mercoledì 3 dicembre 2008

Spingitori di bottoni

Durante i decenni della prima Repubblica, democristiana e cattocomunista, di centrosinistra o di altra formulazione fantasiosa, il Parlamento era fortissimo, erculeo, e i governi erano fragili e malaticci, moribondi.
I capibastone dei partiti e delle correnti facevano e disfacevano governicchi pallidi rachitici che duravano meno d’un anno: era il regno della correntocrazia, della partitocrazia, della democristianeria e la politica si svolgeva tutta fra i sussurri e i fruscii nel Transatlantico di Montecitorio, giustamente definito il salone dei passi perduti.
E oggi? Oggi i giornalisti – milioni di giornalisti accreditati perché siti internet, tv regionali, locali, satellitari, urbane, suburbane acquatiche terrestre lacustri sono tutte accreditate con le loro radio – non hanno interlocutori e si affollano come sciami di api quando vedono un leader riconosciuto.

E non gli pongono domande: allungano un microfono come un imbuto e sperano che dentro ci finisca qualcosa. I giornalisti ormai non fanno domande. Pronunciano delle parole introduttive e porgono l’imbuto. Se vedono un capogruppo, un leader, si affollano stancamente.
Oggi l’esecutivo è fortissimo, fa e disfa il Parlamento. Ieri il Parlamento faceva a pezzi i governi. Oggi le parti si sono invertite. Di conseguenza il Parlamento è diventato un salotto, non corrono grandi odi, non si vedono lampeggiare le lame. Le folle esterne reclamano la gogna per i pianisti, e il Presidente della Camera gli promette le impronte digitali.
Io ho detto che mi rifiuterò – per il decoro del Parlamento, non del mio – e ho controproposto la macchina della verità, così, per divertirsi un po’: cominciamo dalle domande semplici tipo come si chiama suo padre. Poi si vede se il sismografo registra la bugia alla domanda se hai votato per qualcun altro.
La politica, per quel che vedo, non abita più qui da tempo. Di fatto viviamo in una democrazia presidenziale – che sarebbe stata presidenziale anche se avesse vinto Veltroni – ma senza i contrappesi di una democrazia presidenziale. Il Parlamento di fatto e non soltanto da questa legislatura è diventato lo studio di un notaio di decisioni già prese, di votazioni già stabilite.
In aula qualcuno urla, ma prevale la noia e il senso dell’inutilità, quasi della beffa.

Paolo Guzzanti

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