C’è qualcosa di marcio nel moralismo machofobico di certi ambienti cattolici che stanno sempre lì a far “sociologia comprendente” intorno alle famiglie superallargate, scisse, sghembe, single o di vario altro disordine, prosternandosi a ogni forma di desiderio che sgorga dalle coscienze, cattolici che ci spiegano compunti la qualunque eterologa, che arieggiano romanticherie di passaggio sui diritti delle persone conculcati dall’ottusa morale ratzingeriana e wojtyliana. Ma anche tutta questa bella gente dell’Espresso e dintorni, questi giornalisti laici bigami, trigami o in quadricromia, gente che si vanta, che si compiace di sé, che conquista e stende prede sessuali a più non posso, ora se la tirano da protocolli istituzionali viventi, si alleano con la cosiddetta (da loro) sessuofobia dei preti, mostrano di detestare negli altri quello che alberga in loro, che loro teorizzano quando partono in crociata contro noi bacchettoni, insomma il sesso come piacere disancorato da promesse d’amore, come allegria totalmente disinibita, come festa panica e idolatrica, come esibizione narcisista di potenza e primato, come raccolta dongiovannesca di infinite possibilità in attesa della resa dei conti asessuata e finale, la statua del Commendatore o del Cumenda.
E’ tutta una cultura politicamente corretta, fondata non sulla realtà degenere della misoginia, ma sull’idealizzazione mitica sociologizzante della violenza contro le donne, dello stupro, del machismo, del prepotere fondato sulla odiosa penetrazione e mescolato variamente con le altre potenze del male metastorico, come il denaro e l’autorità paterna, sia pure di papi. In questa orgia vera di fottutissime e morbosissime idee correnti non c’è spazio per capire che cosa sia il patronage, il rapporto di uomini o di donne importanti, in età, con persone più giovani che coltivano sogni impossibili da realizzare senza la guida e la protezione dei loro maggiori. Tutto si risolve, nonostante mille prove in contrario, nell’immaginazione libidinosa e violenta che prevede lo stato di accusa, una improvvisa recrudescenza e reviviscenza del senso del peccato, parola peraltro dimenticata quando significhi davvero qualcosa. In aggiunta, la volgarità del pensiero giovanilista e brutale che accusa: sei vecchio, fa’ la calza, vade retro.
Caro Cav., dia retta, si ricordi di quel che diceva di lei il compianto Enzo Biagi: “Se potesse, si metterebbe al posto dell’annunciatrice e si farebbe crescere le tette”. Si finga gay, e saranno applausi.
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