultrapiccanti”, come direbbe il Cav., la sua sorte è segnata. La libertà e la prudenza sono in antitesi nella retorica deontologica e nella demagogia civile, nella realtà sono parenti strette.
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